GIGLI, ALVEARE E … UN FERNET
Oggi passeggiata insolita sia per destinazione che per contenuti. Partiamo infatti da piazzale Maciachini, una zona non propriamente centrale, e imbocchiamo viale Jenner lungo il lato sinistro. Al secondo incrocio, cioè all’altezza di via Porro, vi apparirà un’antica cascina, la Cascina Boscaiola. L’avete mai notata? Penso proprio che no.
Qui nel Quattrocento, al posto della Circolare Esterna c’erano boschi e ruscelli. Erano dunque luoghi adatti alla cacciagione e i milanesi più facoltosi vi costruirono casini di caccia e residenze di campagna. Nel Settecento ce n’erano ancora cinque di queste residenze, tutte denominate “Boscaiola”, e di queste una, quella che vediamo dinnanzi a noi, esiste ancora. Leggermente discosta dal viale di scorrimento e circondata da un bel giardino pubblico, è stata completamente ristrutturata e trasformata in condominio di lusso. Sulle facciate esterne erano state giustamente “risparmiate” alcune decorazioni originali che però nessuno aveva saputo, o si era preso la briga, di interpretare. Ci ha pensato Claudio Salsi, soprintendente del Castello Sforzesco, che un paio d’anni fa, forte delle sue conoscenze d’archivio, ha riconosciuto ed interpretato il significato dei due disegni ripetuti a scacchiera lungo la facciata: un alveare e un giglio inseriti in riquadri che simulano delle nicchie a trompe l’oeil.
Il tutto accompagnato dal motto “Per meo merito” che, secondo gli antichi codici, rivela come il proprietario della cascina si attribuisse l’armonia e l’operosità dell’alveare e delle colture, probabilmente gelsi, della cascina stessa. Insomma: una perfetta interpretazione dell’eco sistema. Sempre da alcune lettere dei tempi, risulta che la Cascina Boscaiola (detta anche Morona per via dei moroni, cioè i gelsi indispensabili all’allevamento dei bachi da seta) era di proprietà della famiglia degli Aicardi, molto vicina prima ai Visconti e poi agli Sforza. E il significato delle decorazioni potrebbe essere interpretato come una forma di propaganda sui legami tra gli Aicardi e i Signori di Milano. In particolare poi, la decorazione può essere anche letta come preludio alla Sala delle Asse del Castello dipinta da Leonardo con un simile gusto lombardo per l’illusionismo pittorico e la raffigurazione di emblemi. Insomma, gigli ed alveari in viale Jenner: Milano non finisce mai di stupire.
Ma proseguiamo ancora per una cinquantina di metri lungo viale Jenner e imbocchiamo, sempre sulla sinistra, la traversa successiva, cioè via Resegone. E a questo punto vi consiglio di fermarvi, chiudere gli occhi ed inspirate. Non sono impazzita. Sto solo cercando di farvi vivere un’esperienza olfattiva unica per Milano. Verrete infatti avvolti da uno straordinario aroma che evoca suoni, colori e sapori da “Mille e una notte”! Ma non illudetevi: siete semplicemente arrivati alle Distillerie Branca, la fabbrica che dal 1845 produce lo storico Fernet.
Tutto ebbe inizio quando Bernardino Branca, di formazione speziée, speziale, insieme a un medico (la leggenda dice che fosse svedese e si chiamasse Fernet) mise a punto un preparato a base di erbe per la cura di due malattie ai tempi molto diffuse: il colera e la malaria. I risultati furono talmente straordinari che, nel giro di pochi anni, dalla prima sede di Porta Nuova con 300 operai si arrivò ad aprire, nel 1910, l’attuale stabilimento di via Resegone con ben 900 operai. Oggi la quinta generazione della famiglia Branca è ancora a capo dell’impresa e, nonostante i volumi di produzione siano rimasti pressoché invariati, bastano 80 persone a mandare avanti la baracca. L’automazione si è affermata anche qua.
La formula medicinale del Fernet comprende ingredienti come l’aloe ferox, (un potente disinfettante), la china (per combattere il colera) e poi mirra, zafferano, radice di colombo, scorza d’arancio, rabarbaro, cannella, camomilla … In tutto 27 tra erbe, spezie e radici. Dosaggi e modalità d’impiego sono custoditi dai membri della famiglia e da pochi operai, e ciascuno ne conosce solo una piccola parte in modo che nessuno possa essere in possesso della formula completa tuttora segreta.
Il sciur Branca, da buon milanese, intuì subito l’importanza del marketing e della pubblicità. Creò quindi un marchio evocativo ormai passato alla storia (l’aquila che regge una bottiglia sul globo), diede il via all’internazionalizzazione dell’Azienda partecipando alle varie Esposizioni Universali, e commissionò eleganti campagne pubblicitarie, prima ai francesi (allora non per niente si definivano réclames) e poi a grafici della scuola triestina di Dudovich.
Nel frattempo si procedeva alla diversificazione dei prodotti con la creazione, ad esempio, del brandy Stravecchio, piuttosto che con l’acquisizione di altri marchi quali il Vermut Carpano, il Punt e Mes, la grappa Candolini, il Caffè Borghetti, la vodka Sernova e così via. Narra la leggenda che a Maria Callas si deve l’invenzione del Branca Menta. La Divina prima dei concerti era infatti solita sorseggiare un Fernet Branca con ghiaccio e foglioline di menta. L’Azienda colse al volo l’innovazione e voilà: ne fece un nuovo prodotto.
Oggi, un intero piano dell’Azienda ospita un vastissimo Museo d’Impresa visitato ogni anno da quasi 5000 persone. Una raccolta incredibile di cimeli, da alambicchi a bottiglie storiche, dalla ricostruzione di ambienti originali (sartoria, falegnameria, infermeria…) alla raccolta delle campagne pubblicitarie. C’è perfino una vecchia auto aziendale, per terminare con un modernissimo bar dove la Branca Academy organizza sessioni per i barmen moderni.
Ma la parte più affascinante della visita è la discesa nel sottosuolo. Qui, dopo l’attraversamento di un grandioso e profumatissimo magazzino delle spezie, si può ammirare quel monumento al gusto che è la Botte Madre, la botte più grande d’Europa, una “riserva perpetua” di 84.000 litri dove, con la tecnica del rabbocco, si produce dal 1910 lo Stravecchio. E poi una sequenza infinita di enormi tini (500 per il Fernet e 300 per lo Stravecchio) che inebriano il visitatore sino all’uscita. E tutto praticamente sotto piazzale Maciacchini. Una vera archeologia del gusto.
Tornati all’aperto, resta da ammirare la storica ciminiera rivisitata per l’Expo dagli Orticanoodles con uno dei murales più alti d’Europa. Un tocco di colore allo skyline della città che rappresenta il processo di produzione del Fernet: una groviglio di erbe che si arrampicano verso il cielo tra bottiglie e icone storiche dell’Azienda. E per finire, sappiate che il Fernet è più che mai di moda: i Millenials lo bevono soprattutto come aperitivo miscelato con la Coca Cola.
Chissà cosa avrebbe detto mio nonno!
Comments