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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

il giro delle tre chiese

Oggi vi propongo di fare churching in piazza Duomo, MA… (e qui sta l’inghippo) senza visitare il Duomo, che sarebbe forse un po’ scontato e comunque troppo impegnativo per i miei podcast.

Ma come si può andar per chiese in Piazza Duomo? Niente di più facile perché fin da Medioevo l’antica chiesa di Santa Maria Maggiore (oggi Duomo) era circondata da sei chiese minori poste tutt’intorno a raggiera e quelle che vorrei condurvi a visitare sono un po’ le “sopravvissute” di quel periodo.

Chiesa di S. Raffaele - facciata - Wilma Viganò

La prima è San Raffaele Arcangelo che troviamo sulla sinistra all’inizio della via omonima. L’ultimo attacco alla sua sopravvivenza è abbastanza recente ed ebbe luogo, all’inizio del ‘900, quando sembrava proprio che la Rinascente volesse appropriarsi di tutto lo spazio disponibile. Ma le proteste dei cittadini, capeggiati dal Sindaco, si fecero sentire e tutto restò come prima. La chiesa risale a un paio di secoli prima dell’anno Mille, ma deve la sua attuale conformazione al solito San Carlo Borromeo che ne commissionò il rifacimento nel 1582 a uno dei maggiori architetti del tempo. Forse Pellegrino Tibaldi (quello di San Fedele) o magari Galeazzo Alessi (vedi Palazzo Marino). Quale dei due, ancor oggi non si sa. La facciata, soffocata dai palazzi che la circondano, è imponente. Con la parte inferiore decorata con grosse teste maschili, e la parte superiore, più tarda, opera di Cesa Bianchi che la rifece di testa sua prima del casuale ma ormai tardivo ritrovamento del progetto originale all’Archivio di Stato.

L’interno a tre navate è un elegante e severo barocco, con le volte sorrette da imponenti colonne di granito rosso. Sul vecchio altare pare facesse bella mostra di sé un preziosissimo ostensorio offerto dai fedeli milanesi. Disegnato da Monsignor Spirito Maria Chiappetta (che ha messo mano a una quantità di chiese milanesi e di cui dovrei raccontarvi prima o poi la storia) venne eseguito dall’orafo Giuseppe Guelfi e così descritto: “E’ un lavoro ricchissimo. Nella lunetta sono incastonati brillanti d’acqua limpidissima; la corona regale con cui termina è legata da decine di brillanti legati in platino ed alternati di bellissimi zaffiri; perle finissime, armonicamente distribuite, convergono alla crocetta estrema, ricca essa pure di brillanti e di un magnifico rubino”. Chissà se è ancora lì?

Preziosi dipinti seicenteschi sono distribuiti lungo tutte le pareti (pare che ai tempi ci fosse persino un Caravaggio) e negli altari laterali, mentre gli arredi in legno scuro contrastano con la luminosità della nuova pavimentazione tirata a specchio. Il tutto sovrastato da una cupola anche lei di recente restauro. Alla destra dell’ingresso spicca un lineare crocefisso a suo tempo utilizzato per l’altare della Messa che Papa Benedetto XVI officiò a Bresso il 3 giugno 2012.

La chiesa di S. Raffaele ha sempre avuto una vocazione artistica. Qui era molto attiva l’iniziativa “L’occhio ascolta” il cui fine è quello di proporre un confronto-dialogo tra arte contemporanea e arte antica all’interno degli spazi liturgici. Al momento, tutto ciò che è rimasto è la Via Crucis della palestinese Emily Jacir: 14 piccole teche trasparenti che, con oggetti-reliquia (tessuti, proiettili, filo spinato, chiavi arrugginite), narrano, su doppio binario, le storie tragiche della Palestina di ieri e di oggi.

