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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

La montagna di…guai

Benvenuti alla prima puntata di “Gioie, Gioielli e Gioiellieri”, il podcast dedicato allo sfolgorante mondo della gioielleria. Per iniziare nel modo migliore, vi vorrei parlare di un diamante, il più famoso di tutti. Si chiama Koh-i-Noor, che in antico persiano significa Montagna di Luce, una montagna che è tornata di recente alla ribalta della cronaca internazionale trasformandosi però in…una potenziale montagna di guai.

Passo a spiegare. Il prossimo 6 maggio avrà luogo nell’Abbazia di Westminster l’incoronazione di Carlo III e sul suo capo verrà posta, come d’ordinanza l’Imperial State Crown, cioè la Corona istituzionale dell’Impero Britannico, che viene di volta in volta, diciamo così, “riadattata” in funzione del re o della regina cui è destinata. Per Elisabetta, ad esempio, venne ridotta di misura e leggermente ridisegnata per aggiungere un tocco di femminilità, mentre per Carlo si tornerà probabilmente alla precedente versione. E fin qui tutto regolare.

Il problema che ha scatenato la stampa britannica è invece la corona di Camilla Parker Bowles, necessaria per insignirla simbolicamente del suo ruolo di Regina Consorte che le ha assegnato il marito. E per questo atto simbolico si dava per scontato che sarebbe stata utilizzata il gioiello (immagino che anche una corona possa essere definiti gioiello) preparato specificatamente per la mitica Queen Mother di Elisabetta, “salita al trono” nel 1937 a fianco del marito Giorgio VI.

Questa corona incastonava il Koh-i-Noor, qui trasferito dalla corona della precedente Regina Consorte salita al trono nel 1911 col precedente Giorgio, quinto ovviamente. Ma così non sarà. Buckingham Palace ha ufficialmente comunicato che Camilla indosserà una versione “rivisitata”, e quindi riciclata, della corona della bisnonna, non la nonna, di Carlo, ormai privata del diamantone superstar e, questo, afferma il comunicato, “nell’interesse della sostenibilità e dell’efficienza e per riflettere lo stile personale della signora Parker-Bowles. E con ciò prendiamo tutti atto che esiste “uno stile personale” anche per le corone!

Il fatto è che la scelta di cui sopra è stata letta da tutti come una indiretta conferma che NON verrà utilizzato il famigerato Koh-i-Noor, che con i suoi 105 carati è uno dei diamanti più grandi al mondo, e che è tuttora incastonato al centro della croce maltese della corona della Queen Mother di Elisabetta custodita alla Torre di Londra.

Ma qual è il problema? La ragione la troviamo nella storia di questa favolosa pietra probabilmente estratta verso il 1300 dalle miniere diamantifere indiane della regione di Golconda, la regione dei Moghul, la dinastia imperiale discendente da Gengis Khan che regnò su tutto il territorio dell’Asia meridionale durante la dominazione islamica. Il diamante pesava originariamente 793 carati. Grandissimo quindi, ma non particolarmente attraente.

Il fatto curioso è che la pietra è stata accompagnata nei secoli da un’insolita leggenda: si ritiene infatti che porti molto potere ma anche molta sfortuna agli uomini che lo posseggono, mentre è l’esatto contrario per quanto riguarda le donne. E in effetti la sua turbolenta storia sembra suffragare appieno questa credenza. Passato nei secoli da sovrani indiani, persiani e afgani, il diamante veniva prevalentemente usato come bottino di guerra o merce di scambio ma – chissà com’è, chissà come non è – i proprietari sembravano tutti perseguitati da sorti avverse. O si ammalavano o cadevano dalle scale. O venivano deposti e imprigionati (come lo Shah Jahan, che lo fece incastonare nel Trono del Pavone) o venivano assassinati. Uno addirittura impazzì, mentre un altro, assediato nel suo castello, rischiò di morire di fame e dovette cedere al nemico sia il regno che il diamante.

