TRE CHIESE NELLA VIA DELLO SHOPPING
“A spasso con Wilma”, itinerari milanesi a Km. Zero, vi accompagna lungo via Torino.
Di solito in via Torino si va per lo shopping. Ci sono infatti una quantità di negozi per i più giovani, coloratissimi e pieni di musica. C’è un modo però, e un modo anche molto bello, per sfuggire alla pazza folla e al rumore. Basta riparare nelle tre antiche chiese che, una di fila all’altra, si snodano lungo la via partendo da piazza Duomo.
Subito all’inizio della via, sulla sinistra, troviamo San Satiro, la più prestigiosa delle tre chiese. Facciamo però attenzione perché ci può sfuggire, arretrata com’è rispetto a via Torino.
Qui, in periodo paleocristiano, c’era solo un sacello – cioè una cappella di piccole dimensioni – dedicato a San Satiro, il fratello di Sant’Ambrogio. Al sacello venne quindi aggiunta, verso l’anno Mille, la bella torre campanaria che ancora svetta sul retro. Poi a metà del ‘400 avvenne uno di quei miracoli destinati a sollevare l’entusiasmo popolare. Un’immagine della Vergine, colpita dal pugnale di un vandalo, fu vista ricoprirsi di sangue come se fosse viva. Il prodigio colpì ovviamente la fantasia dei fedeli che si riversarono in massa a San Satiro e il sacello si rivelò ben presto troppo piccolo per ospitarli tutti.
Si decise allora di costruire una vera e propria chiesa dedicandola a Maria (la denominazione ufficiale è infatti ancora oggi chiesa di Santa Maria presso San Satiro) e il progetto venne affidato dagli Sforza alla più famosa archistar del tempo, Donato Bramante, che ne fece un capolavoro di simmetria rinascimentale. A partire dalla facciata, che ammiriamo prima di entrare. Anche allora però si era in pieno centro città e lo spazio era quello che era. Il campanile c’era già, il sacello anche, ma il Bramante non voleva certo rinunciare alla grandiosità e alla classica rappresentazione della croce a T maiuscola. Fu così che, da genio qual era, ideò l’incredibile prospettiva illusoria della finta abside che, in soli 95 centimetri, la fa apparire profonda di almeno una decina di metri.
Fermiamoci quindi all’ingresso della chiesa ed osserviamo la prospettiva dietro l’altare maggiore, sul quale tra l’altro troneggia la famosa immagine della Madonna miracolosa. Raggiungiamo quindi l’altare, su uno qualsiasi dei due lati, e voilà: scoperto l’inganno! Un vero capolavoro di illusione ottica.
Pare che in origine tutto il complesso fosse decorato in bianco, azzurro e oro e potete quindi immaginare lo straordinario impatto cromatico dell’insieme.
Dirigiamoci quindi verso il sacello medievale, a sinistra dell’altare maggiore al quale si accede scendendo alcuni gradini trattandosi di una costruzione di qualche secolo precedente rispetto alla chiesa. Al centro, sopra l’altare, ammiriamo un “Compianto sul Cristo morto”, cioè un gruppo di 14 statue di dimensioni naturali commissionate dallo stesso Bramante che si è evidentemente occupato anche della decorazione d’interni. Tutt’intorno sui muri, c’è quel che rimane di un ciclo pittorico d’arte bizantina tra i più imponenti in Europa. Compresa un’algida “Madonna con il Bambino benedicente” del 1200 rappresentata frontalmente. Prego notare la nobiltà regale dell’atteggiamento.
Terzo ed ultimo punto d’attenzione da non mancare è il battistero, altro sublime esempio della genialità bramantesca, al quale si accede sul lato destro della chiesa. All’interno verrà spontaneo alzare gli occhi al cielo, per osservare la ricca ed armonica costruzione della cupola celeste. Ma osservate bene il punto più alto e … potrete assistere alla discesa dello Spirito Santo!
Una volta usciti dalla chiesa e tornati in via Torino, prendiamoci pochi minuti di tempo per aggirare il complesso e godere della vista della torre campanaria e del perfetto “guscio” esterno creato dal Bramante a protezione del sacello. In un angolo, una piccola edicola riporta l’immagine a fresco di un’altra Madonnetta, detta del Falcone, venerata degli abitanti della contrada che, dal Medio Evo in poi, ospitava le botteghe degli allevatori di sparvieri.
Tornati in via Torino, pochi metri più avanti rispetto a San Satiro ma sull’altro lato della strada, troviamo San Sebastiano, cioè il piccolo Pantheon di Milano. Ispirato a quello più famoso di Roma, anche questo è rotondo e, come quello della capitale non è una chiesa, bensì un tempio civico. E’ infatti di proprietà del demanio e il parroco, definito rettore, non è nominato dal vescovo ma dalla giunta.
