I CLERICI: IL PALAZZO DI CITTÀ
Oggi ho voglia di raccontarvi la storia di una famiglia. O, per essere più precisi, delle tre case di una famiglia che che con il loro sfarzo e la loro opulenza hanno fatto – e fanno tuttora – un po’ della storia di Milano. E visto che le case sono tre sarà meglio che suddivida il racconto in due puntate. La famiglia è quella dei Clerici e le case sono quella di città, cioè Palazzo Clerici nell’omonima via proprio di fianco al Duomo, Villa Clerici, la villa di delizie e svaghi nell’allora campagna di Niguarda, e Villa Carlotta di Cadenabbia, sul lago di Como, celeberrima per le azalee e per ospitare Amore e Psiche del Canova.
Ma cominciamo con una brevissima parentesi storica. Nel Settecento i Clerici non erano ricchi: erano straricchi. E ci tenevano a farlo sapere. Originari del comasco, i “danée” li avevano fatti col commercio della seta e con il prestito ad usura, creando quella che oggi verrebbe con un po’ d’ipocrisia definita una “merchant bank”.
Ma il loro pallino era l’ascesa sociale che i Clerici cercarono di conquistare in tutti i modi possibili. Innanzi tutto reperendo titoli nobiliari (diventarono Marchesi di Cavenago e Signori di Cuggiono e Trecate). Poi imparentandosi con i Visconti (un ramo cadetto, ma pur sempre Visconti!). Ed infine entrando addirittura in politica quando l’erede della dinastia, Anton Giorgio Clerici, nel periodo della dominazione austriaca divenne consigliere di Stato, cavaliere del Toson d’Oro ed acquistò a proprie spese il titolo di ambasciatore straordinario di Maria Teresa d’Austria presso la Santa Sede. Pensate che per l’ingresso a Roma nel 1758, per ingraziarsi il popolino il Marchese di Cavenago ferrò i cavalli del suo fastoso corteo gentilizio con ferri d’argento facendo poi in modo che qualcuno se ne perdesse lungo la strada! (Fattaccio rappresentato in un quadro oggi al museo del Castello.)
La nostra visita alle loro case inizia dal centro città, cioè dal numero 5 di via Clerici, tra il Duomo e la Scala, dove i Clerici stabilirono la loro residenza milanese e dove nel 1740 il già citato Anton Giorgio Clerici ordinò uno strepitoso riarredo in vista del suo matrimonio con Fulvia Visconti previsto per l’anno successivo.
A Milano, si sa, almeno pubblicamente vige l’understatement e i Clerici, bene o male, vi si dovettero sottostare anche loro. Così la facciata del palazzo, originariamente della famiglia della sposa, è tuttora piuttosto severa, scandita com’è da finestre e cornici di gusto tardo barocco. Dal corpo centrale del palazzo, un po’ arretrato per consentire l’ingresso alle carrozze dalla via molto stretta, si accede ad un inaspettato ed ampio cortile porticato dominato da una torretta e da un enigmatico orologio. Sulla destra le scuderie. L’accesso al piano nobile avviene tramite lo scalone d’onore, e qui s’inizia ad intravvedere lo straordinario intervento voluto dai Clerici con le voluttuose sculture di odalische negli snodi delle balaustre.
Un ardire per quei tempi che voleva le statue d’ispirazione mitologica e non … come dire? … carnale. Al termine dalla scalinata, ecco comparire una serie pressoché infinita di sale, salette e saloni stracolmi di affreschi, stucchi, arazzi, ori, specchi e pavimenti di legno intarsiato frutto di abilissimi ebanisti, intagliatori e pittori dell’epoca.
Tra i primi ambienti colpisce la Sala da Ballo, con le sinuose balconate che corrono tutt’attorno alla sala per ospitare i musici, mentre sul lato opposto del cortile si accede alla straordinaria Galleria degli Specchi, che nulla ha da invidiare ad una reggia, Versailles compresa. Oro, oro e ancora oro a decorare e far risplendere ogni possibile superficie che non sia occupata da specchi o da preziosi arazzi, anche se tutta l’attenzione dei visitatori viene immediatamente catturata dalla volta affrescata dal Tiepolo, il Maestro dei cieli in una stanza, che si trovava a quei tempi a Milano per affrescare alcune cappelle di Sant’Ambrogio.
Una volta di ben 119 metri quadrati di pittura: un vero trionfo della fantasia settecentesca giustamente considerata una sorta di Cappella Sistina laica splendente di luci, colori e prospettive aeree. Apollo, al timone del Carro del Sole, emerge dalla sfera azzurrina della Terra per attraversare il cielo, mentre gli Dei dell’Olimpo e del mare, le creature della terra e stuoli di angiolini assistono allo spettacolo. Tutt’attorno allegorie dei quattro continenti e delle arti in un trionfo di illusionismo e fantasie, con coppie di cammelli carichi di mercanzie orientali, un pellerossa americano con una colonizzatrice inglese, un’enorme proboscide e due zanne anticipano l’arrivo di un elefante… E poi ancora il ratto d’Europa, le divinità fluviali… Insomma di tutto e di più. In un angolo sul fondo, accanto ad un giullare che trascina una scimmia alla catena, spunta il profilo di un uomo con la pipa. E il viso che gli sta accanto è quasi certamente l’autoritratto del pittore.
Insomma, un capolavoro tutto da godersi, ma che costò caro, anzi carissimo ai Clerici che, per rientrare nelle spese, si videro costretti ad affittare gli ambienti. I primi inquilini furono nobilissimi. Nientemeno che il figlio diciassettenne dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria che stava per andare a nozze con Maria Beatrice d’Este, di 4 anni più matura. La cerimonia venne celebrata in Duomo e i festeggiamenti, curati nientemeno che dal Piermarini, durarono due settimane. Al termine dei quali i giovani sposi si insediano nel nido d’amore in affitto in attesa di trasferirsi a Palazzo Reale, allora in ristrutturazione proprio a cura del Piermarini. E’ così che arrivano a Palazzo Clerici e ci staranno così bene (si fermeranno per ben 7 anni) da far scrivere a Vienna dal plenipotenziario Firmian che, piuttosto che sottostare alle economie raccomandate dall’alto, avrebbero preferito stare lì dov’erano. E dagli torto!
Ma quando la coppia imperiale finalmente se ne va, il palazzo viene frazionato in tanti appartamenti più piccoli. Durante gli anni di Napoleone viene acquistato dal Ministero del Tesoro del Regno d’Italia e destinato ad ospitare, fino al 1939, la Corte d’Appello. Oggi è sede dell’ISPI, Istituto per gli Studi di Politica Internazionale, punto di riferimento nel mondo della diplomazia e delle relazioni internazionali.
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