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Immagine del redattoreWilma Viganò

Verso l’Ortica

Aggiornamento: 12 ott 2021

MORTE, VITA E MIRACOLI SULLA STRADA DELL’EST


La passeggiata di oggi va verso Levante, direzione Città Studi, verso l’Ortica, alla scoperta di luoghi che mi auguro aggiungano un po’ di stupore alla vostra immaginazione.

E cominciamo con una palazzina che – ne sono pressoché certa – mai vi sarebbe venuto in mente di visitare. Va detto che, da Kay Scarpetta sino alle attuali serie televisive, l’Istituto di Medicina Legale ha indubbiamente suscitato contrastanti reazioni di fascino e repulsione nelle nostre fantasie. Ma quello che ci si presenta davanti, al 37 di via Mangiagalli, è una tranquillizzante palazzina in puro stile razionalista.

A Milano la Medicina Legale ha una grande tradizione. Come recita lo Statuto approvato dal Duca Gian Galeazzo Visconti nel 1396 Aliquam sententiam per aliquem vel coram aliquo iustenente et deputato”, ovvero “nessuno potrà formulare su ferite o infermità, dinanzi a qualsiasi Tribunale, se non si sia associato un medico del collegio”. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Per secoli gli scienziati, i giuristi, i tecnici e oggi anche gli psicologi dell’Istituto hanno fatto il loro “sporco” lavoro prima nel sepolcreto della Ca’ Granda (di fianco al mitico pont de la Brugna, cioè il ponte su cui passavano i cadaveri), poi nei cimiteri di zona, dal Monumentale a Musocco, e poi ancora al Rifugio Fanny Finzi Ottolenghi di Gorla… finché nel 1934 non è stata inaugurata l’attuale struttura studiata per tener conto di tutte le esigenze dell’Istituto, compresa quella didattica.

Istituto Medicina Legale - Aula Magna - Wilma Viganò

Lo stile dell’edificio è quello tipico degli anni Trenta del ‘900, con all’ingresso una bellissima scala, pavimenti “disegnati” in granito ed una opportuna riproduzione a dimensione naturale della Pietà Rondanini di Michelandelo. Lo stesso formale rigore lo si ritrova nella bellissima Aula Magna, strutturata secondo l’antica usanza medievale per cui il medico patologo legale dirigeva dall’alto della cattedra l’autopsia (delegata ad un macellaio) illustrando nel contempo agli allievi le evidenze scientifiche e relative deduzioni. Il tutto sovrastato da una citazione del Paradiso di Dante: “E questo ti fia sempre piombo ai piedi./Per farti muover lento com’uom lasso/ed al sì ed al no che tu non vedi.” La cattedra dei moderni oratori è costituita da una struttura di cristallo che lascia a vista l’originale tavolo in marmo delle vecchie autopsie. Tanto per citarne una, qui venne collocato Mussolini dopo Piazzale Loreto.

Ma la direzione che vi invito a seguire, segnata da passi sul pavimento dell’ingresso, è quella che conduce ad un interessantissimo museo, forse il più piccolo di Milano, che racconta ai profani, come la maggior parte di noi siamo, il lavoro dell’antropologo, cioè colui che fa parlare le ossa, colui che sa ridare un’identità a persone sconosciute, colui che sa ricostruire la dinamica di avvenimenti di ogni tempo, e che sa dare pace ai superstiti. E di questi tempi di tragedie migratorie e non solo, scusate se è poco. All’Istituto di Medicina Legale lavorano, con grandissima umanità, circa un centinaio di persone che, con un guizzo di fantasia, hanno adottato una colonia di simpatiche tartarughe che navigano tranquillamente nella fontanella del giardino. Anche questa è vita.

Via Golgi - Orto Botanico - Wilma Viganò

Lasciato l’Istituto di Medicina Legale, propongo una divagazione sulla sinistra, mantenendo l’orientamento verso Lambrate, per visitare, in via Golgi, un lussureggiante “polmone verde”, cioè uno dei tre Orti Botanici di Milano. Dal ‘500 fino a metà ‘800, il terreno ospitava la Cascina Rosa, un fiorente centro agricolo di oltre 25 mila metri quadrati gestito dai Marchesi de Rosales. Al periodo agricolo seguì un secolo di abbandono, la cascina sparì e tutto andò incontro a degrado. Si salvarono solo i possenti alberi che punteggiavano il territorio e che, dall’alto dei loro 500 anni di vita, danno ancor oggi il benvenuto ai visitatori.

