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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

i luoghi dell'Ebraismo - 1

Vorrei inaugurare una piccola serie “a tema” da svolgere ogni tanto nel corso della stagione. Il fil rouge che ho in mente è quello ci porterà a visitare, ma soprattutto a conoscere un po’ di più, i luoghi dell’ebraismo a Milano. Impresa non scontata credo, ma anche non semplicissima, soprattutto per me che sono una semplice osservatrice esterna di questa immensa cultura e delle sue tradizioni. E già che ci sono, chiedo anticipatamente venia per qualche svarione nel quale inevitabilmente incapperò.

Mi auguro in ogni caso che il progetto vi intrighi e … pronti via!

La comunità ebraica milanese è oggi numericamente la più numerosa in Italia dopo quella di Roma, e una breve, anzi brevissima introduzione storica mi par doverosa. A Milano non è mai esistito un ghetto alla vecchia maniera, come quelli storici di Venezia e Roma, cioè un’area cintata da mura con il divieto di uscirne la notte. Gli ebrei a Milano ci sono stati da sempre come tuttora testimoniano le due lapidi funerarie sulla parete di destra dell’atrio della basilica di Sant’Ambrogio. In effetti il “Liberi tutti” dell’Editto di Milano di Costantino del 313 ebbe breve applicazione in città, travolto come fu, subito dopo, dall’affermarsi della nuova dottrina di Ambrogio che richiedeva l’esclusiva. Leggi, vincoli, balzelli ed ostacoli di ogni genere hanno di fatto impedito per secoli l’insediamento di una comunità stanziale ebraica nella nostra città, insediamenti che però sorsero nei dintorni, da Soncino a Mantova.

Ai tempi dei Visconti e degli Sforza erano permessi agli ebrei transiti e residenze temporanee per questioni di affari, ma con l’arrivo degli spagnoli nel ‘500 gli ebrei vennero definitivamente messi al bando e poterono essere ritenuti pari ai Cristiani solo a partire dall’Ottocento, prima con le liberalizzazioni napoleoniche e poi con lo Statuto Albertino.

Fu quindi nel 1866 che un gruppo di giudei, guidati dal primo rabbino della città Prospero Moisè Ariani, si staccò definitivamente dalla ben più consistente comunità mantovana per trasferirsi a Milano dandosi una struttura autonoma sia religiosa che amministrativa. Oggi, ma solo per convenzione, a Milano si intende per “quartiere ebraico” la zona più o meno compresa tra via Washington e piazzale Giovanni delle Bande Nere, dove vive un’alta concentrazione di famiglie ebree e dove si trovano svariate sinagoghe ed operano alcuni negozi e ristoranti kosher.

Insomma, la nostra piccola Brooklyn meneghina.

Sinagoga Centrale facciata - Via della Guastalla - Wilma Viganò

Ma il primo luogo ebraico da visitare e senz’altro il più rappresentativo, è l’imponente sinagoga centrale di via della Guastalla. E c’è una ragione storica ben precisa per la sua centralità e la sua maestosità. A inizio Ottocento gli ebrei, con l’apertura dei ghetti erano stati, come già detto, solo recentemente reintegrati nella vita europea con pieno diritto alla cittadinanza e alla proprietà, e questa immensa conquista doveva essere celebrata anche con l’edificazione di sinagoghe molto importanti, proprio per affermare finalmente l’identità di un popolo dopo secoli di persecuzioni. A Milano venne quindi scelto uno dei quartieri centrali della città, proprio di fianco ai Giardini della Guastalla, e il progetto fu affidato all’architetto Luca Beltrami, allora molto in voga per opere fondamentali come la sistemazione di piazza della Scala e i restauri del Castello Sforzesco. E il Beltrami disegnò una sinagoga come esternamente appare ancor oggi: con un'alta facciata monumentale impreziosita da mosaici azzurro e oro, in uno stile bizantino-Liberty come richiedeva la moda del tempo. Leggermente rientrata e separata dalla strada da una lunga cancellata, il portale centrale è sormontato da un grande arco e termina in alto con l'immagine scolpita delle tavole della legge. La costruzione presentava all’epoca soluzioni d’avanguardia come i lampadari con fiamme a gas e un sofisticato sistema di riscaldamento sotterraneo.

