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I gioielli di coppia

  • Immagine del redattore: Wilma Viganò
    Wilma Viganò
  • 13 lug
  • Tempo di lettura: 6 min

Va riconosciuto che la famiglia reale inglese, da tempo immemorabile, fornisce spunti succulenti per le questioni di cuore. Da Robin Hood e Lady Marian a Enrico VIII e le sue mogli, dalla regina Victoria col suo adorato Albert, su su fino a Elisabetta e Filippo, Carlo e Diana, William e Kate, gli affari di cuore della Royal Family hanno alimentato per secoli le narrazioni di storiografi e pettegoli, letterati e curiosi, cronache mondane e serie televisive. E quando c’è di mezzo il cuore si finisce inevitabilmente – o per fortuna – a parlare di gioielli. Gioielli donati o ereditati, conquistati o commissionati, ma sempre simboli tangibili di un sentimento che, a certi livelli, si può permettere guizzi di fantasia e opulenza che vanno ben oltre il solitarietto evocato da Marilyn come il miglior amico di tutte le ragazze del mondo.

Solitamente i re (come del resto quasi tutti gli uomini di questo mondo), si affidano ai consigli dei gioiellieri, che son ben felici di elargire le proprie conoscenze tecniche e talenti creativi. Ma ci sono due personaggi nella storia della famiglia reale inglese che fanno eccezione a questo pressoché universale comportamento: il principe Alberto nell’Ottocento e il duca di Windsor nel Novecento che fecero dell’arte di regalare gioielli un tratto unico e distintivo delle rispettive “love stories”, ma anche delle proprie personalità.

Alberto era l’amatissimo principe consorte (e primo cugino) della regina Vittoria che, in linea con lo spirito romantico dei tempi, alle sfarzosità dei tesori della Corona custoditi nella Torre di Londra, preferiva i gioielli semplici ma carichi di significato, che in Inghilterra hanno la definizione ben precisa di “sentimental jewels”, cioè gioielli sentimentali, quelli che in un anello celebrano un sentimento nelle sue infinite sfumature, in un ciondolo racchiudono il ricordo di una persona amata, in una spilla condensano la celebrazione di un evento speciale. E Alberto (amatissimo ma non tanto ricco), assecondò alla grande i gusti dell’adorata moglie disegnando un’infinità di monili di cui seguiva personalmente l’esecuzione da parte degli orafi di corte. L’ispirazione la trovava ovunque, ma la più curiosa fu quella rappresentata dai dentini da latte della progenie. La coppia ebbe nove figli e la materia prima certo non mancava!


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Tutto ebbe inizio durante una vacanza in Scozia quando il Principe Alberto, da bravo papà, si trovò ad affrontare, il 13 settembre 1847, l’estrazione del primo dentino della primogenita Vicky che aveva appena compiuto 7 anni. Una volta portata a termine l’operazione, il principe fece incorporare il dentino in una spilla a forma di cardo, l’emblema della Scozia, e la donò alla moglie che riportò nel suo diario “Albert ha gusti squisiti e si occupa personalmente di tutti i miei gioielli”. E con ciò sappiamo con precisione data e luogo della caduta del primo dentino della futura imperatrice di Germania grazie all’iscrizione sul retro della spilla. Tre dentini di un’altra figlia vennero invece incorporati in un ciondolo e relativo paio di orecchini d’ispirazione floreale dove i petali di fucsia, sormontati da un fiocco d’oro smaltato, racchiudono i preziosi ricordi. Realizzati nel 1864 dalla premiata ditta R & S Garrard di Londra sono attualmente esposti alla Queen’s Gallery di Buckingham Palace.

Ma il Principe Alberto era anche un appassionato cacciatore di cervi ed i denti degli animali abbattuti, doverosamente trattati e ricoperti di smalto bianco, vennero abbondantemente utilizzati per la realizzazione di gioielli per la consorte. Va precisato che, secondo una tradizione tedesca (Alberto era principe di Sassonia), i denti degli animali hanno proprietà talismaniche e che per il principe, in particolare, erano l’evidenza della passione e dell’amore per Vittoria. Fatto sta che, con i denti dei cervi cacciati, Alberto realizzò negli anni un’interessante spilla con il solito cardo ed un bel nastro tartan, un’altra spilla dove sei denti formano i petali di un delicatissimo fiore, un paio di orecchini pendenti che la Regina indossava frequentemente, ed una straordinaria collana con 45 denti che, se non se ne conoscesse la storia, parrebbe montare, con una delicata lavorazione d’oro traforato, una splendida filiera di perle scaramazze! Alberto morì prematuramente di tifo a soli 42 anni e da quel giorno Vittoria indossò sempre abiti neri per il resto della sua lunghissima vita, inventando e creando la moda dei gioielli da lutto. Ma questa è un’altra storia.

