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Il mistero della camera d'ambra

  • Immagine del redattore: Wilma Viganò
    Wilma Viganò
  • 8 giu
  • Tempo di lettura: 5 min

Vi invito a fantasticare alla grande, all’ennesima potenza. Dimenticate i monili, gli scrigni e le pietre preziose. Vi racconterò la storia (e che storia!) di un gioiello grandioso, fuori misura, spropositato. Esagerato direbbe il solito Vasco. La storia è quella della Camera d’Ambra dello zar: un’intera stanza tutta rivestita – pareti, mobili e suppellettili – di ambra, un materiale che nel Settecento, cioè ai tempi della costruzione, era quotato il doppio dell’oro. Oggi il suo valore è stimato attorno ai 450 milioni di euro. Per darvi un’idea della complessità di questa preziosa bizzarria, basti dire che vennero lavorate tonnellate d’ambra, oltre a foglie d’oro e specchi, che andarono a rivestire, nella sua prima versione, un locale di circa 55 metri quadrati.


Ma innanzi tutto, cos’è l’ambra? Con ogni probabilità tutti abbiamo in mente le voluminose collane un po’ folk, dal caldo colore “ambrato” appunto, che cromaticamente riprendono e, per così dire, valorizzano le tanto amate abbronzature estive. E forse immaginiamo che si tratti di pietre semi preziose. Ma non è così. Questo straordinario materiale, detto anche “oro del Baltico, è un tipo di resina fossile, emessa dalle conifere e sottoposta per milioni di anni a processi geologi. Traslucida, è generalmente di una tonalità che varia dal giallo al bruno, e può contenere insetti rimasti imprigionati al momento della sua formazione, rendendo perciò ogni frammento assolutamente unico.

Fin dall’antichità le civiltà mediterranee apprezzarono particolarmente l’ambra per le sue caratteristiche fisiche che ricordano il sole - colore, luminosità, energia - e monili d’ambra sono stati ritrovati persino nel corredo funebre del faraone Tutankhamon. Per entrarne in possesso venne addirittura a crearsi un percorso di almeno 400 chilometri, la Via dell’Ambra (una sorta di Via della Seta da nord a sud dell’Europa) percorsa da commercianti che trasportavano il prezioso materiale dal suo deposito più vasto ed esclusivo, cioè il mar Baltico, sino in Italia, Grecia ed Egitto.


Ma torniamo alla nostra Camera d’Ambra e alla sua storia. Era il 1701 quando il re di Prussia Federico I si fece conquistare dalla fantasia dallo scultore tedesco Andreas Schlüter che gli propose la Bernsteinzimmer, la Camera d’Ambra appunto, per rendere ancora più prestigioso e unico il castello di Berlino. Tale era la mole e l’impegno dei lavori, che si protrassero per ben otto anni, che dovettero essere assoldati anche maestri incisori danesi e polacchi, Ma, morto Federico, risulta che il suo successore, Federico Guglielmo I, non fosse altrettanto sensibile al capolavoro tanto che, approfittando dell’entusiasmo per la Camera espresso dallo Zar Pietro il Grande il occasione di una visita di Stato per stringere un’alleanza militare contro la Svezia, colse l’occasione di regalargliela, con un beau geste clamoroso a suggello della neonata alleanza.

Fu così che la sala venne smontata una prima volta, imballata e spedita – prima via mare e poi per terra su diciotto slitte trainate da cavalli – sino a San Pietroburgo, la nuova capitale “di rappresentanza” della famiglia reale russa appena fondata sulle rive del Baltico. In effetti la sua sistemazione definitiva fu a una trentina di chilometri dalla città, a Carskoe Selo, nella residenza estiva degli zar, dove l’architetto italiano Bartolomeo Rastrelli aggiunse altri quarantotto metri quadri di pannelli, alcuni finti pilastri, cornicioni dorati e mosaici al fine di renderla, se possibile, ancora più fastosa.



