UN LUOGO PER RICORDARE E UNO PER PREGARE
Oggi vi propongo un giro a Gorla, il quartiere lungo viale Monza facilmente raggiungibile con la linea rossa della metropolitana, che gli ha giustamente dedicato una fermata. Fino al 1923 Gorla era un piccolo Comune autonomo con una superficie di neppure un miglio quadrato attraversato dal Naviglio Martesana. Centro rurale, ospitava lungo il canale ville patrizie dei nobili milanesi di cui si possono ancora vedere le tracce percorrendo l’antica Alzaia, oggi trasformata in una frequentatissima pista ciclabile che costeggia il canale sino a Cassano d’Adda.
Dalla metropolitana raggiungiamo dunque la Martesana (dopo aver reso doveroso omaggio alla sede storica dello Zelig nell’ex Circolo co-operativo di Unità Proletaria) e, risalendola controcorrente sull’alzaia, raggiungiamo dopo pochi metri la prima tappa della nostra passeggiata: il Ponte Vecchio.
Questo delizioso piccolo ponte settecentesco era in passato l’unico collegamento tra le due sponde del Naviglio. Completamente realizzato in pietra, è a schiena d’asino perché sotto dovevano navigare i barconi che trasportavano cibo e materiali dall’Adda fino in centro città passando per la Conca dell’Incoronata e piazza San Marco. Oggi il ponte è stato doverosamente restaurato con pavimentazione a rizzada cioè con ciottoli di fiume levigati, tipica dell’area lombarda. Dicono che a suo tempo il ponte sia stato reso resistentissimo dagli spagnoli perché, in caso di ritirata, avrebbero dovuto farci transitare l’artiglieria. Vabbè.
Attraversiamo ora il ponte per raggiungere la piazzetta sull’altra sponda della Martesana e qui sediamoci su una panchina. Vi devo infatti purtroppo raccontare una storia triste. E’ la storia di una scuola in cui sono morti 184 bambini con le loro maestre durante un bombardamento dell’ultima guerra mondiale. Questa è la storia dei piccoli martiri di Gorla.
Il mattino del 20 ottobre 1944 decollarono dalla base operativa di Foggia 36 bombardieri degli Alleati con il compito di distruggere gli stabilimenti della Breda a Sesto San Giovanni. Una volta raggiunto il punto iniziale sopra Milano, lo stormo virò a 22 gradi a destra invece che a sinistra. Quando l’errore venne rilevato era ormai troppo tardi per cambiare direzione. Il carico di bombe, ormai innescate, impediva l’atterraggio dei bombardieri alla base. E il comandante, invece di liberarsi del carico sganciandolo in mare, decise di disfarsene immediatamente facendolo cadere sul centro abitato sottostante.
Alle 11,29 del mattino gli abitanti di Gorla e Precotto furono investiti da quasi 80 tonnellate di esplosivo. Uno degli ordigni centrò in pieno il vano scale della scuola elementare “Francesco Crispi”, raggiungendo il rifugio sotterraneo e causando la morte di 184 alunni e delle loro maestre. In quel terribile 20 ottobre nella sola città di Milano furono 614 le vittime estratte dalle macerie, oltre ad alcune centinaia di feriti.
Oggi, sul terreno dove sorgeva la scuola elementare, concesso dal Comune ai parenti delle vittime, sorge il sacrario intitolato ai “Piccoli Martiri di Gorla”, aperto ogni prima e terza domenica del mese, con ingresso laterale sulla destra. Il monumento al centro della piazza, realizzato dallo scultore Remo Brioschi, fa rivivere un fatto realmente avvenuto: quello di una madre dolorante che estrasse il figlio dalle macerie, se lo portò a casa, lo rivestì e volle tenerlo con sé sino al giorno del funerale collettivo quando lo restituì alla comunità offrendolo con le sue braccia. Dal retro del monumento si scende nella cripta, dove negli anni sono state trasferite a gruppi, dai vari cimiteri cittadini, le spoglie dei bambini e delle loro insegnanti. E la visione delle lapidi, dove sono semplicemente incisi nome ed età, è cosa davvero struggente. Al centro, le foto di tutti i bimbi affiancata, con un tocco di grande ensibilità, da due mazzi di fiori freschi. L’altarino è dominato dall’iscrizione: “E vi avevo detto di amarvi come fratelli”. Ogni anno la cerimonia commemorativa della strage è molto sentita dagli abitanti del quartiere e lo scorso anno, in occasione del 75° anniversario, sono finalmente giunte anche le scuse ufficiali del Governo americano. Un luogo da visitare e da far visitare a tutti per ricordare cos’è la guerra.
