C’era una scuola di danza nella mia città, ma non l’ho mai frequentata, probabilmente perché già in tenerissima età avevo il preconcetto che fosse qualcosa di elitario, destinato a poche bambine di estrazione sociale più alta della mia.
Mi sono avvicinata alla danza moderna, ma la mia incostanza (unita alla timidezza) ha avuto la meglio e nel corso degli anni più di una volta mi ha sfiorata l’idea di seguire corsi di danza classica per adulti, ma tutto è rimasto tra i buoni propositi mai realizzati…però qualcosa alla fine l’ho fatto…non amando le palestre mi sono data al Pilates (12 anni fa) la ginnastica dei ballerini si diceva (ed in effetti è largamente utilizzato).
Dalla danza abbiamo attinto anche altri metodi di allenamento che stanno prendendo piede in questi ultimi anni, ad esempio il crescente aumento di corsi di barre workout…il lavoro alla sbarra
Forse per molti il balletto resta ancora qualcosa di lontano dal proprio sentire, ma credo che tutti conoscano Carla Fracci (stanno girando anche un film tv su di lei) o Roberto Bolle che è riuscito – con ottimi ascolti – a portare la danza classica in prima serata (e a riempire i teatri).
Insomma la danza nella mia vita alla fine ci è entrata, per vie traverse e probabilmente sono queste le premesse che mi hanno spinta a fare una puntata tutta sulle punte…e prima ancora a farmi vedere serie TV e documentari sul tema.
La serie TV che ha scatenato tutto questo è Tiny Pretty Things, 10 puntate disponibili su Netflix dal 14 dicembre scorso.
Ne parlo dopo perché appena ho iniziato la visione, ho fatto mente locale a quante serie TV e documentari sul tema mi è capito di guardare in questi anni.
Bunheads, uscita in Italia con la traduzione A passo di danza – serie TV del 2012 creata da Amy Sherman-Palladino (sì, la stessa di Gilmore Girls -Una mamma per amica e The Marvelous Mrs. Maisel).
Racconta la storia di Michelle, ballerina di Las Vegas, che dopo l’ennesima audizione andata male per un musical accetta di sposare un corteggiatore di lunga data, Hubbell. Si trasferisce in questa cittadina Paradise, in California dove vive la suocera Fanny – insegnante di danza ed interpretata da Kelly Bishop (era nonna di Rory in Una mamma per amica). Il matrimonio dura pochissimo perché Hubbell muore in un incidente, ma Michelle decide di rimanere nella cittadina…e collabora con la suocera nella scuola di danza…e qui incontra delle adolescenti molto diverse tra loro.
Un commedia leggera, con scambio di battute veloci nello stile che ben conosciamo ma ci sono alcuni dettagli interessanti come scrive Claire Kretzschmar (soloist dancer al New York City Ballet all’interno del libro The Women of Amy Sherman-Palladino in cui sono presenti diversi contributi (critici, comici, scrittori, ballerini) che descrivono le protagoniste delle serie TV e come hanno influenzato la loro vita.
Nell’undicesimo capitolo si parla di Michelle e di Bunheads e a farlo è appunto una ballerina, si è ritrovata in molte descrizioni, tanto nell’approccio al duro lavoro imposto da Fanny, ma anche del suggerimento che sembra quasi opposto di Michelle di coltivare interessi in altre aree...consiglio che si è rivelato utile anche a Claire Kretzschmar, nonostante l’impegno richiesto nella sua formazione. Un mondo che la Sherman conosce bene, il padre era un comico, la madre una ballerina e lei stessa ha vissuto in prima persona questo mondo prima di scegliere di dedicarsi alla sceneggiatura. È riuscita dunque a coniugare e a rendere credibile questa serie con la freschezza e l’humor a differenza – spiega ancora l’autrice – di molte altre serie più cupe e spietate.
Ed in effetti Flesh and Bone serie del 2015 disponibile su Starz va in questa direzione, già a partire dal titolo: carne e osso/a.
La protagonista è Claire che fugge da Pittsburgh per andare a NY e fare un provino per entrare nell’American Ballet…e ci riesce, conquistando anche il direttore artistico che vuole darle la parte da solista nel balletto di apertura della stagione. Parla poco, sembra subire le invidie e gli atteggiamenti di aperto disprezzo nei suoi confronti. Ma c’è altro e lo si scopre piano piano
Quello che si è lasciata alle spalle è una storia difficile da descrivere senza fare spoiler.
Una storia cruda – una battaglia o una guerra - i titoli delle puntate derivano proprio dal gergo militare - ma a mio avviso una serie interessante, nel cast ballerini professionisti (perché la produzione non ha voluto controfigure) e una protagonista convincente Sarah Hay contrapposta a Irina Dvorovenko anche nella fisicità.
Me la sono rivista di recente e alcune dinamiche sono presenti anche in Tiny Pretty Things, la serie di Netflix di cui parlavo all’inizio, anche se qui il target è più teen…drama ovviamente con tanto di caduta dal tetto della ballerina più promettente della Archer School of Ballet di Chicago.
Arriva anche qui una nuova studentessa, Neveah e ovviamente non mancano malumori, competizioni e sabotaggi, con finale aperto tanto da ritrovarsi in trepida attesa di una nuova stagione.