Ma la chiesa si caratterizza, sotto l’aspetto liturgico, per una sua specifica funzione: l’adorazione perenne dell’Eucarestia. Ciò significa che sull’altare maggiore è sempre esposta l’Eucarestia che viene vegliata, notte e giorno, dalle suore della vicina comunità “Mater Creatoris”. Una testimonianza della dimensione contemplativa della vita scandita dalla “Liturgia delle Ore” a cui tutti sono invitati a partecipare. Se poi vi capita, nel bel mezzo di cori angelici, di veder salire nell’aria fumi di incenso che avvolgono il calice come se uno Spirito si irradiasse dall’Ostia per tutta la chiesa… beh, potrete dire di aver assistito ad un miracolo! A me è successo. E mi ha molto impressionata. Informazione di servizio: la chiesa chiude il sabato mattina (per pulizie) e la domenica (per farvi andare a Messa nelle altre chiese), Duomo in primis. Basta attraversare la strada.

chiesa di Santa Maria Annunciata in Camposanto - facciata - Wilma Viganò

La seconda chiesa che vi accompagno a visitare, se non la conoscete vi sfido a trovarla. E’ la chiesa di Santa Maria Annunciata in Camposanto, proprio dietro al Duomo, inglobata, inserita, incorporata, in una sola parola nascosta, nel palazzo della Veneranda Fabbrica costruito a metà ‘800. Insomma la chiesa c’è ma non si vede. Secoli fa era questa un’area cintata, denominata “Campo Santo”, per via di un piccolo cimitero con cappella che, dopo l’apertura del cantiere del Duomo, venne adibita ad ospitare gli alloggi, i depositi e i laboratori destinati alle maestranze. La Veneranda fabbrica del Duomo era stata infatti fondata nel 1387 da Gian Galeazzo Visconti con il compito di gestire la progettazione, costruzione e manutenzione della nuova cattedrale.

L’attuale palazzo, in puro stile neoclassico, altro non è che il più recente rifacimento ottocentesco di quell’antico insediamento, ancor oggi in piena attività in sintonia con l’espressione milanese che quando qualcosa non finisce mai si dice “la par la fabrica del Dom!” (sembra la fabbrica del Duomo). Unica testimonianza esterna della struttura originale il relogii, cioè l’orologio, piazzato in cima alla facciata del palazzo. Per la cronaca fu proprio qui, nella “cassina” del cantiere degli operai del Duomo che, nel 1574, fu inventato il risotto alla milanese. Si celebravano infatti le nozze della figlia di un maestro vetraio, quando alcuni ospiti burloni aggiunsero per scherzo al risotto il pigmento giallo usato per le tinture dei vetri della cattedrale. Il risultato fu così gustoso e sorprendente che, a distanza di secoli, lo stiamo ancora apprezzando!

Ma torniamo alla nostra chiesa. Dopo aver svolto le funzioni di cappella degli operai del Duomo, venne completamente ricostruita a partire dal 1616 per volere di Federico Borromeo fino ad essere definitivamente “assorbita” dalla costruzione della Veneranda Fabbrica. L’ingresso oggi avviene dal portone principale del palazzo e l’ambiente interno è suddiviso in due spazi ottagonali – l’aula e l’abside – con relative cupole piuttosto interessanti e un bel matroneo. Tutto molto baroccheggiante.

Sull’altare maggiore troneggia un famoso ed imponente bassorilievo dell’Annunciazione. Originariamente era destinato ad un lato della cattedrale ma, dopo che venne riportato il miracolo della guarigione di uno storpio avvenuta mentre era in preghiera davanti a questa immagine, si decise di dargli maggiore evidenza. I due altari lateriali sono dedicati ai milanesissimi martiri Narbore e Felice (compagni di sventura di San Vittore) e a Sant’Antonio di Padova, mentre angeli e cherubini svolazzano in ogni dove.

Interessantissimo il succedersi delle cerimonie: rito cattolico nei giorni feriali alle 13,05 (puntualissimi come la Scala) e la domenica alle 11,00; rito copto eritreo la domenica alle 9,00 e Messa in giapponese la domenica alle 13,30. Dimostrazione pratica che la chiesa è veramente cattolica, cioè universale. Particolarmente affascinante il rito della comunità eritrea con gli uomini nei loro abiti migliori e le donne tutte avviluppate di bianco. Nel corso della Messa, alle preghiere si alternano canti ritmati con le mani e addirittura movenze di ballo. Divertente il fatto che, nel corso dell’omelia (di cui naturalmente non ho capito un bel niente), i fedeli sottolineassero i passaggi che apprezzavano maggiormente con sonori applausi. Proprio come a teatro!