La svolta per il recupero del territorio avvenne all’inizio del ‘900 quando l’area passò al Dipartimento di Bioscienze dell’Università degli Studi di Milano che ne fece sede di tutta una serie di attività di ricerca didattica e scientifica, oltreché di avvicinamento del pubblico più vasto alla conoscenza del mondo vegetale. Il percorso consigliato si dirama da un bellissimo laghetto coperto da ninfee, prosegue lungo un ruscelletto attraversato da una esile ponticello in pietra, per poi snodarsi, con l’accompagnamento di debiti cartelli esplicativi per ogni albero o coltura, lungo vialetti puntellati da comode panchine per il relax. En plus, non è vietato debordare nei prati. Anzi, si è incoraggiati a farlo. Nelle serre sperimentali, altamente automatizzate, si coltivano piante per la sperimentazione scientifica avanzata, mentre una palazzina ospita il personale e un’aula didattica per le visite delle scolaresche. Prima dell’uscita, sino a qualche tempo fa si poteva trovare un’insolita “installazione” allestita in collaborazione con il vicino Istituto di Medicina Legale che abbiamo appena visitato: la ricostruzione di una “scena del crimine” in perfetto stile CSI. Un’occasione per presentare ai ragazzi (che si divertono un sacco!) alcuni elementi fondamentali di botanica forense, unitamente a chiare e precise istruzioni sul come comportarsi nel caso capitasse di rinvenire un cadavere nel bosco. Putacaso che vi capiti!


Ma lasciamo l’Orto Botanico e avviamoci lungo via Amadeo per raggiungere, dopo aver transitato sotto il passaggio pedonale delle ferrovia, uno dei più tipici quartieri della città: l’Ortica, la zona del “palo” più famoso di Milano. Qui, sulla piazza che si incontra al di là del ponte, troviamo un’antica chiesetta che racchiude in sé la storia e l’orgoglio degli abitanti del quartiere.

Chiesa SS Faustino e Giovita - Facciata - Wilma Viganò

L’Ortica (da “orto”, “ortaglia”, luogo adatto alle coltivazioni in quanto irrigabile dal vicino Lambro) era un agglomerato di alcune cascine sorte accanto ad una piccola chiesa risalente all’anno Mille che svolgeva il ruolo di chiesa stazionale, cioè “luogo per fermarsi”. Collocata com’era ai margini dell’antica strada consolare romana che portava a Brescia, assunse il nome dei santi protettori di quella città, cioè Faustino e Giovita, due giovani nobili e cavalieri bresciani che, dopo la conversione al cristianesimo, subirono il martirio verso il 120 d.C. per non aver voluto sacrificare agli dei.

Ma Brescia è lontana per gli abitanti dell’Ortica, e la chiesetta è meglio conosciuta in loco come Santuario della Madonna delle Grazie per via di un voto legato alla liberazione di Milano dopo l’invasione di Federico Barbarossa. Una devozione che ha trovato una straordinaria rilevanza storica con il ritrovamento, nel 1979, di un misterioso graffito apparso in occasione della rimozione (per restauro) dell’antico affresco bizantineggiante della Madonna che aveva permesso ai milanesi di tornare in città dopo l’esilio imposto dal Barbarossa. Il graffito, che gli esperti hanno permesso di datare al 12 aprile 1182, è redatto con la scrittura carolina introdotta da Carlo Magno e sembra una mappa del tesoro. In effetti è una semplice preghiera redatta dal monaco-scrittore-pittore Silanus, ad uso e consumo degli abitanti esiliati di Porta Renza. Vi si illustra la vita dei tempi: un uomo con in bocca un’anguilla di cui è ricco il Lambro, anatre selvatiche a rappresentare la caccia, e così via.

Risale sempre a quei tempi la diceria, suffragata però da vecchi abitanti della zona, secondo la quale risultava che dalla chiesa si dipartisse un passaggio segreto sotterraneo denominato “el passagg scappapret” (il passaggio scappapreti) che la congiungeva con un monastero dei dintorni e con l’oratorio di Sant’Ambrogio. Da cosa i preti dovessero scappare, non si sa.

L’attuale struttura della chiesetta è dovuta ad un rimaneggiamento del 1519, quando venne aggiunta la bellissima sacrestia. Seguirono secoli di degrado, e la chiesina è tornata solo in tempi recenti agli antichi splendori, tutti da ammirare. Esternamente l'edificio è molto semplice: facciata intonacata priva di decorazioni e tetto a capanna, con accanto il campanile originale quattrocentesco. L’interno invece (un’unica navata di solo 20 metri per 8) esibisce volte decorate da ricchi ed insoliti affreschi settecenteschi sulle tonalità pastello dell’azzurro, del verde e in particolare del rosa.

Ma la narrazione più suggestiva è senz’altro quella della vecchia sacrestia. Qui gli affreschi vengono fatti risalire ai primi del ‘500 e la commissione artistica di Brera li ha dichiarati attribuibili ad un anonimo maestro seguace della scuola di Leonardo. Troviamo un Cristo che porta la croce, un altro dalle braccia incrociate e dall’espressione mesta e serena, un pastore della Val Cavargna (riconoscibile dalla formaggella che porta tra le mani), l’Assunzione di Maria, gli Apostoli (precisa citazione di quelli del Cenacolo)... insomma quasi un ciclo, incorniciato lungo le volte di un soffitto a lunette.

Il tutto molto evocativo e che senz’altro vale la pena di visitare.

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