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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

Il tesoro di San Gennaro

Parliamo di miracoli. E se si parla di miracoli non si può fare a meno di citare San Gennaro, che credo sia da sempre installato di diritto sul podio di un’ipotetica classifica degli interventi divini. Imperdibile, per i napoletani e non solo, è il miracolo della liquefazione del sangue che si celebra tre volte l’anno (a maggio, settembre e dicembre) e che dovrebbe presagire – nel bene se si liquefa, nel male se non succede – le sorti della città.

Un altro miracolo del santo – quello che ci riguarda più specificatamente in questa rubrica dedicata ai gioielli – è la sua ricchezza. Già, perché San Gennaro è ricco. Ricchissimo. Immensamente ricco. Da guardiano di porci qual era (e parliamo del III – IV secolo dopo Cristo), San Gennaro si può oggi fregiare del fatto di essere “titolare” (ed è il termine corretto) del tesoro più prezioso al mondo. La certificazione degli esperti è di pochi anni fa. Fatte le dovute valutazioni è stato infatti calcolato che gli oggetti preziosi donati dai fedeli al Santo napoletano nel corso dei secoli valgono più di quelli della corte d’Inghilterra o dell’emiro del Qatar. E questo solo per quanto riguarda il valore intrinseco, al quale va aggiunta un’aurea di creatività, devozione popolare, religiosità e spettacolarità senza prezzo.

Una collezione straordinaria in costante crescita composta da oltre 22 mila opere preziose custodite sia nella Cappella del Duomo che, in gran parte, nell’adiacente Museo del Tesoro di San Gennaro a Napoli.

Ma come è potuto succedere tutto ciò? Qual è la genesi di questo incredibile tesoro che – va subito detto – pur trovandosi all’interno di un edificio di culto cattolico, su territorio italiano, non è di proprietà della Chiesa né tantomeno dello Stato italiano? Infatti il tesoro di San Gennaro appartiene “di diritto” al popolo napoletano. Tutto ebbe inizio nel Cinquecento quando la città si trovò a dover fare i conti contemporaneamente con due epocali disgrazie: una terribile pestilenza e una spaventosa eruzione del Vesuvio. E i napoletani decisero all’unanimità di stipulare un vero proprio contratto col proprio santo. Contratto regolarmente stilato e certificato da un notaio il 13 gennaio 1527. Secondo il testo dell’accordo avrebbero costruito in suo onore una sontuosa cappella all’interno del Duomo a condizione che la peste sparisse e il Vesuvio si calmasse. Insomma, do ut des. E per regolamentare il tutto venne addirittura istituita una "Deputazione", un organismo totalmente laico che avrebbe garantito il mantenimento dell’impegno da parte dei cittadini. Pensate che questo organismo esiste tuttora, è presieduto dal sindaco di Napoli e per entrarne a far parte bisogna essere selezionati sia dal Ministero degli Interni che dall’arcivescovo di Napoli.

Evidentemente il contratto venne onorato sia dal santo che dai napoletani, tant’è che i lavori per la costruzione della cappella ebbero presto inizio. Alcuni problemi insorsero con le decorazioni per via che i pittori napoletani non gradivano la designazione di artisti provenienti da altre città. Le discussioni infatti si protrassero per oltre un secolo finché si giunse a qualche tipo di compromesso e oggi nella cappella possiamo tutti godere degli splendidi affreschi di Domenico Zampieri, detto il Domenichino. Ma gli affreschi non son altro che contorno al tesoro spirituale di assoluto pregio posto al centro della cappella. Si tratta di un busto-reliquiario d’oro e d’argento di San Gennaro realizzato per volere di Carlo d’Angiò nel 1305 (esattamente mille anni dopo la decapitazione del santo) e che contiene le ossa della sua testa.

Quanto al preziosissimo tesoro vero e proprio di San Gennaro, questo è andato formandosi e crescendo in maniera pressoché esponenziale nei secoli grazie alle donazioni di sovrani, papi, imperatori, ma soprattutto di gente comune, tutti con una supplica, un favore, una preghiera che soltanto la benevolenza di San Gennaro poteva soddisfare. In origine le donazioni erano custodite all’interno del Duomo, ma attualmente, per ovvie ragioni di sicurezza, il tutto è stato trasferito nel vicino museo, a pochi passi di distanza. Oggi questo patrimonio del popolo rimasto miracolosamente integro (non è mai stato sottratto un pezzo nel corso dei secoli) è talmente prezioso che le tre creazioni di maggior valore non possono essere esposte contemporaneamente per la semplice ragione che non esiste polizza assicurativa in grado di coprirne un eventuale furto.

