PALAZZO MARINO, LA CIVITAS DI MILANO
Dopo un po’ di girovagare per le periferie, oggi vi accompagno in pieno centro per visitare il palazzo che rappresenta la Civitas milanese, là dove pulsa il cuore laico e amministrativo della città. Mi riferisco ovviamente a Palazzo Marino, il nostro Municipio, che fa bella mostra di sé proprio di fronte alla Scala, nell’omonima piazza.
Ma, come direbbe il Manzoni, “Marino, chi era costui?”.
Beh, val la pena di raccontarlo.
Tomaso Marino, che visse a cavallo tra il quattro e cinquecento, era rampollo di una potente famiglia genovese. Banchiere, si era anche sposato bene visto che la moglie di cognome faceva Doria. Sembra però che non fosse propriamente uno stinco di santo, tant’è che venne bandito da Genova per aver partecipato alla congiura dei Fieschi. Diseredato dal padre, si trasferì a Milano dove si inventò imprenditore commerciando sale e pesce importati dalla Liguria. A Milano i traffici gli andarono particolarmente bene tanto da permettergli di far prestiti persino alla Regina di Spagna, sfinita finanziariamente dalle colonizzazioni americane. In compenso (niente di nuovo sotto il sole!) chiedeva cariche politiche ed incarichi per conto degli spagnoli che dominavano Milano. Tra le altre cose era riuscito ad ottenere il monopolio del sale, oltre a riscuotere le tasse per conto dei suoi amici spagnoli. Era insomma l’Equitalia del tempo. Con l’aggravante che se non pagavi, non arrivava un avviso postale ma un “bravo” di manzoniana memoria che te le dava di santa ragione. In più faceva il bauscia girando per la città su una carrozza dorata seguita da ciurme di bravi come scorta. Inutile dire che non era granché popolare...
A un certo punto (e siamo a metà del ‘500) al Marino venne il ghiribizzo di dotarsi di una dimora all’altezza della sua posizione e chiamò a Milano, a suon di danée, Galeazzo Alessi, il geniale architetto che aveva costruito i più bei palazzi di Genova. Il brief era quello di ideare e tirar su un palazzo-castello, autocelebrativo e di rappresentanza, per accogliere nobili clienti e governanti internazionali. L’Alessi non aveva nessuna voglia di trasferirsi e si limitò quindi a presentare un progetto accompagnato da un preventivo assurdo. Ma il Marino non fece un plissé e l’architetto dovette trasferirsi a Milano e rimboccarsi le maniche.
Un “castello”, come da ordine del committente, doveva essere di pietra, non di mattoni come tutte le case, e di una pietra speciale che consentisse la lavorazione di decori e intarsi. Solo per trovare la cava giusta il povero Alessi girovagò per la Brianza per un anno e mezzo. Per fortuna infine la trovò e le pietre vennero trasportate a Milano con chiatte che navigavano la Martesana fino all’attuale Tumbun de San Marc.
La costruzione del palazzo, comprese le simil-torri che probabilmente non avete mai notato perché visibili solo guardando in alto ai lati del Palazzo, iniziò dall’attuale retro di Piazza San Fedele e non venne mai terminata per sopravvenuto decesso sia del committente che dell’architetto. Nel 1577 il palazzo, incompiuto, venne confiscato dallo Stato milanese, frazionato, affittato e poi venduto per poi essere riacquistato due secoli dopo per conto dell’imperatrice Maria Teresa d’Austria che ci collocò i dicasteri della Finanza e della Dogana. Dopo la liberazione di Milano dal dominio austriaco divenne finalmente sede del Comune che affidò all’architetto Beltrami il risanamento e il completamento dell’attuale facciata di Piazza della Scala, che il Beltrami copiò pari pari, con gran buon senso, da quella dell’Alessi di piazza San Fedele.
Ma iniziamo la nostra visita entrando dall’ingresso ufficiale odierno di piazza Scala e ci ritroveremo immediatamente nella Sala Alessi, il salone d’onore del Palazzo decorato lungo tutte le pareti con affreschi, sculture e bassorilievi che rappresentano allegorie mitologiche, il tutto risalente alla seconda metà del ‘500. Il soffitto riportava un tempo un magnifico affresco ma il palazzo fu centrato appieno dalla RAF nel 1943 e scoperchiato. I muri di pietra voluti dal Marino resistettero (ci aveva visto giusto!) e la volta venne ricostruita esattamente come l’originale nella forma senza però l’affresco. La guerra era appena terminata, i fondi scarseggiavano e l’Amministrazione Comunale optò per un più sobrio soffitto a cassettoni. Oggi tutta la sala è stata più o meno riportata agli antichi splendori in un trionfo di decori da ammirare col naso all’insù.
In un angolo della Sala fa bella mostra di sé una copia ottocentesca del gonfalone di Milano (l’originale è al Castello). Vi sono raffigurati S. Ambrogio, lo stemma della città (croce rossa fu fondo bianco) e la scrofa semilanuta, da cui la leggenda della fondazione di Mediolanum. Sui lati, gli stemmi delle sei porte spagnole: Porta Venezia, Porta Romana, Porta Ticinese, Porta Vercellina (o Porta Magenta), Porta Garibaldi (o Porta Comasina) e Porta Nuova.
Dalla Sala Alessi passiamo alla Sala degli Arazzi, abbastanza recentemente aperta al pubblico. Prima ci stava un ufficio dei vigili. Gli arazzi, effettivamente molto belli, sono una serie di “panni” cinquecenteschi di provenienza belga e olandese. Va detto che quella degli arazzi alle pareti non era una moda ma, laddove possibile ovviamente, una necessità. Tra l’arazzo e la parete si creava infatti un’intercapedine e relativa camera d’aria che riparava le stanze dal freddo.
Passando dalla decoratissima Sala degli Affreschi (nomen omen) arriviamo all’imponente Cortile d’Onore, con tanto di grandiosa loggia, pensato e realizzato per far colpo sui visitatori che vi accedevano dall’ingresso laterale del palazzo per poi entrare direttamente al salone dell’Alessi.
Altra sala interessante a pianterreno del palazzo è quella dove abitava la figlia maggiore del Marino andata sposa ad un nobile spagnolo. Era la camera da letto e qui nacque la sua prima figlia, nipote quindi del Marino, passata poi alla storia come la Monaca di Monza. Siccome non voglio competere con il Manzoni, vi rimando per la storia ai Promessi Sposi. Una ripassata non fa mai male. Fino a qualche anno fa la sala era adibita alla celebrazione dei matrimoni, mentre oggi ci fanno piccole riunioni.
Da lì anche si accede alla grande sala del Consiglio Comunale, sobria e tradizionale dominata da un imponente affresco con un improbabile Sant’Ambrogio guerriero a cavallo a suo tempo dipinto dal Figino per il palazzo dei Giureconsulti. Qui il Consiglio Comunale si riunisce due volte la settimana (lunedì e giovedì alle 16,30) per legiferare sulla città. L’entrata al pubblico è libera sino a esaurimento posti, peraltro molto comodi.
Lo scalone d’onore conduce infine al piano superiore dove sono collocate varie sale, salette e uffici compreso quello del Sindaco, di ispirazione neoclassica, la Sala della Giunta, con affreschi del Tiepolo, e quella dell’Orologio che offre dipinti con le varie tendenze artistiche del Cinquecento, un pavimento con intarsi in marmo nero, pareti damasco in trompe-l’oeil a fondo ocra con bordure a finto stucco, e soffitto con bassorilievi. Insomma, non manca niente e il desiderio originale del Marino di “far bella figura” in effetti ci è tornato comodo!
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