Ci sono elementi interessanti e molto attuali in questa serie e anche felici coincidenze. Me ne sono resa conto qualche giorno dopo aver deciso di approfondire il discorso balletto.
Sempre su Netflix ho trovato Dance Dreams: Hot Chocolate Nutcracker (27 novembre 2020) prodotto da Shondaland e con protagonista Debbie Allen e la sua Dance Academy (DADA).
Vedendo il suo volto molti la associano ad uno dei suoi ultimi ruoli Catherine Avery in Grey’s Anatomy, ma voi vi ricordate la sigla di Fame - Saranno Famosi - con l’insegnante di danza che diceva: “voi fate sogni ambiziosi, successo, fama, ma queste cose costano ed è esattamente qui che si incomincia a pagare, col sudore.”
Beh era proprio Debbie Allen!
In questo documentario si racconta non solo il suo progetto di allestire una versione nuova dello Schiaccianoci (quindi casting e prove…anche con bambini di 3 anni) ma anche la sua storia di ballerina nera e un mondo quello del balletto in cui la rappresentazione della diversità – nei corpi ma anche del colore della pelle – è ancora lontana.
È notizia di qualche mese fa il mancato rinnovo del contratto di Chloé Lopes Gomes nello Staatsballett di Berlino. Un storia, come ha denunciato lei – prima ballerina – di razzismo, di pressioni perché di incipriasse per apparire più bianca “perché un ballerina nera è antiestetica”.
Racconta anche questo Debbie Allen e lo scopo dello spettacolo è proprio quello di raccogliere fondi per proseguire ed investire nella scuola dando opportunità a tutti.
Una di queste – altra coincidenza – è Kylie Jefferson….che interpreta Neveah in Tiny Pretty Things che a 6 anni è entrata in DADA (si vede anche nel documentario…all’inizio non l’ho riconosciuta).
Ci sono dunque molte ombre sulla danza e se da una parte le serie TV (ma anche i film – vedi Il cigno nero) ce le mostrano senza filtri, dall’altra aprono a nuovi orizzonti.
Ho accennato prima ai corpi, alle figure delle ballerine non più solo ossa e muscoli ma dalle forme più armoniose e passatemi il termine femminili, ma anche al colore della pelle.
Spesso i preconcetti cadono anche grazie all’immaginario che si diversifica davanti a noi, abituare la nostra mente a vedere le cose con occhi nuovi,tanto poi da non vedere differenze, ma solo apprezzarne le qualità. Che siano recitative, di ballo, di stile, di forme…vale per tutti i campi.
Durante questa full immersion ho visto altri documentari:
A Ballerina's Tale, del 2015 dedicato a Misty Copeland. Ne conosciamo la storia, la complessa operazione a cui si è sottoposta e il ritorno dopo mesi di allenamenti (e anche una tournée con Bolle and Friends). Cosa emerge? La sua storia – prima ballerina afroamericana in 75 anni nell’ American Ballet Theatre – ha permesso di avvicinare alla danza un pubblico sempre più vasto e diversificato, ma ha acceso la speranza a molte bambine di realizzare il loro sogno al di là dell’estrazione sociale o di origine.
Altra coincidenza: su Elle.it il 16 febbraio è uscita un’intervista a Misty Copeland.
Sta cambiando qualcosa? Forse sì, visto che qualche casa di produzione di scarpe da ballo ha deciso di realizzarle altri colori per avvicinarsi il più possibile alla pelle di chi le indossa, ma la strada è lunga e quanto è accaduto nel balletto tedesco di cui ho parlato prima dimostra il contrario.
Restless Creature: Wendy Whelan, del 2017.
Racconta invece la straordinaria carriera – durata oltre 30 anni di Wendy Whelan nel New York City Ballet. Lei ricalca quello che nel nostro immaginario è una ballerina: bionda, pelle alabastro, un fascio di muscoli che si muovono apparentemente senza sforzo.
Ma lei ha 47 anni, all’inizio del documentario – quasi tutte alla sua età non ballano più, dalla sua parte il fatto che non abbia mai subito infortuni e abbia un fisico resistente le ha permesso di andare avanti, ma ora deve sottoporsi ad un intervento col rischio di non tornare più a ballare. Ed affrontare questa cosa per una persona che ha vissuto ballando dall’età di 3 anni è qualcosa di inconcepibile.
C’è una parte in cui racconta che questo crollo è iniziato qualche tempo prima quando il direttore del balletto non le aveva assegnato una parte, sostenendo che pur avendo fiducia nel sue capacità, non voleva affaticarla…
Altro tema: i corpi che invecchiano e non sono “più corrispondenti” a quello che viene richiesto in certi ambiti (soprattutto sportivi) anche se le smentite sono dietro l’angolo (vedi Tom Brady considerato vecchietto per giocare a football).
Insomma dietro al tutù ci sono questioni sociali attuali e spinose su cui porre attenzione, mi auguro possa essere fatto in ambiti ben più elevati di questo podcast, ma allo stesso tempo spero di aver instillato la giusta dose di curiosità non solo per guardare le serie TV e i documentari citati ma soprattutto per approfondirne i temi (che ci stanno dietro, che leggo e che mi piace portare alla luce)
Se invece non amate il balletto classico, consiglio in chiusura un documentario molto particolare su vari tipi di danza. Si intitola Move! e che si trova sempre su Netflix.
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