IL FUORIBRERA
Per la passeggiata di oggi mi sono inventata un neologismo: il FuoriBrera. Ispirata dal ben più famoso FuoriSalone, vorrei infatti accompagnarvi a conoscere alcune opere o luoghi che stanno sì nel palazzo di Brera, ma che non sono né la mitica pinacoteca e neppure l’altrettanto celeberrima biblioteca Braidense. Opere o ambienti forse un po’ misconosciuti rispetto ai loro ingombranti vicini, ma con tante storie da raccontare.
Per cominciare spenderei però due parole sulla sede. Brera, come spesso capita agli edifici della zona, altro non è che un antichissimo convento fondato nel 1178 dagli Umiliati. Collocato fuori le mura della città, deriva il nome dal latino medievale braida, cioè fondo adiacente alla città. Qui scorreva il Naviglio e i frati, oltre che alla preghiera, si dedicavano con grande successo commerciale alla lavorazione del feltro. Ma dopo tre secoli l’ordine cadde in disgrazia per qualche episodio di corruzione per nulla gradito dall’irreprensibile Carlo Borromeo, già in odor di santità. Le cose poi precipitarono del tutto quando un Umiliato, tale Gerolamo Donato detto il Farina, tentò addirittura di assassinare l’arcivescovo con un archibugio. Mancandolo per fortuna. Si gridò però al miracolo, l’ordine venne soppresso e il Farina e i suoi complici condannati a morte. Fine degli Umiliati e il loro edificio di residenza, cioè Brera, venne assegnato dal Papa alla neonata Compagnia del Gesù. Che, prima di insediarsi, provvide, come s’usa fare, a ristrutturarla. E l’incarico venne affidato nientemeno che all’architetto Francesco Maria Richini, già capomastro del Duomo, autore della facciata e cortile della Ca’ Granda, del Collegio Elvetico, e di una serie infinita di palazzi, ville e chiese di Milano e dintorni. Insomma, uno importante, che portò a Milano il gusto e la cultura barocca romana, fastosa, esuberante e scenografica, temperata però dall’influenza palladiana e dal classicismo milanese del tardo cinquecento.
E il Richini fece un gran bel lavoro che possiamo ammirare oggi non appena varcato l’ingresso dell’ex-convento, ed affacciandoci nel cortile d’onore con archi su doppie colonne. Qui ci si para davanti, “bel e che biot” come direbbero a Milano, un statua in bronzo di Napoleone Bonaparte che credo mai, nemmeno nei suoi sogni più sfrenati, abbia mai immaginato di poter apparire tanto imponente. Raffigurato come Marte pacificatore esibisce quello che è considerato dalle sciure milanesi il più bel fondoschiena maschile della città. La statua troneggia nel centro del cortile su un alto piedestallo ma altro non è che una copia in bronzo dell’originale in marmo di Carrara realizzata da Antonio Canova nel 1806 su commissione dello stesso Napoleone.
La versione in bronzo fu invece fatta realizzare l’anno seguente dall’ambasciatore di Francia a Roma, ma trovò questa collocazione pubblica solo nel 1859 in omaggio ad un altro Napoleone, questa volta terzo, per aver liberato la Lombardia dall’occupazione austriaca nella seconda guerra d’indipendenza. Per curiosità può essere interessante sapere che la statua originale in marmo, venduta dal governo borbonico alla Corona d’Inghilterra, finì al Duca di Wellington, vincitore della battaglia di Waterloo, che la mise in bella vista nella sua residenza londinese dove è tuttora custodita. Sic transit gloria mundi.
Ma solleviamo ora lo sguardo dietro Napoleone sulla loggia superiore, proprio sopra l’ingresso della pinacoteca: qui possiamo ammirare un antico orologio a cui far risalire la tradizionale puntualità dei milanesi. Originariamente destinato a regolare l'entrata e l'uscita degli studenti che frequentavano il collegio dei Gesuiti, nel 1786, con il delicato passaggio dall’ora italica a quella oltremontana, l'orologio di Brera venne dotato di un nuovo e sofisticato meccanismo a pendolo e venne deciso che doveva servire come riferimento per gli altri orologi pubblici di Milano: dal Castello, a Palazzo Reale, da Palazzo Marino al Tribunale. L’assegnazione di questo delicato ruolo era dovuta alla vicinanza dell’Osservatorio Astronomico dove si misurava l’ora secondo i più avanzati criteri scientifici del tempo. Severamente danneggiato per i bombardamenti durante l’ultima guerra, l’orologio è stato “pensionato” nel 1955. Oggi però, accuratamente restaurato, viene mantenuto in funzione dall’ARASS, una meritoria Onlus, tra i cui membri ci sono parecchi ex-orologiai pensionati, che si occupano del recupero, restauro e valorizzazione del patrimonio storico-scientifico milanese.
