QUANDO LA BELLEZZA ALLEVIA LA SOFFERENZA
Forse qualcuno penserà che sto esagerando con la ricerca di mete alternative, ma oggi mi va di parlarvi di un luogo che quasi tutti i milanesi conoscono da un certo punto di vista non propriamente allegro, ma che può essere vissuto e visitato anche con altri occhi. Vorrei infatti accompagnarvi in una breve visita dal sapore storico e artistico dell’Ospedale di Niguarda.
Ci avevate mai pensato? Penso proprio di no.
Niguarda – e se lo fate precedere dalla qualifica di “ospedale” non siete di queste parti – ha compiuto 80 anni a settembre dell’anno scorso. Tra l’altro con una bellissima giornata di avvenimenti e feste di ogni genere aperta a tutta la cittadinanza. L’edificio è stato costruito negli anni ’30 del Novecento, quando la Fondazione Ca’ Granda che gestiva l’antico ospedale di via Festa del Perdono si rese conto che la vecchia struttura non era più in grado di rendere quel servizio sanitario pubblico alla cittadinanza tutta (poveri e ricchi) che era stato “inventato” da Francesco Sforza e da sua moglie Bianca Maria Visconti nel lontano 1456. Si decise allora di vendere per 600.000 lire la vecchia struttura al Comune di Milano (che l’avrebbe destinata ad ospitare l’Università Statale) e in aggiunta ai nuovi padiglioni specialistici del Policlinico già esistenti in zona, di costruire un nuovo ospedale di tipo generalista in periferia, dove si poteva disporre di maggiori spazi.
La scelta cadde sul quartiere di Niguarda dove la fondazione già possedeva dei terreni. Va detto che la Fondazione Ca’ Granda è da secoli in gran parte finanziata da lasciti e donazioni di benefattori milanesi e mi risulta che sia a tutt’oggi il più importante proprietario terriero della Lombardia. La zona di Niguarda venne inoltre privilegiata in funzione di quelli che allora venivano definiti “i nuovi cittadini di Milano”, cioè i circa 10.000 operai che erano andati a vivere nell’enorme insediamento industriale a nord della città, tra Musocco, Affori, Greco e Niguarda, là dove erano sorte le grandi industrie tipo Pirelli e Breda.
Per la progettazione, come da prassi, si ricorse ad un bando pubblico pubblicato il 20 ottobre 1926 ma, dopo 5 anni, le proposte pervenute non avevano accontentato nessuno. Fu così che, con pragmatismo prettamente meneghino venne messo insieme un team fatto in casa, con il coordinamento affidato all’ing. Giulio Marcovigi che si avvalse della collaborazione dell’architetto Giulio Ulisse Arata per la parte strutturale e della sovrintendenza sanitaria di Enrico Ronzani. Il tutto nobilitato e benedetto dall’allora Cardinale Schuster che dettò, con grandissima attenzione, l’iconografia religiosa delle varie opere d’arte. L’impianto architettonico di base è di marca nettamente razionalista tipica degli anni ’30, con struttura a poliblocco, cioè una mescolanza delle due tendenze normalmente adottate per gli edifici ospedalieri, cioè quelli a blocco rispetto a quelli a padiglioni. Con al centro, secondo tradizione, la chiesa.
Costo complessivo della costruzione che si sviluppava su una superficie di ben 322.000 metri quadrati: 101 milioni di lire di cui ben 75 provenienti da donazioni private. Se poi ci spostiamo nel tempo al 1948, quando fu completata la ricostruzione a seguito dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, la cifra complessiva arriva a 156 milioni, di cui 121 provenienti da benefattori privati. Quando si dice che i milanesi hanno “il cuore in mano” non è una favola. Il primo paziente, anzi la prima paziente, venne accolta a Niguarda il 10 ottobre 1939: era la signora Luigia affetta da colecistite acuta. Oggi l’ospedale è frequentato giornalmente da oltre 10.000 persone e vi lavorano 4.500 dipendenti.
Come dicevamo, lo stile architettonico dell'enorme complesso è improntato alla retorica fascista: solenne, quasi teatrale, appare, come una specie di Taj Mahal, al termine del lunghissimo viale Ca’ Granda, così ribattezzato in onore alle origini del primo ospedale. Il rivestimento è in accecante marmo botticino (lo stesso utilizzato per il Vittoriano a Roma e per la base della Statua della Libertà a New York) che si staglia sui prati verdi dei cortili interni facendone risaltare la purezza, in una fisicità quasi eterea e immateriale.
Sin dall’inizio Niguarda venne definita dallo storico Costantini “Città dell’arte” e lo si può verificare da subito, quando, ai due lati dell’ingresso principale, si è accolti da due imponenti gruppi scultorei che ne celebrano l’origine storica. Sulla sinistra, l’opera di Arturo Martini ci presenta Francesco Sforza e Bianca Maria Visconti nell’atto di presentare il bozzetto del nuovo ospedale al Papa, mentre sulla destra Francesco Messina interpreta la consegna della bolla del perdono ai Deputati Ospedalieri da parte di San Carlo Borromeo. Se non l’avete mai fatto, la prossima volta fermatevi ad ammirare questi due capolavori. In cima al portale, un bassorilievo dell’Annunciazione sancisce la dedica a Santa Maria Annunciata voluta da Bianca Maria Visconti.
La chiesa, anche lei ovviamente dedicata all’Annunciata, appare grandiosa al centro dei padiglioni e conserva al suo interno quelle che sono state definite le più belle vetrate sacre italiane del Novecento. Dalla cupola, che allinea i vetri cattedrali di 12 Santi che hanno a che fare con la cura dei malati, alle tre straordinarie vetrate dell’abside: la “Natività” di Alberto Salietti, la “Cacciata dal Paradiso” di Aldo Carpi e la celeberrima “Annunciazione” di Mario Sironi, la cui arte in questo campo persino Picasso ebbe a lodare.
Pare che la storica quadreria sia stata di recente accorpata a quella, peraltro già ricchissima, della Ca’ Granda che ha ancora sede presso l’università, ma i primi, importantissimi sponsor di Niguarda vengono onorati con coloratissime vetrate e scritte all’interno dell’Aula Magna dove il nome di ogni famiglia di finanziatori è accostato al padiglione o alla struttura che ha permesso di costruire. Per citarne alcuni, Emilia Gatti-Castoldi che finanziò la medicina e chirurgia Nord, Luigia Antonini Rossini per Ostetricia e Luigi Bizzozzero che rese possibile il reparto di isolamento. E a fare il giro completo dell’aula, decine di nomi di altri benefattori che hanno contribuito con le loro donazioni.
Oggi Niguarda è un po’ come il Duomo, in continuo ed eterno rinnovamento e costruzione. Ma anche la vocazione artistica continua nel tempo. Oggi è sede del MAPP, il Museo d’Arte del Paolo Pini e i nuovi padiglioni vengono arredati con opere dei maggiori talenti internazionali, invitati per esempio con un concorso a reinterpretare il tema della Cura e della Speranza. L’opera vincitrice, titolata “Raggio di Sole”, svetta al centro del primo padiglione rinnovato, mentre i bozzetti finalisti del concorso costruiscono il percorso di una piccola galleria d’arte per i pazienti in attesa.
Perché la bellezza, da sempre, allevia la sofferenza.
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