Commissionato a Pellegrino Tibaldi dal governatore spagnolo di Milano nella seconda metà del ‘500, la chiesa fu fortemente “sollecitata” dall’allora arcivescovo Carlo Borromeo quale ringraziamento a San Sebastiano, che era stato ripetutamente invocato durante la peste, per aver posto fine alla terribile calamità. L’edificio, come dicevamo, è rotondo, proprio per rimarcarne la funzione civica, ma anche per ottimizzare il limitato spazio a disposizione. Pare che nei secoli siano stati fatti ripetuti tentativi di creare uno slargo per valorizzarlo, tentativi però tutti miseramente falliti.
All’interno il Comune fa sentire la sua presenza con i blasoni dei diversi rioni, delle confraternite e delle associazioni che qui si riunivano, e tuttora si riuniscono, per le rispettive feste patronali. Ci sono quindi gli orafi – che detengono la cappella di Sant’Eligio, il loro patrono – i calzolai, i tessitori e altri artigiani, ai quali si sono aggiunti i più moderni vigili urbani, gli schermitori, i reduci dai campi di prigionia, e così via.
L’architettura, gli arredi e i decori sono piacevolmente baroccheggianti con il tutto imperniato attorno all’immensa cupola affrescata e completa di tiburio. Per chi come me non lo sapeva, dicesi “tiburio” un elemento architettonico che racchiude e protegge al suo interno una cupola senza gravarvi. Lo possiamo ammirare dall’esterno. Attorno all’altare maggiore sono collocate a cerchio quattro cappelle, in una delle quali ammiriamo una bella Pietà posta sopra un ad sarcofago con la salma, anziché del Milite Ignoto, dell’”Internato Ignoto”, cioè una persona sconosciuta deceduta in campo di concentramento.
Uscendo dalla chiesa, sulla destra al termine di un vicoletto, le sale a volte dell’antico convento, al posto delle orazioni dei frati, ospitano oggi le proiezioni del cinema Centrale. Ma i tempi, si sa, cambiano.
Proseguendo lungo via Torino, poco dopo San Sebastiano in uno slargo sulla destra, raggiungiamo la terza ed ultima meta di questa passeggiata: la chiesa di San Giorgio al Palazzo, un edificio d’origine altomedievale così denominato in quanto sorto sui resti del palazzo imperiale voluto da Diocleziano. A quei tempi Milano era capitale dell’Impero Romano d’Occidente e fu proprio qui, come riportato da una lapide all’interno della chiesa, che nell’anno 313 ebbe luogo lo storico incontro tra Costantino e Licino che diede origine all’editto di Milano, col quale veniva concessa a tutti i cittadini, e quindi anche ai cristiani, la libertà di culto.
Verso il 1100 la chiesa venne poi ampliata, anche per ospitare – in tempo di pace – il Carroccio, che era piuttosto ingombrante. Aggiunte e modifiche si susseguirono nei secoli sino alla tutt’altro che sgradevole miscela attuale di neoclassico e barocco con una spruzzatina di romanico. La facciata settecentesca è in marmo bianco e l’interno, a tre navate, ha un altare maggiore contornato dai soliti angeli oranti che è molto, ma proprio molto, barocco. I due pulpiti ai fianchi dell’altare stanno a dimostrare l’antichità della chiesa. Fu infatti solo a seguito del Concilio di Trento, cioè a metà ‘500, che i pulpiti vennero posizionati a metà della navata per permettere a tutti i fedeli di udire le parole del predicatore.
Tutta San Giorgio al Palazzo è in pratica una pinacoteca, compresa la sacrestia a sinistra dell’altare maggiore che si può visitare. Due sono però le attrazioni. Nella prima cappella sulla destra possiamo ammirare un notevole San Girolamo di Gaudenzio Ferrari ospitato in una fantasmagorica cornice di decorazioni e marmi policromi, compresa una ricchissima cupoletta affrescata con figure di santi, papi e località legate alla vita di San Girolamo.
Ma il coup de théâtre, il pezzo forte della chiesa arriva con la cappella successiva: un ciclo pittorico di Bernardino Luini datato 1516 considerato uno dei capolavori assoluti dell’artista. Qui la passione di Cristo è raccontata con una moltitudine di colori, personaggi ed emozioni tutti da ammirare. Una curiosità: pare che il Luini facesse di cognome Sarpi, ma veniva da Luino e i milanesi, si sa, tendono a semplificare.
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