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  • Immagine del redattoreLaura Invernizzi

La diversità è ricchezza

Aggiornamento: 29 nov 2021

La copertina de L’Espresso del 16 maggio disegnata da fumettibrutti (Josephine Yole Signorelli), ha provocato reazioni forti, non c’è ancora una data certa per l’approvazione del ddl Zan*, anzi sta facendo emergere atteggiamenti di chiusura da parte di chi si dice attivista, i casi di aggressione in aumento…se qualcuno si sta chiedendo a cosa serva il mese del Pride (che si celebra a giugno) beh la risposta probabilmente emerge da sola.

Ho intitolato questa puntata la diversità è ricchezza, come riportato sulla pancia gravida della persona trans del disegno citato poco fa, conscia di entrare in un ambito che può farmi fare degli scivoloni (di cui mi scuso con le persone interessate) e di essere in una posizione di privilegio, ma sono convinta però da sempre – e lo dico spesso anche qui - che conoscere, informarsi sia il modo migliore per scardinare pregiudizi che abbiamo (a volte inconsci) e aprire la mente.

Lo faccio con gli strumenti a mia disposizione attraverso questo podcast che parla di serie TV, documentari e tutto quanto vedo, ascolto, leggo sul divano.

Il 17 maggio si è celebrata la Giornata internazionale contro l'omofobia, la bifobia, la transfobia e a quando ho letto i commenti sia per il DDL Zan che per la copertina dell’Espresso ho pensato immediatamente ad alcuni documentari che mi hanno messo sotto gli occhi questioni che ad una visione distratta possono sfuggire, ma che sicuramente alimentano il pregiudizio.

Ripeto…non sono nessuno per mettermi sulla cattedra e quindi faccio parlare chi conosce, ha vissuto o vive in prima persona la discriminazione.


Parto da Disclosure, documentario uscito il 19 giugno 2020 su Netflix.

Come sono rappresentate le persone transgender nei film o nelle serie?

Per molto tempo – ci viene descritto qui - Hollywood ha insegnato al pubblico come reagire alle persone trans e a volte viene insegnato loro a reagire con la paura; sono pericolose, psicopatiche, serial killer, depravate…altrimenti perché indossare un vestito? (ci sono diversi esempi a riguardo)

Secondo uno studio di GLAAD (organizzazione no-profit di attivismo LGBTQ+) – sottolinea uno dei direttori , Nick Adams - l’80% degli Americani non conosce personalmente persone transgender (probabilmente in Italia la % è molto più alta).

La maggior parte delle informazioni che hanno su chi sono e che tipo di vita fanno proviene dai media. Anche ai trans è insegnato come concepire se stessi, di norma non cresciamo con altre persone trans così cerchiamo di capire chi siamo e guardiamo i media per cercare di capire a chi assomigliamo.


Il documentario riporta l’esperienza delle attrici relegate ai ricoprire solo determinati ruoli (sex worker o colpite da una malattia spesso incurabile a causa del loro percorso di transizione) o l’esigenza da parte delle produzioni di esplicitare al pubblico che stiamo vedendo una persona transgender (come accaduto a Candis Cayne in Dirty Sexy Money, nelle prime battute – aveva per la prima volta un ruolo importante nella serie - le hanno abbassato il tono di voce) o la morbosità con cui si rivolgono a loro domande intime nelle interviste.


Qualche passo avanti per fortuna è stato fatto – sia sullo schermo che dietro la macchina da presa o la produzione (questo documentario ne è un esempio) - riporto le parole di Jen Richards, attrice di Tales of the City a cui ho dedicato l’omonima puntata lo scorso anno – “La soluzione a quasi tutti i problemi relativi ai trans nei media è una sola. Ci serve più spazio, affinché l’occasionale rappresentazione maldestra non conti più di tanto perché c’è anche molto altro. La rappresentazione positiva può cambiare le condizioni di vita delle persone trans solo se inserita in un movimento più ampio per il cambiamento sociale. Cambiare la rappresentazione non è l’obbiettivo, è solo il mezzo per raggiungere un fine. Chissà se chi ama questi programmi tenderà una mano alle persone trans in difficoltà, impegnandosi a sradicare politiche colpevolizzanti, discriminanti, disumanizzanti. Perché fino ad allora la forza del grande schermo non sarà sufficiente per migliorare la vita delle persone trans fuori dallo schermo.”


All’interno di questo documentario ci sono molti riferimenti anche ad altre produzioni che hanno lasciato un segno, pur con qualche problema emerso successivamente.

Parlo di Paris is Burning, documentario del 1990, un tempo disponibile su Netflix (dove lo vidi qualche anno fa), ma che si trova su YouTube (vi lascio il link, sperando non venga tolto).

Il nome trae origine da Paris Dupree, celebre drag performer a cui viene attribuita la creazione del voguing (insieme a Jose Gutierez Xtravaganza).

Dopo aver scoperto questo ballo, la regista Jennie Livingston, viene introdotta al mondo delle ballroom newyorkesi. Il film ci mostra le regole e le indicazioni di queste competizioni, che includevano sfilate (con costumi scelti a tema della serata) ma anche sfide di ballo, il tutto attraverso le interviste alle protagoniste/i della scena dell’epoca (Pepper LaBeija, Dorian Corey, Angie Xtravaganza, Octavia St Laurent...)

Tra le critiche (oltre a non aver ricevuto compenso da parte di alcune persone presenti nel film), quella in ambito accademico è stata mossa da Bell Hooks che ha accusato la regista/il documentario di aver trasformato un'espressione artistica afroamericana in un puro spettacolo con l'unico scopo di intrattenere un pubblico bianco.


