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Immagine del redattoreWilma Viganò

Piazza Santo Stefano - 1

Aggiornamento: 11 ott 2021

IL VERZIERE E LE SUE STORIE


Anche oggi andiamo in centro per una passeggiata “breve” in termini di passi ma tanto ricca di storie che ho ritenuto opportuno dividerla in due puntate. Siamo praticamente dietro al Duomo, ma in una zona poco frequentata se non dagli studenti della vicina Università Statale. L’area è quella conosciuta dai milanesi come il Verziere, verzee in dialetto, cioè “mercato della verdura”, e che comprende più o meno lo spiazzo che collega largo Augusto con piazza Santo Stefano. Il nome gli deriva dal fatto che qui, dal Settecento fino ai primi del Novecento, veniva ospitato il mercato ortofrutticolo di Milano, originariamente in piazza Fontana. Adesso il mercato non c’è più ma il nome è rimasto.

Questa era considerata una delle zone più pericolose e malfamate della città. Al numero 2 di via Laghetto pare abitasse pure una celeberrima strega la cui popolarità risaliva al fatto che gli abitanti della zona erano stati risparmiati da una delle tante epidemie della peste, grazie a una sua fattura. La realtà era un po’ diversa ma altrettanto affascinante. Qui c’era infatti un bacino artificiale del Naviglio (da cui il toponimo dell’attuale via Laghetto) adibito allo scarico dei materiali destinati alla costruzione del Duomo. Tra questi il carbone, la cui polvere, estremamente assorbente, tingeva di nero gli operai e le loro famiglie che lì abitavano e che, coprendoli, impediva probabilmente al morbo di propagarsi. Da qui anche il soprannome di “tencitt”, cioè sporchi, neri e la Ca’ dei Tencitt, sta ancora lì, al numero 2, anche se nel frattempo è diventata signorile.

A ricordo di quei tempi c’è però ancora un dipinto seicentesco alto quasi due metri affisso sulla casa e poco visibile perché protetto da una specie di armadio trasparente. È la Madonna de’ tencitt, protettrice dei carbonai, commissionato come ex voto per essere sopravvissuti alla peste dall’abate della congregazione stessa. La Madonna è circondata da San Rocco (con cane), da Carlo Borromeo e San Sebastiano, mentre alla base è riportata la pianta del Lazzaretto. Il dipinto è rimasto abbandonato a se stesso sino al 1989 quando un avvocato che abitava in zona, sopravvissuto ad un grave incidente stradale, decise di farne anche il suo ex-voto. Ne commissionò quindi il restauro e la relativa protezione a sue spese, mantenendo però l’antica usanza di aprirlo all’adorazione del pubblico il 15 di agosto: proprio come si faceva quando c’erano soltanto due ante di legno a custodirlo.

Bella storia vero? Beh, pare che io non sia stata l’unica a cui è piaciuta. Ho infatti un ben più nobile precursore nella persona di Carlo Porta, il nostro massimo poeta dialettale il cui austero monumento è collocato sull’altro lato del Verziere, lungo via Larga. A dire il vero l’attuale opera in bronzo è l’esatta riproduzione dell’originale in marmo risalente al 1862 e allora collocata ai giardini pubblici di Porta Venezia. La statua venne però distrutta dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e nel 1966 venne rifatta, sulla base dei disegni originali, e giustamente ricollocata da queste parti ad imperituro ricordo di uno dei più struggenti componimenti del Porta, La Ninetta del Verzee, che narra le vicende travagliatissime di una popolana che qui viveva.

Piazza Santo Stefano - Chiesa di S. Stefano, facciata - Wilma Viganò

Ma torniamo al centro dell’area, in quella che è oggi piazza Santo Stefano e che prende il nome dall’imponente chiesa, anzi basilica, che vi si affaccia. Forse non è la più bella della città da un punto di vista architettonico, ma è senz’altro notevole da un punto di vista storico. È infatti una delle più antiche chiese di Milano, voluta espressamente da Sant’Ambrogio in persona. Di quel primissimo periodo si conserva solo la Pietra degli Innocenti, cioè la lastra con grata posta sul pavimento all’ingresso, che protegge una piccola camera sottostante dove sono custodite le reliquie di quattro martiri cristiani del IV secolo. Non c’è altro di quel periodo perché verso il Mille la chiesa venne completamente distrutta da un incendio e ricostruita in stile romanico. Ma anche di questo secondo periodo resta un unicum, cioè il pilastro che si può notare all’esterno sulla destra dell’ingresso. A fine ‘500, va infatti registrato un altro cambio di stile, questa volta voluto dal cardinale Federico Borromeo che qui è sepolto, e che la trasformò nell’attuale edificio barocco.

