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Immagine del redattoreWilma Viganò

Via Conservatorio - 2

Aggiornamento: 11 ott 2021

ARMONIA DI ARTE E MUSICA


Ben ritrovati per questa seconda parte della passeggiata in via Conservatorio. Usciti dalla chiesa di Santa Maria della Passione ci troviamo sul piazzale antistante che, sulla sinistra, ci invita a visitare il Conservatorio di Milano che altro non è che il convento dei Lateranensi, custodi della chiesa sino a fine Settecento. Si tratta di una struttura quadrangolare, le cui facciate esterne denotano, salvo un brevissimo tratto in mattoni rustici, il rifacimento baroccheggiante del tardo seicento. All’interno due chiostri: quello più antico è stato trasformato in auditorium, mentre quello seicentesco vi accoglie all’ingresso con l’armonioso porticato.

Per tornare alla storia, soppresso l’Ordine Lateranense dal solito Napoleone, il fabbricato venne destinato dal viceré d’Italia e figliastro di Napoleone Eugenio di Beauharnais agli studi dell’arte musicale. Inaugurato il 3 settembre 1808, vi furono insediati inizialmente 11 insegnati e un maestro di ballo, per accudire 24 maschi e 12 femmine, tenuti rigorosamente separati nei due recinti originali “in modo – come diceva il regolamento – che non potrà quello dei maschi avere comunicazione immediata coll’altro delle fanciulle”. Vitto e alloggio per tutti a spese del governo ed in effetti il termine conservatorio, nella lingua italiana dell’epoca, era sinonimo di orfanotrofio.

Il successo fu immediato anche grazie alla stretta collaborazione stabilita immediatamente con il Teatro alla Scala. Da allora hanno seguito i suoi corsi virtuosi del canto e musicisti insigni, da Giuseppina Strepponi ad Amilcare Ponchielli, Alfredo Catalani, Giacomo Puccini, Pietro Mascagni e, più recentemente, Victor De Sabata, Gianandrea Gavazzeni, Maurizio Pollini, Riccardo Muti, Luciano Chailly, Giovanni Allevi … e tanti altri.

Ma la storia più curiosa riguarda Giuseppe Verdi che, nel 1832, fece domanda d’ammissione che …sorpresa! venne respinta. La commissione giudicatrice lo considerò infatti troppo anziano (aveva 18 anni rispetto all’età massima consentita di 14) e inoltre risultava avere una “errata tecnica nella postura delle mani”. E come se non bastasse era anche straniero, dato che proveniva dal Ducato di Parma. Per fortuna intervennero alcuni benefattori della Scala che sponsorizzarono gli studi milanesi del ragazzo e il Conservatorio si fece perdonare qualche anno dopo dedicandogli l’intera struttura.

All’attività scolastica, si affianca nella prima metà del ‘900 un’intensa attività concertistica, ben frequentata dalla borghesia milanese, una frequentazione che Carlo Emilio Gadda ci descrive con ineffabile ironia nel suo capolavoro L’Adalgisa. Passano gli anni e sopravviene la distruzione con i bombardamenti su Milano del 1943. Sulla parete all’ingresso del bar si può ancora vedere l’orologio fermo al momento della caduta delle bombe. Per fortuna si salva la biblioteca, che ospita più di trecentomila volumi e spartiti, la più grande del genere in Italia. Si ricostruiscono le aule e si organizzano due sale concertistiche: la Verdi, con la capacità di 1.800 posti destinata all’esecuzione di musica sinfonica e corale, e la Puccini, di circa 450 posti, per la musica da camera. Tutt’attorno alle sale e al primo piano, teche e vetrine espositive raccolgono testimonianze musicali di tutti i tempi, compreso un prezioso repertorio di strumenti ad arco, ma non solo.

Attualmente, in termini numerici assoluti, il Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano ha un numero di allievi dei corsi avanzati pari al numero di tutti gli altri Conservatori italiani messi insieme.

Conservatorio G. Verdi - Chiostro - Wilma Viganò

Ma non lasciamo il Conservatorio senza soffermarci nel chiostro seicentesco per ammirare un vero e proprio museo a cielo aperto: Il “Bosco nel chiostro”, otto imponenti sculture di altrettanti artisti contemporanei che, come afferma la Presidente Maria Grazia Mazzocchi “… come ogni altra forma d’arte, concorrono con la loro stessa presenza a rivelarci costantemente la sublime bellezza dell’universo. Come scrive Goethe nel prologo del suo Faust: così l’arte in ogni sua rappresentazione risuona, ecco la musica, di quella medesima armonia universale che unifica e svela il senso profondo delle cose ultime”. Al centro, l’imponente Lancia di luce in bronzo di Arnaldo Pomodoro svetta come una guglia del Duomo accanto ad una sorta di nuvola in ferro e rete di rame di Pietro Coletta. Tutto molto suggestivo, da godersi specialmente la sera, con la speciale illuminazione, all’uscita dei concerti.



Lasciato il Conservatorio, rivolgiamo ora la nostra attenzione all’altro lato della piazza, tecnicamente all’indirizzo di via Bellini 11, dove possiamo stupirci per una delle più affascinanti espressioni del Liberty milanese: Casa Campanini. Alfredo Campanini fu uno dei più affermati architetti del primo Novecento, costruttore, tra l’altro, del villaggio medioevale di Grazzano Visconti voluto dai Visconti di Modrone accanto al loro castello restaurato in stile dallo stesso Campanini.

Ma il suo capolavoro è senz’altro l’edificio di via Bellini, dove ci ha messo tutta la sua arte e la sua fantasia anche perché … era casa sua, cioè destinata ai vari membri della famiglia. Edificata nel 1904 e molto ben conservata, è in perfetto stile floreale con due giunoniche Pomone in pietra all’ingresso per le quali – forse memore delle polemiche suscitate dalle cariatidi della Ca’ di Ciapp che dovettero essere rimosse per oltraggio al pubblico pudore – scelse un approccio un po’ più soft, con le rigogliose forme adeguatamente drappeggiate.

Ma avviciniamoci al palazzo ed ammiriamo innanzi tutto il cancello d’ingresso in ferro battuto realizzato su disegno del Campanini stesso da Alessandro Mazzucotelli, il più famoso artigiano del ferro del Novecento.

Casa Campanini - Scalinata - Wilma Viganò

Entriamo quindi nell’atrio dove un gentilissimo portiere vi permetterà di ammirare la tromba delle scale più sensazionale di Milano, un vortice ininterrotto di motivi floreali, fregi e affreschi senza soluzione di continuità. Guardate poi per aria e beatevi col soffitto del portico che dà sul cortile, dove risaltano vivacissimi disegni di mazzetti di ciliegie rosse con al centro un elegantissimo lampadario in ferro battuto, del solito Mazzucotelli ovviamente. Anche l’atrio d’uscita merita uno sguardo a 360 gradi: qui il soffitto è abbinato ad una luminosissima porta con vetri colorati.

Nota biografica. Il povero Campanini, che oltre che architetto era imprenditore edile, scomparve prematuramente per un incidente sul lavoro, investito dal crollo di una sua casa in costruzione in corso Plebisciti.

Oggi riposa in un bel monumento posto nella galleria superiore di ponente del Cimitero Monumentale. Non c’è che dire: se l’è meritato!

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