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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

Piazza Greco

Aggiornamento: 11 ott 2021

BELLE STORIE DI PERIFERIA


Oggi vi propongo un giro “arioso” (cioè, come si intende a Milano, non proprio in centro) per continuare assieme a voi la scoperta degli antichi borghi milanesi. Perché la periferia di Milano ha una fortuna: quella di aver inglobato contrade un tempo autonome, con una loro precisa storia ed identità non del tutto perduta, e che vale la pena di ricordare.

Ciò premesso, con la passeggiata di oggi vorrei accompagnarvi alla scoperta di piazza Greco, centro dell’omonimo borgo. Il toponimo riporta alla famiglia dei Greco, vassalli del monastero di San Simpliciano per conto del quale condussero i lavori agricoli nella zona sino al 1147. Come d’usanza, i Greco ospitavano nel loro territorio una chiesa a cui si può far risalire con ogni probabilità l’attuale parrocchia di San Martino nella piazza, appunto, di Greco. Ed è proprio da qui che propongo di far partire la nostra passeggiata.

Piazza Greco - Chiesa San Martino, facciata -  Wilma Viganò

L’edificio attuale risale al ‘600 quando, dopo una rovinosa nevicata che fece crollare la chiesa originaria, gli abitanti del quartiere – che non erano certamente ricchi – si videro costretti a chiedere un prestito cinquantennale ai Visconti di Bruzzano per ricostruire la loro parrocchia. La facciata baroccheggiante è quindi piuttosto semplice (nel nome di un’oculata e sobria gestione del budget) ma con la dovuta raffigurazione sul portale d’ingresso principale dell’episodio che ebbe luogo l’11 novembre di 1.700 anni fa, quando Martino, giovane soldato, tagliò a metà il suo mantello per offrirlo ad un mendicate seminudo sfinito dalla stanchezza e dal freddo. Improvvisamente il tempo mutò e l’aria si fece incredibilmente mite: si era verificato il miracolo dell’estate di San Martino! L’interno della chiesa è piuttosto piccolo e tradizionale. A navata unica, ha quattro cappelle laterali affrescate negli anni ’20 da Virginio Campi ed arricchite da tele seicentesche provenienti da Brera (che ha i magazzini pieno di dipinti non visibili). Tutto sommato una bella chiesetta, ben proporzionata, che induce al raccoglimento.

Usciti della chiesa rivolgiamo la nostra attenzione sulla destra, dove fa bella mostra di sé la struttura di un vecchio teatro, perfettamente recuperato, che ha una storia veramente straordinaria da raccontare. La storia è quella di un’idea visionaria, un “Miracolo a Milano” germogliato da un sogno di Massimo Bottura, lo chef più titolato d’Italia, e di un gruppo di persone che gli hanno permesso di realizzarlo.

Quando venne il momento di interpretare il tema di Expo 2015 “Nutrire il pianeta”, Bottura decise di partire dagli sprechi. Si presentò così, in compagnia di Davide Rampello della Triennale, all’allora arcivescovo di Milano Ettore Scola e, con una gran faccia tosta, gli propose di rifare alla sua maniera il refettorio di Leonardo “pieno di arte e di bellezza, perché non si vive di solo pane”, queste le sue letterali parole. Passò una settimana e Scola lo richiamò dicendogli: “Ho parlato con il Papa che mi ha detto che l’idea gli piace. Ma vuole che questo progetto illumini le periferie”. Ed eccolo qui il “miracolo”, nella piazza di Greco, proprio accanto alla chiesa di San Martino.

Là dove c’era il teatro dell’oratorio abbandonato da anni, ma soprattutto dove c’era un parroco d’assalto, don Giuliano. Quel teatro è diventato il Refettorio Ambrosiano che, utilizzando eccedenze alimentari della città, serve ogni giorno un pasto da chef a 90 persone bisognose inserite in un percorso di recupero. Il tutto in un contesto definito dallo stesso Bottura “pazzesco”.

Innanzi tutto per la sede, restaurata a cura del Politecnico e arredata in maniera impeccabile dai più qualificati artisti e designers di Milano. A partire dal portale esterno di Pistoletto, che si rifà in piccolo alla Porta dell’Accoglienza di Lampedusa. Realizzata in terracotta, riprende gli elementi primari della vita, ovvero l'acqua, la terra, il pane, ma anche i piedi e l'eterno trasmigrare dei popoli.