Un discorso a parte merita il decoratissimo campanile sulla destra. Originariamente era sul lato sinistro della chiesa, ma un giorno di dicembre del 1642 “…quasi al tramonto del sole”, come accuratamente riferito dal canonico Carlo Torre, il campanile cadde rovinosamente distruggendo in parte la vicina cappella di San Bernardino e uccidendo una povera vecchietta che chiedeva l’elemosina e un anziano prete che stava imboccando la “stretta dei Morti”, più tardi ribattezzata “stretta del Cadenin” per via della catena di ferro tesa tra due colonnette di granito sullo sbocco di via Verziere. Ma per tornare al crollo del campanile ci fu anche la beffa, perché pare che il povero sacerdote travolto portasse con sé il proprio testamento con cui destinava il suo modesto gruzzolo ai restauri del campanile medesimo. Fatto sta che si decise, probabilmente per ragioni di sicurezza, di spostare il campanile sul lato opposto e la ricostruzione venne terminata in una ventina d’anni. Insomma, come si dice a Milano fa e disfà l’è tutt un laurà.

Ma torniamo alla nostra chiesa. All’ingresso, sul pavimento dopo il portone centrale, oltre alla Pietra degli Innocenti va segnalata un’altra importante targa celebrativa: quella che ricorda l’assassinio del Signore di Milano, Galeazzo Maria Sforza, avvenuto il 26 dicembre 1476, giorno di Santo Stefano, proprio qui, nell’atrio della chiesa, per mano di alcuni congiurati appartenenti all’aristocrazia milanese che volevano defenestrarlo. Ammazzare l’ammazzarono ma il complotto fallì.

Piazza Santo Stefano - Chiesa di S. Stefano, interno - Wilma Viganò

L’interno della basilica è imponente: a tre navate, con numerosi altari laterali e un immenso matroneo che sembra il palco reale della Scala. Il tutto arricchito, innanzi tutto dal barocco originale, ma anche dalle varie effigi celebrative dei filippini a cui la chiesa è attualmente destinata unitamente ai cattolici originari dell’America Latina. Quindi le Sante Messe vengono celebrate o in filippino o in spagnolo. Sulla destra dell’altare maggiore, si accede alla seriorissima ed austera Cappella Trivulzio che ospita sull’altare una bella pala del Procaccini raffigurante San Teodoro. Purtroppo il tutto è un po’ malconcio e necessiterebbe di un’urgente manutenzione.

Ma la chiesa, o meglio i suoi archivi, sono tornati qualche anno fa di grande attualità per un importante ritrovamento. Bisogna sapere che l’anagrafe di Milano risale solo al 1770. Prima di quella data bisogna riferirsi agli archivi parrocchiali come quello, appunto, di Santo Stefano Maggiore. Ed è stato così, che per puro caso, nel febbraio del 2007 il dr. Vittorio Pirani, ex dirigente Fininvest in pensione, dilettandosi in una ricerca sui pittori operanti a Milano nel XVII secolo, mise fine alla secolare diatriba tra Milano e Caravaggio (quello in provincia di Bergamo) sul luogo di nascita di Michelangelo Merisi, detto appunto Caravaggio. Secondo il Liber Baptizatorum di Santo Stefano è ormai fuor di dubbio che il Merisi sia nato a Milano il giorno 29 settembre 1571. La lettura dell’atto di battesimo è stata possibile tramite l’utilizzo di una lampada di Wood, che ha ovviato all’avanzato stato di degrado del documento. La famiglia Merisi era in effetti originaria di Caravaggio ma si era trasferita a Milano dove il padre era capo cantiere alla Fabbrica del Duomo.

Milano si può quindi fregiare di aver dato i natali a cotanto artista.

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