IL VERO CENTRO DI MILANO
Oggi vi propongo un giro in centro, e se pensate a piazza Duomo vi sbagliate. Perché il “vero mezo di Milano” – come diceva Leonardo Da Vinci – è piazza San Sepolcro, che potrete facilmente raggiungere da via Torino svoltando a destra in piazza Santa Maria Beltrade.
Purtroppo piazza San Sepolcro è oggi un immenso parcheggio, ma pare si stia provvedendo per migliorare la situazione.
Qui, in questa piazza, nel primo secolo avanti Cristo era situato il punto d’incrocio del cardo e del decumano, le due strade principali di Mediolanum. Qui aveva sede l’antico Foro Romano, cuore della vita politica, economica e religiosa della città. Qui c’era la curia (cioè il luogo di riunione del Senato locale, la Giunta di oggi), la basilica (dove si amministrava la giustizia) e il Capitolium, cioè il tempio dedicato alla triade Giove, Giunone e Minerva. Tutt’attorno le tabernae, cioè negozi, botteghe e luoghi di ristorazione al servizio dei cittadini. Il tutto testimoniato da tratti di pavimentazione che sono emersi nel corso di una campagna di scavi condotta abbastanza recentemente, cioè tra il 1990 e il 1992.
Ma andiamo con ordine. In piazza San Sepolcro sono tre i punti di interesse sui quali val la pena di soffermarsi e noi lo faremo, in due puntate, seguendo un ordine temporale: la chiesa di San Sepolcro, l’Ambrosiana e Palazzo Castani.
La chiesa di San Sepolcro è molto antica e la sua costruzione piuttosto travagliata. Iniziata nel 1030 venne completata solo dopo 8 secoli, cioè nel 1897. All’inizio, con il titolo di Santissima Trinità, era praticamente la cappella privata di un abbiente Maestro della Zecca (siamo nel quartiere degli orafi) fatta costruire nei pressi della sua abitazione.
Subentrò quindi la chiesa ufficiale e nel 1100, alla vigilia della seconda crociata, l’allora arcivescovo di Milano Anselmo IV da Bovisio ridedicò la chiesa al Santo Sepolcro per celebrare l’anniversario della prima e vittoriosa spedizione lombarda che l’anno precedente aveva conquistato Gerusalemme. Innanzi tutto ne rimaneggiò l’architettura per conferirle le forme, soprattutto nel parte sotterranea, del Santo Sepolcro. Vennero aggiunte le tue torri campanarie, che ancor oggi possiamo ammirare, e vennero disseminate all’interno reliquie dei luoghi sacri. Tra queste una curiosità: se vi avvicinate all’altare maggior vedrete una piccola urna sulla sinistra del tabernacolo. Pare contenga una manciata della terra di Palestina e – udite! udite! – una ciocca di capelli di Maria Maddalena. Se Dan Brown l’avesse saputo chissà quale storia ci avrebbe costruito attorno e magari Ton Hanks avrebbe girato qualche scena del film anche da queste parti.
Più avanti negli anni, cioè nella seconda metà del Cinquecento, la chiesa venne affidata dall’arcivescovo Carlo Borromeo alla Congregazione degli Oblati dei Santi Ambrogio e Carlo da lui fondata. Nel ‘600 l’interno venne trasformato alla maniera barocca comprendendo due grandi interventi di teatralità popolare che, entrando, saltano subito agli occhi: due gruppi scultorei in terracotta di dimensioni naturali che fanno rivivere ai visitatori le scene dell’Ultima Cena e della cattura e condanna di Cristo. Infine nell’Ottocento venne completata la facciata nello stile romanico-lombardo allora in voga e si diede una ritoccatina ai campanili. Insomma, di tutto un po’.
