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Via San Gregorio

  • Immagine del redattore: Wilma Viganò
    Wilma Viganò
  • 6 dic 2019
  • Tempo di lettura: 5 min

Aggiornamento: 11 ott 2021

PASSATO E PRESENTE DEI LUOGHI DELLA PESTE


Se siete dalle parti di Porta Venezia e vi va di fare un tuffo nella Milano seicentesca (e non solo), vi consiglio di imboccare via San Gregorio, la quinta sulla sinistra andando verso piazzale Loreto. Qui, subito all’inizio, troverete quel poco che resta di una delle più nobili istituzioni milanesi, il Lazzaretto, reso immortale da Alessandro Manzoni che lo scelse come “location” di uno dei passaggi chiave de I promessi sposi.

Ma partiamo dal nome. “Lazzaretto” è la fusione di due termini: il nome dell’isola veneziana di Santa Maria di Nazareth, dove nel Quattrocento sorgeva un posto di quarantena chiamato “nazaretto” dove dovevano soggiornare viaggiatori e pellegrini provenienti dall’Oriente. A “nazaretto” si sovrappose successivamente Lazzaro, il personaggio evangelico appestato per antonomasia. Da cui “lazzaretto”.

Il Lazzaretto di Milano fu una grandiosa opera voluta da Ludovico il Moro a partire dal 1489. Era costituito da un grande recinto di oltre mille metri quadrati, circondato da un fossato (per isolamento e fogna) e situato appena fuori della porta orientale, cioè l’attuale Porta Venezia. Sul grande porticato interno si affacciavano ben 288 celle, praticamente dei mini-appartamenti con tanto di camino e servizi, dalle quali gli appestati potevano assistere alla Messa celebrata nella cappella di Santa Maria della Carità (oggi San Carlino) situata al centro del cortile e della quale parleremo più avanti. Al Lazzaretto si accedeva tramite un unico ingresso per garantire rigorosissimi controlli di entrata ed uscita dei malati che venivano catalogati in tre categorie: infetti, sospetti e guariti.

L’assistenza sanitaria era fornita dai medici della Ca’ Granda, che però non entravano nel recinto e curavano i malati per interposta persona, anzi per interposti monaci e suore, cioè i Francescani (vedi Fra’ Cristoforo del Manzoni) e suore della vicina chiesa del Sacro Cuore.Uomini e donne vivevano separati, il cibo per regolamento era altamente proteico e l’ordine interno rigidissimo. Ordine mantenuto anche con l’utilizzo di una forca piazzata al centro del cortile alla quale venivano appesi (appesi, non impiccati) i disobbedienti.


Il Lazzaretto ospitò migliaia di ammalati nel corso delle almeno dieci pestilenze che nei secoli colpirono Milano. La peggiore fu quella manzoniana del 1630, quando morivano 2.000 persone al giorno e il Lazzaretto arrivò ad ospitare 16.210 appestati!

Dal ‘700 iniziò il degrado e la struttura venne utilizzata in mille modi: come deposito e orti della Ca’ Granda, opera pia per dar lavoro ai mendicanti, scuola di veterinaria, luogo di parate e, per finire, le cellette vennero trasformate in botteghe e osterie. Nel 1821 il Lazzaretto venne abbattuto per lasciar spazio alla prima grande speculazione edilizia di Milano e al suo posto vennero costruiti i grandi palazzi ancor oggi visibili all’inizio di Corso Buenos Aires. Oggi tutto ciò che rimane sono otto cellette in cotto che si possono appunto vedere esternamente da via San Gregorio, lungo l’antico fossato.

Via San Gregorio - Chiesa SS Nicola e Ambrogio, chiostro - Wilma Viganò

Il consiglio però è quello di entrare in via San Gregorio al 5 dove potrete ammirare le arcate originali e soprattutto scoprire un’ affascinante chiesina, piccola piccola, dedicata ai Santi Nicola e Ambrogio. Quel che resta del Lazzaretto è stato infatti donato in comodato d’uso alla chiesa ortodossa e le celle degli appestati sono diventate le camerette dei Popi!

