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Sant'Ambroeus cont i tett

Oggi vi vorrei raccontare la travagliata ma anche divertente storia di una statua che praticamente tutti i milanesi hanno per lo meno intravvisto, anche se – come spesso succede – senza prestar troppa attenzione. Mi riferisco all’imponente statua di Sant’Ambrogio posta nella nicchia della facciata del Palazzo dei Giureconsulti in piazza dei Mercanti a due passi dal Duomo.

Collocazione super prestigiosa considerato che piazza dei Mercanti era la sede del Broletto Nuovo, cioè il luogo che per vari secoli ha rappresentato il cuore pulsante della città, il suo centro d’affari, di commercio e di amministrazione (“Nuovo” perché all’inizio del 1200 andava a sostituire quello vecchio posto a due passi dall’Arcivescovado). Qui, in piazza dei Mercanti, aveva sede il Palazzo della Ragione, cioè il Tribunale, il Palazzo del Podestà, la Camera di Commercio detta Università dei Mercanti, le carceri, i magazzini del sale, le scuole Palatine e il Palazzo dei Notai, trasformato qualche secolo dopo in Palazzo dei Giureconsulti.

Torre Civica - Milano - Wilma Viganò

C’era anche la torre civica voluta da Napo (Napoleone) Torriani, l’ultimo dei della Torre a guidare Milano prima dell’arrivo dei Visconti. Torre “civica” quella del Torriani sulla cui cima era posta la campana Zavataria (oggi trasformata in orologio) che annunciava alla città l’ora del coprifuoco, il divampare di incendi o l’esecuzione di condannati, ma anche le ore in cui era permesso vendere vino. La zona infatti pullulava di osterie per offrire momenti di riposo e relax (erano a tutti gli effetti anche dei bed and breakfast) agli indaffarati businessmen dell’epoca. Il nome Zavataria veniva dal podestà Zavatario della Strada, di origine pavese (i milanesi erano esclusi dalla nomina) che l’aveva donata alla città.

Ma non divaghiamo e torniamo alla nostra statua e al palazzo che tuttora la ospita: il palazzo dei Giureconsulti. Ma chi erano i giureconsulti? Per chi non lo sapesse (come me prima di fare una veloce incursione su Google) direi che erano personaggi che potrebbero essere oggi sbrigativamente definiti una casta. Ma che casta signori miei! Giuristi, avvocati, faccendieri, notai “di non comune dottrina” appartenenti alle più facoltose famiglie milanesi che per qualche secolo - soprattutto nel periodo della dominazione spagnola - hanno mandato avanti la res publica della città. E quando il nobile giurista Giovanni Angelo Medici di Marignano (appartenente alla suddetta casta, sposato con tre figli) venne eletto Papa col nome di Pio IV, decise che i Giureconsulti milanesi meritavano una sede degna dei loro meriti, ruolo e prestigio.

Fu così che nel 1561, mentre portava a compimento il Concilio di Trento, il Papa (zio di Carlo Borromeo) incaricò l’architetto Vincenzo Seregni, che al tempo dirigeva i lavori della Fabbrica del Duomo, di progettare un palazzo in piazza dei Mercanti destinato a diventare il punto di riferimento per la comunità degli affari milanesi. Il Seregni immaginò un edificio con andamento orizzontale formato da una maestosa loggia porticata con doppie colonne e sovrastata da una teoria di finestre decorate da interventi baroccheggianti. Al centro, di fianco all’ingresso, e proprio sotto la torre di Napo incorporata nel tutto, era prevista una nicchia destinata ad ospitare una simbolica rappresentazione della Giustizia. E così fu. La dea, al femminile con tanto di forme, era coerentemente abbigliata con la classica toga alla romana. E fin qui tutto regolare.

Passano gli anni. Arrivano gli Spagnoli e forse per piaggeria nei confronti dei nuovi dominatori, lo scultore Andrea Biffi ricevette l’incarico di sostituire la statua della Giustizia con quella della Prudenza assumendo le sembianze di re Filippo II di Spagna. E il Biffi, anche lui impegnato alla Fabbrica del Duomo, forse perché troppo impegnato, o forse solo per risparmiare (non si butta mai niente!) pare che, autorizzato o no, cambiò solo la testa della statua, aggiungendo poi altre pieghe alla toga per nascondere le forme femminili. Comunque la statua con le nuove sembianze c’era, come dettagliatamente racconta l’illustre testimone Alessandro Manzoni che nel capitolo XII dei “Promessi Sposi” scrive: “Nella piazza de’ Mercanti eran ben pochi quelli che, nel passare davanti alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell’edifizio chiamato allora il collegio de’ dottori, non dessero un’occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, con quel braccio teso”.

Passano gli anni, passano i governi e, in occasione della costituzione della Repubblica Cisalpina, avviene un nuovo e clamoroso cambio di testa. Al posto delle sembianze del monarca spagnolo, ecco quelle di Marco Giunio Bruto, l’accusatore di Cesare, emblema di ribellione e libertà. E già che c’erano, per attribuire maggior verosimiglianza all’interpretazione, tolsero di mano alla statua lo scettro sostituendolo con un pugnale. Ma anche questa nuova interpretazione ebbe breve vita. Sempre secondo il nostro cronista d’eccezione, cioè il Manzoni, “… una mattina, certuni che non avevan simpatia per Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la trascinarono, con gli occhi in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la ruzzolarono non so dove.” E così ebbe fine anche l’era di Bruto.

La nicchia rimase di conseguenza miseramente vuota per qualche anno, come testimoniato anche dal diario di viaggio di Stendhal che nel 1817 scrive: “… guardo la nicchia vuota dalla quale la furia rivoluzionaria buttò giù la statua dell’infame Filippo II”. Ma a Milano, per fortuna, si trova sempre qualche gentiluomo benefattore che ha a cuore il decoro della città. In questo caso fu la volta del nobile Giuseppe Fossani (che avrebbe poi lasciato tutti i suoi bene alla fabbrica del Duomo) che decide di non correre più rischi e di far ospitare nella nicchia un personaggio “pacificatore” per eccellenza della città: Sant’Ambrogio. L’incarico per la nuova statua venne affidato ad un giovane scultore, Luigi Scorzini, che non doveva godere di buona fama presso le autorità visto che non esistono descrizioni del nuovo lavoro.

Lavoro la cui inaugurazione era prevista per il 23 ottobre 1833 quando nel caricarlo per essere trasportato in loco una corda agganciò ed asportò di netto la mano del Santo. Svenimento e sconforto dello Scorzini, che provvide a sostituire piuttosto grossolanamente la mano, che è parecchio fuori misura come si vede ancor oggi! Ed è a questo punto che le malelingue cominciano a far circolare l’ipotesi che si abbia a che fare con l’ennesima (anzi la quarta per essere precisi) versione della statua riciclata. E fu così che la solita maldicente e malpensante ironia popolare iniziò a definire la statua “Sant’Ambroeus cont i tett” (Sant’Ambrogio con le tette) per via che sembravano intravvedersi ancora, sotto la toga, le procaci forme della dea della Giustizia. Vero o no? Decide voi. Sarà comunque l’occasione per rendere un attento omaggio al nostro santo per eccellenza!

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