Il più clamoroso è senz’altro una collana, considerata la più preziosa al mondo.

Realizzata nel 1679 su commissione della Deputazione, è andata man mano arricchendosi nel corso di oltre 250 anni. Composta da 13 maglie di oro massiccio ornate da 700 diamanti, 276 rubini e 92 smeraldi porta al centro una serie di croci, anch’esse tempestate di pietre preziose, aggiunte nei secoli da Carlo di Borbone, Maria Carolina d’Austria, Giuseppe Bonaparte… tanto per citare alcuni nobili donatori.


Ma c’è anche una spilla a forma di mezzaluna della duchessa di Casalcalenda, un’altra di diamanti e crisoliti di Vittorio Emanuele II, un anello di Maria Jose, e così via. Ma anche due semplici orecchini d’oro donati da una popolana per grazie ricevuta.

Altro pezzo stupefacente è la mitra di San Gennaro, un copricapo vescovile del peso di ben 18 chili d’oro e d’argento, decorato con 3.964 pietre tra rubini, smeraldi e brillanti e realizzata nel 1713 da Matteo Treglia, uno dei più valenti rappresentanti della scuola orafa napoletana. Le pietre furono scelta sulla base di precisi simbolismi: i rubini stanno infatti a rappresentare il sangue di San Gennaro, i diamanti la purezza della sua fede e gli smeraldi la conoscenza. Nel 2010, un pool di gemmologi, riunito a Roma in occasione di una mostra dedicata al Tesoro di San Gennaro, ha stimato il valore della sola mitra in 7 milioni di euro.


Pregevolissima, da un punto di vista artistico, è la collezione degli argenti (circa 70 pezzi) che abbracciano un arco di tempo che va dal 1305 ad oggi. Altre creazioni che fanno inoltre bella mostra di sé nel museo sono l'ostensorio – in oro, argento e rubini, decorato da una gloria di angeli tra tralci di vite e nuvole – donato nel 1808 da Napoleone tramite il cognato Gioacchino Murat. E l'altro ostensorio in oro, pietre preziose e smalti del 1837 offerto dalla futura regina Maria Teresa in occasione delle sue nozze con Ferdinando II.

Innumerevole l’aneddotica.

Come quella volta che Maria José del Belgio, allora Regina d’Italia ma non del tutto consapevole delle usanze locali che nessuno aveva avuto la premura di comunicarle, andò in visita al Santo a mani vuote. Dopo qualche attimo d’imbarazzo e resasi conto della gaffe che stava compiendo, Maria José si sfilò dal dito il bellissimo anello d’oro con diamante che portava quel giorno e lo lasciò in dono.

Durante l’ultima guerra mondiale, il Tesoro di San Gennaro fu trasportato e nascosto per sicurezza in Vaticano.

Non si sa mai.

Ma al termine del conflitto, il tesoro non tornava a casa.

Sconcerto generale tra i napoletani ma il fatto era che nessuno si fidava di dare o di prendere in carico un valore del genere. Fu così che nel 1947 l'allora arcivescovo di Napoli Alessio Ascalesi si prese, per così dire, le sue responsabilità e affidò l’incarico del trasporto al boss napoletano Giuseppe Navarra, soprannominato “ 'o rre di Poggioreale, il quale riuscì in effetti nell’impresa organizzando un rocambolesco quanto misteriosissimo trasporto, di cui non si saprà mai la verità e che tenne a lungo col fiato sospeso tutta la città. E che ispirò il famoso film di Dino Risi “Operazione San Gennaro” del 1966.

Ma all’arrivo fu festa grande e tutti i preziosi, ma proprio tutti tutti, vennero riconsegnati intatti nel corso di una cerimonia pubblica che ebbe luogo il 6 gennaio del 1947 alla quale partecipò l’intera cittadinanza.

E anche in questo caso, ovviamente, si gridò al miracolo.



Le immagini sono tratte dalla pagina Facebook del Museo di San Gennaro

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