Alla chiesina, alla quale si può liberamente accedere dopo le 10 del mattino, si arriva attraversando un minuscolo cortile colmo di ogni qual cosa. L’interno è costituito da un unico locale, poco più grande del mio soggiorno, sovraccarico di icone dorate, alcune molto belle, fiori, suppellettili, ex voto… e chi più ne ha più ne metta. Lì vi ritroverete, come per magia, nella Russia ottocentesca e sarà un’esperienza indimenticabile. Se poi avrete la fortuna di capitare nel corso di una celebrazione, come è capitato a me unica presenza esterna ad una Messa cantata in rumeno, sarete considerati i benvenuti.

Sino a qualche tempo fa, in una cella laterale era custodito il quadro di una Vergine che – a detta anche di quanto riportato sui giornali – aveva pianto almeno tre volte. Adesso è tutto scomparso, ma non ho osato chiederne la ragione.

Chiesa San Gregorio Magno - facciata - Wilma Viganò

Usciti dalla chiesina ortodossa, il consiglio è quello di attraversare la strada ed entrare nella chiesona di San Gregorio Magno (nomen omen), un imponente edificio del primo ‘900 di stile neo romanico in mattoni rossi e pietra grigia. Già l’interno è un po’ insolito. A navata unica, colpisce subito, sulla parete di fondo, il grande dipinto della Crocefissione, con alla sinistra le anime del Purgatorio e alla destra la resurrezione dei morti.

A questo punto occorre però un antefatto. Bisogna sapere che il luogo dove sorge la chiesa, parecchio rialzata rispetto al livello stradale, fu per molto tempo un foppone, ovvero un cimitero, dove venivano seppelliti i morti del Lazzaretto lì vicino. E proprio sotto l’altare maggiore è stata costruito un grande ambiente dove sono state raccolte tutte le ossa ritrovate nei dintorni. Che erano tante.

Se poi riuscite a scendere nella cripta costruita tutto intorno, vi ritroverete nel lapidario del Comune di Milano, una sequenza di suggestivi ambienti in stile Liberty dove sono raccolte una serie di lapidi di personaggi illustri provenienti dall’antico cimitero di San Gregorio, a cui se ne sono aggiunte altre nel corso degli anni, come quelle di milanesi illustri come Carlo Porta e Vincenzo Monti. Su un lato un grande altorilievo in marmo raffigura San Carlo Borromeo che distribuisce la Comunione agli appestati. Un’esperienza da vivere vi assicuro!

Usciti da San Gregorio Magno e per terminare il nostro giro, proseguite per pochi passi lungo via San Gregorio e girate a sinistra all’incrocio di via Lecco. Scorgerete sul fondo la chiesa di San Carlo al Lazzaretto (San Carlino per gli amici) che altro non era che l’altare coperto fatto costruire dall’arcivescovo Carlo Borromeo al centro del Lazzaretto. La struttura ottagonale, come quella di oggi, aveva però nel Cinquecento le arcate aperte per permettere agli appestati – come racconta il Manzoni nel XXI capitolo dei Promessi Sposi – di assistere alle funzioni senza muoversi dalla propria cella e quindi senza disseminare il contagio. Le Messe proseguirono sino all’arrivo di Napoleone che destinò la chiesa, come mezza Milano, ad usi militari.

Fu nell’800 che il Piermarini ricevette dal Comune l’incarico di recuperare l’edificio trasformandolo in Altare della Patria e si deve a lui (cioè all’architetto della Scala e della Villa Reale di Monza) la costruzione della nuova cupola, mentre le pareti esterne erano già state murate. A fine ‘800 la chiesa venne quindi definitivamente restaurata e riaperta al culto. Di nuovo impacchettata per anni a causa dei danni causati dalle vibrazioni del vicino passante ferroviario, San Carlino è stata finalmente riaperta al pubblico un paio d’anni fa con l’obbiettivo di utilizzarla anche e soprattutto come sala concerti.

Impeccabile la ristrutturazione: semplice, rigorosa, con tocchi di modernità e i dovuti omaggi a San Carlo. Pare che gli ex locali del parroco siano destinati ad ospitare spogliatoi, bagni, sala prove e persino alloggi per i concertisti.

Anche nelle chiese Milano offre perfetti esempi di riconversione!

 
 
 

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