Nel ‘600 il Mogul di turno, tale Aurangzeb, volle rendere il diamante più luminoso e splendente e lo fece sfaccettare dall’artigiano veneziano Hortenso Borgia che ne diminuì il peso da 793 carati a 186. Una vera catastrofe secondo il sovrano infuriato per il taglio che riteneva maldestro e che, pensando di essere stato truffato, fece pagare un’esorbitante somma di denaro al malcapitato per il danno subito. Ma Borgia sembra che avesse comunque fatto un buon lavoro perché risale a quel periodo l’appellativo “Montagna di Luce” esclamato in farsi da un re persiano a cui era stato mostrato per l’acquisto. Dopo varie traversie il diamante rimase in possesso dei Sik (gli indiani col turbante tanto per intenderci) fino al 1849 quando l’India fu annessa all’impero britannico con il trattato di Lahore, che comprendeva anche, guarda caso, la consegna del diamante alla corona britannica.

A quel punto il governatore generale britannico, responsabile della ratifica del trattato stesso, dispose che il Koh-i-Noor dovesse essere innanzi tutto presentato alla regina Vittoria dal sovrano tredicenne Dulip Singh in persona. Il diamante venne quindi fatto consegnare a Londra sotto il controllo di John Lawrence, l’amministratore della colonia e futuro viceré che, tanto per tener fede alla tradizione, appena partito rischiò di perdere il cofanetto con la pietra mentre si cambiava il cappotto, dimenticandolo in una tasca. Per non parlare del viaggio, ovviamente via mare, viaggio funestato da violentissime raffiche di vento, dal colera e da un buon numero di attacchi dei pirati dei mari.

Ma finalmente il 3 luglio del 1850 la regina Vittoria ebbe finalmente il piacere di tenere tra le mani il Koh-i-Noor. Per celebrarne l’acquisizione, il diamante venne esibito al pubblico durante l’Esposizione Universale di Londra del 1851 ma non piacque ai sudditi di Sua Maestà: secondo l’opinione dei visitatori, dei critici del Times e del Principe Albert, marito della Regina, la pietra era ancora poco luminosa e tagliata male. In effetti le numerose inclusioni, abbinate al taglio di foggia antica, non la facevano sufficientemente “brillare” come avrebbe dovuto.

Si decise quindi per un nuovo taglio, affidato questa volta a Mozes Coster, il più grande commerciante olandese di diamanti del tempo, che inviò alla corte inglese il migliore artigiano della sua taglieria con tanto di assistenti. Per il lavoro fu costruita un’apposita macchina a vapore ed il taglio fu completato dopo 38 giorni sotto la supervisione del Principe Albert in persona. Costo dell’operazione ben 8000 sterline. Oggi il Koh-i-Noor pesa “soltanto” 105 carati ma è luminosissimo.

A questo punto tanto per non correr rischi e in conformità all’antica credenza di porta-fortuna solo per le donne, nel 1911 il Koh-i-Noor fu montato sulla corona in platino, decorata esclusivamente da diamanti, e destinata alla consorte di Giorgio V.

Però c’è un però. Nel corso della seconda metà del Novecento, l’India (ma anche altre nazioni) hanno rivendicato più volte il possesso del Koh-i-Noor arrivando ad esporre la causa addirittura alle Nazioni Unite, ma la pietra non è mai stata restituita. Il fatto si è quindi trasformato in una querelle politica, tra l’altro alimentata nel 2013 dall’ex primo ministro inglese David Cameron che, durante la sua visita in India, dichiarò che restituirlo sarebbe stato “illogico”, mentre gli indiani vivono ora il possesso da parte degli inglesi come una sorta di “furto coloniale” e “doloroso” ricordo dell’epoca dell’impero. Britannico ovviamente, non Moghul.

Insomma, non si vuole risvegliare un vespaio e creare altri guai. Ce ne sono già troppi al mondo.


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