Al termine dell’ultimo cosiddetto “ritocco”, cioè nel 1770, risulta che l’ambiente contenesse oltre sei tonnellate di pannelli d’ambra e lamine d’oro, un numero infinito di gemme, ventiquattro specchi, un pavimento in legno pregiato e settanta creazioni artistiche distribuite in una sala di novantasei metri quadrati. Insomma una vera grotta di Aladino entrata giustamente a far parte dei gioielli della corona russa, e che sopravvisse intatta per due secoli e sette successivi restauri, uscendo indenne persino dalla rivoluzione del 1917.

Ma mai dire mai. Nel 1941, all’inizio della seconda guerra mondiale, San Pietroburgo – ribattezzata nel frattempo prima Pietrogrado e poi Leningrado – subì per mano dell’esercito nazista uno degli assedi più crudeli della storia: novecento giorni di messa a fuoco che causarono la morte di più di un milione di civili. La città resistette, ma non altrettanto fece Carskoe Selo, dove i russi, prima della resa, misero in salvo i 20 mila (diconsi 20 mila) oggetti preziosi della residenza estiva degli zar, ma non altrettanto poterono fare con la Camera d’Ambra per via della grandezza e fragilità delle pareti che cercarono di camuffare alla bel e meglio coprendola con teli, tappeti e tavole di legno. I tedeschi però non ci cascarono e, forti dell’efficienza dei propri esperti d’arte fatti arrivare espressamente da Berlino, in sole trentasei ore smontarono il tutto, l’impacchettarono in 28 casse e rispedirono l’intera struttura con destinazione Berlino per ordine espresso di Hitler che rivendicava il ritorno della stanza “nella sua vera patria”, il Reich tedesco.

Ma la trasferta, per ovvie ragioni, non fu così semplice e il prezioso carico dovette far tappa a Königsberg (oggi Kaliningrad, enclave russa sul mar Baltico) dove i tedeschi avevano allestito un immenso magazzino di opere d’arte predate e dove la camera, ricostruita nel castello del primo re di Prussia, rimase esposta finché gli attacchi aerei alleati non cominciarono a devastare la città nel 1944. Già allora pare fosse scomparso un mosaico fiorentino e danneggiati sei riquadri dello zoccolo, ma dopo un incendio tutti i pannelli furono nuovamente smontati e probabilmente riposti in casse nei sotterranei del maniero.

Ma fu anche in quella data, cioè nell’estate del ’44, che la Camera d’Ambra si volatizzò nel nulla, sparì, scomparve, senza che nessuno sapesse, o volesse, rivelare nulla. Quando i soldati dell’Armata Rossa conquistarono la città, recuperarono un buon numero delle opere d’arte razziate a San Pietroburgo, ma del tesoro d’ambra non si seppe più nulla. Anche se non pochi sostengono che i nazisti fossero riusciti ed evacuarla in tempo in un luogo sicuro. Dove? Non si è mai saputo. Una tesi questa per altro abbastanza realistica ed avallata dal fatto che alcuni frammenti sono stati ritrovati nella seconda metà del Novecento in giro per il mondo presso collezionisti privati. Ma le centinaia di persone che da allora hanno dato la caccia al tesoro del Baltico, elaborando le più incredibili fantasie, non sono giunti ad alcuna plausibile conclusione.

Nel 1979 il governo sovietico ha dato l’incarico di ricostruire la Camera basandosi su disegni e fotografie in bianco e nero dell’originale e sull’unica foto a colori disponibile dai tempi di Kaliningrad. Dopo un’interruzione dovuta a problemi economici, i lavori sono però andati a buon fine, anche grazie alla donazione di 3,5 milioni di dollari da parte di una multinazionale tedesca. La rediviva Camera d’Ambra è stata inaugurata il 31 maggio del 2003 in occasione del trecentesimo anniversario della fondazione di San Pietroburgo alla presenza dell’allora cancelliere tedesco Gerhard Schröder e di Vladimir Putin. E chissà se la storia è finita lì?

 
 
 

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