Abbiamo citato l’Osservatorio Astronomico ed è proprio lì che ci dirigiamo, salendo la scalinata sul lato destro. Tutto ebbe inizio nel ‘700 quando due Gesuiti appassionati di astronomia ed insegnanti dell’allora Collegio ad uso dei religiosi e della nobiltà, dopo aver scoperto a occhio nudo una cometa, ne seguirono il passaggio con il loro cannocchiale. E, precursori del marketing, ne comunicarono la notizia ai milanesi con manifesti murali affissi nelle vie della città. Visto l’interesse suscitato, il rettore del Collegio concesse ai due Padri di approfondire gli studi e fornì loro anche qualche finanziamento. Fu così che nacque l’Osservatorio Astronomico di Brera, la più antica istituzione di ricerca di Milano, ancora scientificamente attiva dopo oltre 250 anni. La fondazione ufficiale dell’Istituto venne affidata nel 1765 a Ruggero Boscovich, originario della Dalmazia che, oltre che astronomo, era anche ingegnere civile ed architetto. E fu lui che progettò, e si fece costruire sui tetti del palazzo del Richini, una torretta ottagonale per ospitare gli strumenti astronomici, torretta visibile solo dal retro dell’ex convento. A Brera la Compagnia del Gesù rimase sino al 1773, quando venne soppressa dal Papa (non è che il palazzo porti bene agli ordini religiosi), e al posto dei Gesuiti subentrò il governo austriaco che, su impulso della grande Maria Teresa, destinò gli spazi disponibili a un grandioso polo culturale e scientifico che tuttora ospita la Pinacoteca, la Biblioteca Braidense, l’Accademia di Belle Arti e, appunto, l’Osservatorio.
Altro glorioso protagonista della storia dell’Osservatorio fu Giovanni Schiapparelli che grazie alla specola (tuttora funzionante) di Brera produsse una celeberrima mappatura di Marte, che fece tanto scalpore nella seconda metà dell’Ottocento quando, interpretando dei solchi sulla superficie del pianeta come canali, si arrivò a supporre qualche forma di vita. Insomma i Marziani furono inventati a quel tempo. A questo punto permettetemi, a margine, una curiosa digressione modaiola, di sicuro interesse per le signore. Elsa Schiapparelli, la mitica stilista che inventò tra l’altro il rosa shocking, era la nipote prediletta dello scienziato, che le trasmise coi suoi racconti un grande amore per il cielo. Fu così che, diventata grande e intrapresa la carriera nel mondo della moda, Elsa dedicò allo zio una creazione iconica del suo marchio: la giacca “Zodiac” che ancor oggi, con cieli stellati e astri, appare regolarmente, con infinite varianti, nelle collezioni della Casa di moda Schiapparelli.
Tornando all’Osservatorio, le principali strumentazioni storiche sono oggi raccolte nel museo allestito in una grande sala dell’Osservatorio stesso dove è interessante farsi accompagnare dal curatore durante i giorni d’apertura per visite guidate. Anche se, per ammirare la luna ed altri pianeti, bisogna invece prevedere una visita notturna alla sezione distaccata dell’osservatorio a Merate, in Brianza. A Milano infatti l’inquinamento luminoso non permette più osservazioni astronomiche. Abbiamo spento le stelle!
Ma dopo tanto girovagare, concludiamo la nostra passeggiata ristorandoci nel piccolo ma organizzatissimo orto botanico del palazzo a cui si accede lateralmente dalla via privata Fratelli Gabba. E’ piccolo e nascosto, ma appare come un miracolo di verde e tranquillità in pieno centro città. Fin dalle origini era l’orto del convento, luogo di meditazione e coltivazione prima dei padri Umiliati e poi dei Gesuiti. Divenuto orto botanico comunale, dal 1935 è annesso e gestito dall’Università degli Studi di Milano.
A lungo sede di alta formazione in farmacia e medicina mediante la coltivazione di erbe curative, è stato recentemente riqualificato ed ampliato con l’aggiunta dell’area dell’Arboreto. Durante tutto il corso dell’anno vi si possono seguire percorsi educativi per scuole e famiglie in un’ampia serra trasformata in aula didattica, ma ci si può anche semplicemente entrare per un po’ di flanerie, un po’ di lettura o, in onore dei suoi trascorsi religiosi, per un po’ di meditazione.
Non è un giardino di piante esotiche: alberi, piante e verdure sono soprattutto locali, tutte diligentemente ordinate per categoria. E non avete certamente idea di quante specie di salvia esistano! Fontane, grotte e sedute artistiche segnano i percorsi, mentre lungo i vialetti passeggia mamma papera con i figlioletti (ma forse sono germani reali!).
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