Ma l’ambiente di gran lunga più affascinante è la cripta, praticamente la chiesa sotterranea più antica di Milano, grande quanto l’estensione della chiesa superiore. Riaperta dopo 50 anni di chiusura è possibile camminare su un pavimento di epoca romana in lastre di pietra di Verona, con ogni probabilità un reimpiego della pavimentazione romana del Foro
Luogo di profonda sacralità, decorata da affreschi trecenteschi, con un’atmosfera unica, la cripta venne scelta da San Carlo Borromeo come personale luogo di preghiera. Qui, in quella che lui stesso definì “Umbilicus civitatis” venne posto un simulacro del sepolcro di Cristo, e non era infrequente vederlo passare intere notti in quella che lui definiva “la palestra dello Spirito Santo”. Per questo motivo, dopo la sua canonizzazione, è stata posta una statua in terracotta policroma raffigurante il santo inginocchiato davanti al sarcofago. L’ambiente è stato da sempre talmente evocativo da ispirare persino Leonardo che tratteggiò accuratissimi disegni in pianta delle due chiese, la superiore e quella inferiore, disegni ora custoditi a Parigi.
Un’ultima informazione: la chiesa superiore ospita settimanalmente la liturgia in rito bizantino, cantata una settimana in greco antico e la successiva in albanese.
Proseguendo nella nostra visita alla piazza, rivolgiamo ora la nostra attenzione alla sinistra della chiesa, dove possiamo ammirare lo storico ingresso di una delle istituzioni in assoluto più prestigiose di Milano: l’Ambrosiana.
E qui entra in ballo un altro Borromeo, Federico, cugino del Santo di cui sopra, praticamente obbligato dalla famiglia alla carriera ecclesiastica. Nominato Cardinale a soli 23 anni, tornò a Milano da Roma come Arcivescovo nel 1601. Come lui stesso ebbe a scrivere, visse due vite: “quella diurna per gli affari e quella notturna per gli studi”, che onestamente gli interessavano molto di più. Ciò non toglie che fosse un eccellente prelato: difese la popolazione contro i soprusi degli Spagnoli, esaltò la memoria del cugino ponendo la base della disciplina episcopale e fu molto vicino ai poveri, particolarmente durante la peste del 1630, quella raccontata dal Manzoni nei Promessi Sposi.
Ma il suo merito maggiore fu la creazione nel 1609 dell’Ambrosiana, cioè la prima biblioteca pubblica in Italia, seconda in Europa solo a quella di Oxford. L’edificio sembra sia stato progettato dall’architetto Francesco Maria Richini, l’archistar del momento (suoi il Duomo, Brera, la Ca’ Granda…) e poi rimaneggiato nell’Ottocento in stile neoclassico, soprattutto nella facciata dell’ingresso di piazza Pio XI, cioè sul retro. Mentre gli esterni del palazzo sono, alla milanese, molto sobri, gli interni sono ricchissimi ed articolati, con tanto di scalone monumentale, sale riccamente decorate con boiserie, stucchi e mosaici e uno stupefacente cortile loggiato con imponenti statue di santi. Solo l’edificio vale la visita.
Federico Borromeo per assemblare il suo progetto spedì a sue spese in giro per il mondo otto esperti a caccia di manoscritti, codici e incunaboli da rendere disponibili a “chiunque sapesse leggere e scrivere”. Questi raccolsero libri in latino, greco, arabo siriaco, etiopico … compresi due tra i dieci più preziosi manoscritti al mondo. La star dei capolavori ospitati è però il Codice Atlantico di Leonardo donato nel ‘700 da Galeazzo Arconati: 1119 fogli di “appunti” assolutamente geniali oggi visibili a rotazione nell’ultima sala del percorso di visita.
Altro grandioso acquisto fu l’acquisizione, per 3.050 ducati, della collezione Pinelli: 70 casse di scritti greci e latini, trasportati su 9 carri di buoi da Napoli a Milano dove Federico in persona ne attendeva l’arrivo all’ingresso della biblioteca. La fama della biblioteca era tale che persino Galileo Galilei scrisse di suo pugno una lettera (tuttora conservata) dove chiedeva di riservare un piccolo spazio nella collezione al suo “Saggiatore”.
Oggi la biblioteca comprende quasi un milione di stampati, più migliaia di rarità assortite quali mappe antiche, manoscritti musicali, pergamene e papiri.
Ma la storia dell’Ambrosiana non finisce qui. Per conoscerne l’affascinante seguito vi rimando alla prossima puntata dedicata ancora a Piazza San Sepolcro
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