Refettorio Ambrosiano - dettaglio tavolo - Wilma Viganò

All’interno, due gli elementi predominanti: tavole e cucina. Le tavole, una diversa dall’altra, firmate dai più famosi designers (Mendini, Citterio, Novembre…tanto per citarne alcuni) sono state realizzate in sei esemplari: una per il Refettorio e le altre battute all’asta da Sotheby’s per reperire fondi. E la cucina a vista, con una incredibile cappa in rame, dove durante l’Expo si sono esibiti 50 super chef internazionali formando nel contempo il personale volontario locale che, con la Caritas, ancor oggi manda avanti il tutto. Le lampade sono di Artemide e le sedie Kartell. E poi l’arte, con il “Pane metafisico” di Benvenuto, l’acquasantiera di Gaetano Pesce, il banco per la distribuzione del pane di Terry Dwan e così via. Praticamente una galleria d’arte moderna.

Oggi, all’accoglienza alimentare e di recupero della Caritas, è abbinata un’intensa attività sociale e culturale, di gran livello, per gli abitanti del quartiere. Come lo Shabbat ebraico a cui ho avuto qualche tempo fa il privilegio di partecipare, piuttosto che incontri con oratori di ogni tipo: incontri aperti da una cena molto raffinata consumata in silenzio come nei monasteri ed accompagnata da letture, con a seguire una presentazione e dibattito con l’ospite di turno. Mi risulta che l’idea del Refettorio Ambrosiano di Greco sia già stata esportata da Bottura in giro per il mondo: da Rio de Janeiro, a Parigi, Londra e New York. Sempre in combutta con gli chef che erano venuti per la prima volta a Greco a cucinare durante l’Expo. L’unione fa sempre la forza.


Ma lasciamo il Refettorio e, sull’altro lato della piazza proprio di fronte alla chiesa, val la pena di soffermarsi un attimo per visionare una targa posta a testimonianza dell’antica origine del borgo. La targa legge “Renzo verso sera arriva a Greco, senza però saperne il nome: ma, tra un po’ di memoria de’ luoghi che gli era rimasta dall’altro viaggio, e il calcolo del cammino fatto da Monza in poi, congetturando che doveva esser poco lontana dalla città, uscì dalla strada maestra per andar ne’ campi in cerca di qualche cascinotto...” Ovviamente trattasi di citazione dal capitolo tredicesimo dei Promessi Sposi, quando Renzo torna a Milano, passando appunto per Greco, per incontrare Fra’ Cristoforo e trova la peste.

ex Cinema Abanella - facciata - Wilma Viganò

Lungo la stessa brevissima via – che è poi via Bottelli – incontriamo al numero 11 un edificio coloratissimo. E’ l’ex cinema Abanella la cui storia che vorrei raccontarvi è cominciata con un sonoro diniego. “NO” è stata infatti la coraggiosa risposta proferita dall’ultimo gestore dello storico cinema che, nel 1981, per sua precisa volontà, decise di chiudere definitivamente il locale per non piegarsi alle leggi di mercato che avrebbero “offeso la sala trasformandola in un cinema a luci rosse” (queste le sue testuali parole).

Inaugurato nel 1955, l’Abanella era un gran bel cinema: 800 posti a sedere, tra platea e galleria, e ottima acustica. Ci avevano girato anche alcune scene del film “Romanzo popolare” di Monicelli, con Ugo Tognazzi e Ornella Muti. Ma l’Albanella era noto in tutta Milano come cinema d’essai: quello che proponeva “La dolce vita” e “Il settimo sigillo”, “Zabriskie Point” e “Gioventù bruciata”. Ma per fortuna, dopo qualche anno di chiusura e di abbandono, il locale viene individuato dalla Fondazione Teatro alla Scala che lo ristruttura e, a partire dal 1985, lo trasforma in sede privata per le prove di alcuni suoi spettacoli, e persino per alcune registrazioni concertistiche proprio in virtù dell’ottima sonorità. Ancora oggi alla Scala ci si riferisce al locale come “l’Abanella”.

Tutto bene sembrerebbe, ma non proprio, perché all’efficienza interna si contrapponeva il degrado esterno con le pareti imbrattate da antiestetiche scritte. Ecco così scendere in campo gli abitanti del quartiere, gli artisti del teatro, la vicina parrocchia di San Martino e i negozianti della zona che riescono a coinvolgere l’associazione antigraffiti Retake e gli studenti del corso di Scenografia della Luce del Politecnico per ridipingere la facciata. A un certo punto ci si mette di mezzo anche il Corriere della Sera chiedendo ai propri lettori di effettuare una scelta tra i bozzetti proposti e raccogliendo in una sola settimana ben 3.000 preferenze.

Il risultato è un cosiddetto “intervento di riqualificazione urbana”, cioè un opera muraria realizzata in airlite, un materiale che abbatte le polveri inquinanti dell’89 per cento, per cui possiamo dire che ai 500 mq di murale dell’Abandella corrispondono 500 mq di area boschiva.

Insomma, a Greco come in montagna! E, dulcis in fundo, per onorare la memoria dell’Abanella, anche il Multisala dell’Anteo di Porta Garibaldi gli ha dedicato una delle sue sale. Per tramandare la sua memoria nel tempo.

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