Cambiamo ora secolo e protagonisti dell’arte di regalare (e possedere) gioielli di coppia e parliamo di un’altra celeberrima love story: la più chiacchierata, ma anche la più glamour della prima metà del ‘900. Lui, per sposarla, rinunciò al trono d’Inghilterra. Lei, un’americana pluridivorziata, non bella, con un passato a dir poco “avventuroso”, divenne un’icona di stile. Insieme scelsero e si regalarono la più straordinaria collezione di gioielli del secolo. Parliamo naturalmente del Duca e della Duchessa di Windsor, al secolo Edward Albert Christian George Andrew Patrick David Windsor, salito al trono come Edoardo VIII, e Wallis Simpson, nata Bessie Wallis Warfield in un paesino della Pennsylvania e da lì partita alla conquista del mondo.

Il Duca era un vero dandy. Aveva uno stile personale curato nei minimi dettagli. Si distinse per il modo di annodare la cravatta (il famoso “nodo alla Windsor”), ripropose i tessuti classici inglesi (il “principe di Galles” scoperto da suo nonno), lo smoking blu notte, i polsini doppi con gemelli e lo sparato a piegoline per il frac. Cresciuto in mezzo a oggetti preziosissimi (sua madre era una grande collezionista di uova Fabergé), sviluppò un occhio critico, una conoscenza tecnica e un gusto che sviluppò con l’assidua frequentazione delle più grandi gioiellerie dell’epoca, da Cartier a Van Cleef & Arpels.

La Duchessa era reputata una delle donne più eleganti del mondo. Cliente abituale di Chanel, Schiaparelli e Poiret, fu lei a lanciare il giovanissimo Balenciaga nel mondo dell’alta moda parigina. Ben presto assorbì dal marito il talento per i gioielli e con lui segnò un capitolo fondamentale nella storia dell’arte orafa. Non esiste foto nella quale la Duchessa indossi gioielli antichi. Il suo gusto era radicato nel presente e proiettato nel futuro. Mitica la sua perentoria affermazione:

“Anche gli stupidi sanno che dopo le sette di sera si indossa solo platino!”,

ma al tempo stesso fu proprio lei che contribuì al rilancio dell’oro giallo, allora praticamente scomparso, per i gioielli meno impegnativi. L’abbinamento con gli abiti era fondamentale e spesso ai grandi couturier parigini veniva chiesto di disegnare e realizzare mises per valorizzare particolari creazioni.

Un’altra caratteristica dei gioielli che i duchi si scambiavano in continuazione erano le iscrizioni, più o meno celate. Una data, una frase, una parola destinate a segnare per l’eternità un momento, una celebrazione, un’emozione privata. Queste iscrizioni hanno poi permesso agli storici del gioiello di ricostruire l’origine dei singoli pezzi, per i quali occorrerebbe compilare un’enciclopedia. Tra le piccole cose la Duchessa possedeva: dozzine di orecchini di tutte le forme e materiali (particolarmente gradite pare fossero quelle a forma di conchiglia), ciondoli di ogni specie (che raggruppava in tintinnanti catene e charm bracelets), portacipria con incisioni artistiche e tempestati di pietre preziose, spilline a clip da appuntare sui revers, pochettes da sera in oro e pietre colorate da abbinare all’abito, specchietti e portarossetti in oro cesellato, portaritratti e... chi più ne ha più ne metta. I pezzi importanti fanno storia a sé. Come la dozzina di spille a pantera in platino e diamanti nelle quali il felino, simbolo di Cartier, era interpretato in ogni forma e dimensione. O la celeberrima spilla a fenicottero in rubini, zaffiri, smeraldi, citrini e diamanti che, per grandezza e sfarzo, necessitava obbligatoriamente di un abito nero. E ancora le perle perfette a girocollo e ai lobi per illuminare il viso, le sinuosissime creazioni a montatura invisibile di Van Cleef & Arpels, le sontuose collane a pettorina che permettevano straordinari abbinamenti come turchesi e ametiste, zaffiri cabochon e diamanti, tormaline e quarzi... Insomma, di tutto e di più, e tutto di qualità eccelsa.

Il Duca non era da meno: collezionava infatti monete, portasigarette, accendini, gemelli da polso, bocchini, penne, scatoline, segnalibri, accessori da fumo, targhe, sigilli, orologi, spade, insegne, spillini, coppe e tante altre testimonianze, tutte rigorosamente preziose. Il Duca di Windsor si spense a Parigi nel 1972 e la Duchessa gli sopravvisse sino al 1986. Alla sua scomparsa, per volontà testamentaria,


 
 
 

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