Ma lasciamo con una stretta al cuore il sacrario e avviamoci sulla destra dove, a pochi passi, troviamo la chiesa e il convento di Santa Chiara. Le Clarisse (che, non dimentichiamo, sono suore di clausura) si stabilirono a Milano sin dal 1224. Stavano dalle parti di via S. Sofia e qui rimasero sino a fine Settecento quando furono spazzate via dalla furia napoleonica.
Nel 1944, in piena guerra, cinque di loro abbandonano Assisi per raggiungere Sirone in provincia di Como. L’intenzione però era quella di stabilirsi a Milano dove, con l’aiuto dei frati minori, venne individuato un luogo dove costruire, al posto di una fatiscente villa di delizia settecentesca lungo la Martesana, il nuovo monastero. L’incarico della progettazione venne assunto dall’onnipresente architetto Giovanni Muzio (molto legato ai francescani), al quale viene posto un tema che arduo è dir poco: costruire la dimora di suore dedicate alla preghiera, al silenzio e alla contemplazione a cento metri da viale Monza e di fianco ad un raccapricciante ricordo di guerra, cioè la strage dei Piccoli Martiri di Gorla.
E il Muzio se la cava alla sua maniera. Una struttura in puro stile Novecento ma anche francescana, molto essenziale, in mattoni a vista, i cui orti e giardini interni, invisibili, corrono lungo il canale. La cappella, aperta al pubblico, è cadenzata da aperture strette ed alte in vetrocemento, incolori per chi le vede da fuori, ma colorate internamente in modo da filtrare la luce in tanti toni diversi di giallo, azzurro, rosso e viola.
Entrando appare immediatamente l’altare laterale, dedicato ai Santi Innocenti di Gorla, con un bel affresco della Madonna con bambini nella parte superiore, e la strage degli innocenti di Erode in quella inferiore. L’altare maggiore – protetto dalla cancellata della clausura – è molto semplice ma evidenziato dai marmi coloratissimi dell’arco di trionfo, mentre il leit-motif grafico di tutta la struttura è sottolineato dal soffitto e dal coro posizionato sul retro della chiesa e riservato alle monache che seguono le funzioni pubbliche (pare ce ne sia uno molto più grande all’interno del convento).
Terminata al visita alla chiesa, mi è stato graziosamente concesso di accedere al parlatorio (con tanto di cabine con grata e ruota, oggi immagino inutilizzata) dove mi sono intrattenuta molto piacevolmente con un’anziana suorina che mi ha raccontato bellissime storie, condite anche da qualche pettegolezzo, sulla costruzione dell’edificio. Tra molto altro, ad esempio il fatto che il Muzio si fosse dimenticato di progettare il chiostro, correndo poi ai ripari con una copertura rotondeggiante attorno all’albero più antico del giardino (“A me la me par una balera più che un chiostro...”secondo la suorina) e che fosse molto permaloso circa il suo lavoro. Lei stessa gli aveva infatti chiesto un leggero allargamento del coro (“Eravamo tante allora...”), ma lui la prese male e si limitò a restringere un ripostiglio.
Oggi le suore, che continuano a pregare e a cantare in purissimo gregoriano, hanno un’intensa attività pastorale (ritiri e incontri di preghiera aperti al pubblico) piuttosto che manifatturiera (fabbricano e vendono ceri, lavori in cuoio, biglietti e pergamene). Se volete sentirvi in Paradiso, giorni e orari dei canti sono reperibili sul sito del Convento.
Ve li raccomando!
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