Infine, a ridosso del Duomo sul lato destro, andiamo a visitare un piccolo scrigno: San Gottardo in Corte, una chiesuola fatta e rifatta, smembrata e ricomposta, decaduta e restaurata nei secoli. All’inizio era un battistero, che risaliva addirittura ai tempi di Ambrogio, conosciuto come S. Giovanni alle Fonti e i resti di quell’antica funzione pare siano tuttora conservati in una misteriosa cripta, sigillata da un tombino posto sotto l’altare. Ma quando all’inizio del ‘300, il signore di Milano Azzone Visconti decise di trasferire la sua corte al Broletto Vecchio (l’attuale Palazzo Reale) incorporò bellamente la piccola chiesa incaricando Francesco Pecorari da Cremona (da cui la via omonima) di restaurarla trasformandola in uno dei primi esempi di costruzione religiosa proposta dal potere pubblico.

Oltre che alla Vergine, la chiesa era allora dedicata ad altri santi, ma restò ben presto intitolata ad uno solo di questi, San Gottardo appunto, santo tedesco protettore del mal di gotta, male che affliggeva lo stesso Azzone, che sperava così in una particolare intercessione. E deve essere rimasto soddisfatto tanto da voler essere tumulato proprio in questa chiesa. Qualche secolo più tardi tutta la struttura venne però completamente rivoluzionata dalla furia creativa del Piermarini – impegnato a dare un nuovo look a tutta Milano – che distrusse la facciata per far posto allo scalone d’onore di Palazzo Reale, mantenendo però il portale e spostandolo sull’ingresso laterale.

L’interno, recentemente restaurato, è di pura ispirazione neoclassica e ospita nuovamente, alla sinistra dell’altare maggiore, il mausoleo-sepolcreto di Azzone Visconti che il Piermarini aveva ritenuto “ingombrante” e fatto trasferire a Palazzo Trivulzio. Il monumento funerario è opera di Giovanni di Balduccio, lo scultore pisano trecentesco celebrato a Milano soprattutto per la splendida arca di S. Pietro Martire nella Cappella Portinari di Sant’Eustorgio. In effetti le due opere si somigliano molto. Ma l’attrazione principale è la “Crocefissione” di scuola giottesca, posta oggi sul lato opposto all’altare maggiore. Giotto, al culmine del suo prestigio come pittore e architetto, fu effettivamente convocato a Milano nel 1335 come “sovrintendente alle arti” per la decorazione della Corte e della Chiesa Ducale ed è quindi innegabile la partecipazione del genio toscano. Originariamente l’affresco era collocato all’esterno e questo spiega le sue precarie condizioni nonostante il restauro. Completano gli arredi della chiesa un “S. Carlo Borromeo in gloria” di Giovan Battista Crespi, e due altari laterali un po’ di maniera.

Chiesa San Gottardo -  campanile - Wilma Viganò

Oggi la chiesa fa parte del circuito museale della Veneranda Fabbrica e per visitarla occorre seguire il percorso, peraltro interessantissimo, del Museo del Duomo. All’uscita è assolutamente doverosa una sosta per ammirare la bellissima torre campanaria ottagonale in cotto, sempre del Pecorari, che pare abbia ispirato, dopo pochi anni, la “ciribiciaccola” di Chiaravalle. Era chiamata Torre delle Ore, perché ospitava uno dei più antichi orologi di Milano, il primo di cui si abbia notizia in Europa, capace di battere tutte le ore del giorno e della notte. E dal quale deriva anche il nome dell’intera contrada, detta appunto delle Ore. Sulla cima, svetta un S. Michele Arcangelo portabandiera (rimasto senza testa per un paio di secoli per via di una decapitazione dovuta a fastidiosi cigolii), mentre alla base una lapide antica con il biscione visconteo tramanda la data della sua costruzione: cioè l’Anno Domini 1336.


E con ciò termina il nostro giro delle tre chiese.

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