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Immagine del redattoreWilma Viganò

Piazza Santo Stefano - 2

Aggiornamento: 11 ott 2021

SU E GIÙ PER IL CORSO


La scorsa settimana ci eravamo lasciati all’uscita della basilica di Santo Stefano e da lì riprendiamo la nostra passeggiata. Avviamoci dunque sulla destra e come ogni volta che mi capita di posare lo sguardo sulla facciata di San Bernardino alle Ossa (perché questa è la nostra prossima meta) mi vengono in mente tutti i poveri turisti, perlopiù giapponesi, che ho soccorso negli anni. Pare infatti che le guide internazionali segnalino come un must da visitare a Milano la chiesa di San Bernardino. E fin qui tutto bene. Peccato però che i visitatori, giunti in loco, si infilino inevitabilmente nella grande chiesa che domina la piazza, cioè Santo Stefano, senza trovare quello che stavano cercando.

E tutto ciò per la semplice ragione che la facciata di San Bernardino, con buona pace dei turisti giapponesi, non fa assolutamente intuire che si tratti di una chiesa. Tutto risale alle sue origini: era infatti un ospedale, con annesso cimitero, istituito nel 1127 per la cura dei lebbrosi e centro di estrema rilevanza per la sanità milanese prima della fondazione della Ca’ Granda avvenuta 350 anni più tardi. I morti però erano tanti, lo spazio insufficiente e, nel 1210 si pensò bene di costruire una cappella ossario alla quale fu aggiunta una piccola chiesa dedicata dopo un paio di secoli a San Bernardino.

Ma non è ancora finita: quando nel Seicento gli cadde addosso il campanile di Santo Stefano sia la chiesa che l’ossario, affidati alla cura della confraternita laica dei Disciplini, vennero di nuovo rimaneggiate e così avanti nel corso dei secoli sino ad arrivare alla struttura attuale. Bisogna sapere che l’Ordine dei Disciplini era un movimento laico risalente al Medioevo che si dedicava al culto dei morti e all’espiazione dei peccati tramite l’autoflagellazione. E ciò spiega tante cose degli ambienti che andremo a visitare.

Entrando ci si trova nella chiesa, piccola ma ben proporzionata, a pianta ottagonale e in stile baroccheggiante. Per terra, di fronte all’altare maggiore, una grata permette di intravvedere dieci scalini che scendono verso la cripta dove i Disciplini seppellivano i loro confratelli morti. Pare che i muri contengano 21 nicchie in muratura dove venivano adagiati i defunti avvolti nel saio e, per facilitarne l’identificazione, con una tavoletta di cera sul capo con il loro nome.

Sull’altare maggiore della chiesa la veneratissima Madonna Pellegrina veglia sui nomi dei caduti della guerra d’Etiopia (i fasci sono stati rimossi), mentre sulla destra la cappelletta dedicata a Maria Maddalena ospita la tomba di due discendenti di Cristoforo Colombo con lo stemma a gloria dell’illustre avo. Chissà perché sono capitati qui.

Ma la grande attrazione, cioè l’ossario, si raggiunge imboccando un breve e suggestivo corridoio sulla destra che ci conduce in uno spazio, nemmeno tanto piccolo, dove tutte le pareti, nicchie, pilastri, porte e altare sono coperte da teschi, tibie e ossa umane di ogni genere. Da dove arrivano? Alcuni dicono dal massacro dei Cristiani per mano degli Ariani, altri dall’invasione dei Goti, ed altri ancora dicono siano morti di peste. O forse semplicemente si tratta dei resti dei poveretti del vicino cimitero sovraffollato.

 San Bernardino alle Ossa - Interno - Wilma Viganò

Fatto sta che la morte ti viene incontro in maniera spiazzante. Le ossa danno forma a fregi e disegni, come la M di Maria o il segno della croce o il monogramma di Cristo: sembra il lavoro di un orafo o di un mosaicista. Pare che le cassette sopra le porte d’ingresso conservino i teschi di condannati a morte, mentre lungo il basamento dell’altare dedicato alla Vergine è possibile trovare un topolino mescolato alle ossa umane. Si dice inoltre che il mosaico sul pavimento al centro della cappella segnali la presenza di un pozzo dal quale è possibile captare dal sottosuolo un’intensa emanazione di energia.

E non poteva mancare la leggenda secondo la quale, alla sinistra dell’altare, confuso tra le altre ossa, pare ci sia lo scheletro di una ragazzina che il 2 novembre magicamente si ricompone per condurre, alla guida degli altri morti della cappella, una vorticosa danza macabra che cessa solo all’alba. Il tutto in una luce incerta, baluginante di candele, e solo debolmente stemperata dalla volta dove un affresco seicentesco che anticipa il Tiepolo ci presenta, in un’esplosione di colori, il trionfo delle anime beate fra uno stormo d’angeli. Insomma un’apoteosi dell’aldilà che lascia i visitatori, e non solo quelli giapponesi, stupiti e rapiti. Proprio come rimase stupito e rapito il re del Portogallo, Giovanni V che, dopo aver visitato la cappella nel 1738, decise di ricopiarla in ogni particolare facendone erigere una esattamente uguale a Evora, vicino a Lisbona: la Capela dos Ossos.

Via Brolo - Statua Pencho Slaveykov - Wilma Viganò

Ma lasciamo l’oscurità di San Bernardino e torniamo all’aperto e sui nostri passi. Imbocchiamo via Brolo in direzione via Larga e verso la fine vi invito ad osservare una panchina che sembra già occupata da un distinto signore immerso nella lettura. Ma è solo un’impressione. Si tratta in effetti di un vero e proprio monumento in acciaio e ghisa, a grandezza naturale, che rende omaggio a Pencho Slaveykov, uno dei massimi poeti bulgari e grande amante dell’Italia , dove scelse addirittura di porre fine ai suoi giorni. La statua è un regalo del consolato bulgaro in occasione del 140esino anniversario delle relazioni diplomatiche tra i nostri due Paesi. Se volete, potete sedervi al fianco del poeta e sbirciare cosa sta leggendo.


Giardino del Verziere - particolare - Wilma Viganò

Arrivati in via Larga, prima di salutarci giriamo a destra e dopo pochi passi concediamoci un riposo all’aperto nel Giardino del Verziere, il giardino pubblico più piccolo di Milano.

Un fazzoletto di terra ma con tutto in regola: ben tenuto, con lucchetto, tabella con gli orari di apertura , divieto per cani. Non più grande di un appartamento di medie dimensioni, offre riposo e un barlume di tranquillità ai passanti. All’interno, tra tanti fiori, un paio di statue, qualche urna si erge un moderno monumento in granito rosso dedicato ai soldati e volontari caduti in missione di pace in tutto il mondo: dalla Somalia al Libano, al Kosovo, all’Albania, all’Iraq, alla Siria...

Come lo descrive il Corriere “il più piccolo giardino pubblico di Milano è grande come il mondo intero.



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