E innegabile però la sua eredità, come sottolineato anche in Disclosure, ma è evidente soprattutto il rimando a Paris is Burning per Pose, serie TV la cui terza e ultima stagione si è chiusa – negli Stati Uniti - il 6 giugno scorso con una puntata doppia. Da noi si trova su Netflix.

Creata da Ryan Murphy, la serie si snoda tra gli anni 80 e 90 a NY tra ballroom e soprattutto le case, luoghi non solo fisici, ma delle vere e proprie famiglie con cui affrontare le sfide quotidiane. Una delle figure più intense è sicuramente Blanca, interpretata da MJ Rodriguez, madre della Casa Extravaganza.

Marina Pierri nel suo libro Eroine le ha dedicato un capitolo e riporta anche un estratto da una sua intervista dell’agosto 2019 in cui ha parlato di questa serie e che ha ribadito un concetto che ho espresso all’inizio…l’importanza di informarsi e conoscere:

Pose ha inserito nella mappa molte donne trans di colore, e ha dimostrato che nella nostra esistenza c’è molto più dello stigma. Che vi sono capitoli nella nostra vita. Noi l’abbiamo sempre saputo, ma molte altre persone no. A essere onesta, penso sia responsabilità delle persone tuffarsi davvero nella nostra vita, specie quelle che non capiscono, che probabilmente non hanno mai visto una donna trans in vita loro. È loro responsabilità imparare e fare il lavoro. E’ poi nostra responsabilità dire “sì, è giusto/corretto oppure No, ti aiuto, dandoti una mano in questo. E’ un lavoro di squadra, non di una sola persona”.


Come in Tales of the City, che fu la prima serie a parlarne, anche in Pose i protagoniste e le protagoniste devono affrontare AIDS, la morte delle persone amate, le cure e la non possibilità di avere accesso a quelle sperimentali perché non sei bianco (terza stagione).

Proprio nei giorni scorsi leggevo un articolo de Il Post che parla di un infelice anniversario.

Il 5 giugno 1981 il bollettino epidemiologico settimanale dei Centri per il controllo delle Malattie e Prevenzione riportò per la prima volta – su un documento scientifico – la patologia “sindrome da immunodeficienza acquisita”.

Per convenzione è quindi considerato il giorno in cui ebbe inizio l’epidemia da HIV nel mondo, anche se il virus infettò per la prima volta delle persone all’inizio del Novecento e arrivò negli Stati Uniti intorno al 1970.” Sicuramente passi da gigante sono stati fatti in 40 anni, ma come riporta l’articolo, più della metà delle persone positive l’HIV vive nell’Africa Orientale e meridionale e 88% dei morti del 2020 è avvenuto in Africa, Medio Oriente e nell’est asiatico, dove l’accesso alle cure risulta molto difficile.


Concludo con due titoli interessanti: su Netflix si trova un documentario che cerca di fare luce sulla morte di una figura importante per il movimento LGBTQ+: The Death and Life of Marsha P. Johnson.

Dopo aver giocato un ruolo fondamentale nelle sommosse di Stonewall del 1969 (da cui poi nasce il Pride), Marsha e l’amica Sylvia Rivera fondano nel 1970 la STAR, prima organizzazione al mondo per la difesa dei diritti dei trans.

Nel 1992 il suo corpo senza vita fu ritrovato nel fiume Hudson e in questo documentario, l’attivista Victoria Cruz cerca di scoprire la verità (la polizia chiuse in caso sostenendo si trattasse di suicidio).


L’altro, l’ho scoperto recentemente sul catalogo Amazon Video: Non so perché ti odio – Tentata indagine sull'omofobia e i suoi motivi, film di Filippo Soldi. E’ del 2014 e si parla del proposta di legge Scalfarotto (ora convogliata insieme ad altre Boldrini, Zan, Bartolozzi Perantoni) nel ddl Zan…e lascia l’amaro in bocca il fatto che a distanza di anni non si sia riusciti ad avere una legge di tutela, mentre sono aumentati episodi di violenza. L’autore intervista anche esponenti di ForzaNuova, Sentinelle in piedi, Giuristi per la vita, La Manif pour Tous.

Penso abbiate chiaro il mio pensiero e onestamente la convinzione di queste persone mi ha fatto paura, pur vedendo le molte contraddizioni dei loro ragionamenti…

Ci sono inoltre testimonianze di alcuni gay che hanno subito aggressioni, i genitori di un ragazzo suicida, di un omicida.

Colpisce - come lo hanno fatto gli altri titoli che vi ho citato - ovviamente si tratta di un argomento vastissimo di cui ho portato solo una minima parte.

Consiglio un giro sul sito glaad.org che propone interessanti approfondimenti, tra questi Media Reference Guide per un utilizzo corretto ed inclusivo dei termini per raccontare la comunità LGBTQ+ (peccato non ci sia anche in italiano, sarebbe utile e lo dico anche per me perché se alcuni scivoloni si capiscono, altre volte invece la scelta di un termine o l’omissione di una lettera e di un + rende il linguaggio più o meno inclusivo e saperlo permetterebbe di evitare errori).


Concludo con una frase che ho sentito per la prima volta in un altro contesto (il testamento biologico e il fine vita): I diritti sono come un raggio di sole, se io mi abbronzo a te non rubo niente, è attribuita a Saverio Tommasi.


*bocciato in Senato il 27 ottobre 2021


Altri siti consultati

The Hidden History of Paris is Burning https://bit.ly/3xmcTs9

Ispirazione personaggi Pose https://bit.ly/3gyUn9t

Intervista Dominique Jackson (Pose): https://bit.ly/3gQidxF

IMDB - Storie LGTBQ+ sullo schermo: https://imdb.to/3zt2Fbv

Netflix - 30 titoli per celebrare il mese del Pride: https://bit.ly/3iHYFOl


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