Ma la struttura originale venne pressoché distrutta nell'agosto del 1943 quando, nel corso di un bombardamento, il tetto della sinagoga fu colpito da spezzoni incendiari. Si salvò soltanto la facciata che venne immediatamente risistemata secondo la versione originale del Beltrami, mentre l’aula interna assunse una nuova veste razionalista. L’esito fu un concorso d’idee, dove vinsero ex equo Eugenio Gentili Tedeschi e Manfredo d’Urbino che prevedeva un grande matroneo sostenuto da esilissimi pilastrini di granito rosa incastonati fra due cuscini in bronzo, un impianto purtroppo manomesso qualche anno più tardi da un intervento di ristrutturazione. Suddivisa in tre navate l’aula è oggi articolata su tre livelli, con il vasto matroneo di cui sopra perché le donne, durante le funzioni, sono tuttora separate dagli uomini. In linea con la tradizione il tempio non contiene né statue né immagini sacre. I candelabri a sette braccia stanno a rappresentare i sette giorni della creazione e, piccolo inciso, dovremmo tutti essere grati agli ebrei per aver inventato, oltre 5.000 anni fa, il riposo settimanale. Sono infine da segnalare le 23 finestre multicolori realizzate a Murano a cura dell’artista newyorkese Roger Selden, che offrono un fantasioso collage di simboli e lettere dell’alfabeto ebraico (che, di nuovo per la cronaca, è costituito unicamente da consonanti).

La sinagoga non è consacrata come le nostre chiese. Non è solo luogo di preghiera, ma anche di studio. Tant’è vero che in Italia si chiama per tradizione “Schola”, latinizzando l’ebraico Beit ha-Midrash, casa dello studio, ovvero scuola. L’essenza della celebrazione ebraica del Sabato, lo Shabbat, consiste nella lettura della Torah, ovvero l'insieme degli insegnamenti e precetti come rivelati da Dio tramite Mosè e riportati nei libri dell’Antico Testamento. La Torah è custodita, sotto forma di rotoli di pergamena lunghi circa 2 metri nel grande armadio maestro collocato in ogni sinagoga nel lato che volge ad oriente, verso Gerusalemme. Per officiare ogni preghiera collettiva occorre la presenza di almeno 10 uomini. Nella Sinagoga centrale di Milano dietro l’armadio si erge una parete in marmo a ricordo del Muro del Pianto, cioè di quella parte del Tempio di Gerusalemme sopravvissuta alla distruzione dei Romani nel 70 dopo Cristo.

Via Poerio 35 -  Casa 770 - Wilma Viganò

Di sinagoghe, o scuole, ce ne sono parecchie in giro per Milano, certamente meno fastose di quella centrale, ma la più insolita e particolare la possiamo trovare al numero 35 di via Poerio, dalle parti di Porta Venezia. L’edificio è in puro stile gotico, con tetti spioventi a V rovesciata e mattoni rossi a vista. E’ la cosiddetta Casa 770 e ne esistono altre 12 in giro per il mondo, in Canada, Israele, Argentina, Stati Uniti e Australia. Ma l’unica Casa 770 europea è a Milano. Costruite tutte in epoche diverse ma sempre esattamente uguali, sono le sedi di un movimento ebraico ortodosso e il loro nome deriva dalla prima casa che si trova al numero 770 di Eastern Parkway a Brooklyn. Acquistata nel 1940 da un gruppo di ebrei scampati alla Germania nazista, è poi servita da modello architettonico di riferimento (in uno stile molto insolito a Milano) a quelle che sono poi sorte in tutto il mondo.

I numerosi gruppi che compongono la Comunità di Milano hanno dato vita nel corso degli anni a numerosi oratori, che seguono riti diversi. Nel 1986 il gruppo persiano realizzò un centro comunitario in via Montecuccoli, con al suo interno una sinagoga di rito sefardita-persiano. Il progetto dell’architetto Eugenio Gentili Tedeschi fu concepito come un “pezzo di paese”, cioè un insieme di moduli simili accostati a configurare le fronti su strada o su corte, come le brevi cortine edilizie tipiche dei tradizionali insediamenti ebraici. All’esterno il grande edificio si presenta infatti come un piccolo agglomerato di case di un villaggio, rivestite in ceramica bianca e frangisole verniciati in vari toni di azzurro.

Come già detto la sinagoga per la cultura ebraica non è solo luogo di preghiera ma soprattutto luogo di aggregazione e di insegnamento, e questo spirito lo possiamo ritrovare nei chiostri dell’Umanitaria di via San Barnaba. Qui gli antichi cortili del complesso monastico di Santa Maria della Pace - oggi ribattezzati con nomi gentili come Chiostro dei Pesci, dei Glicini, delle Memorie e dei Platani - dopo essere stati sconsacrati e degradati da Napoleone a scuderie e magazzini, vennero acquisiti all’inizio del ‘900 dalla Società Umanitaria, un’emerita istituzione sorta grazie al lascito testamentario del mecenate Prospero Moisè Loria, un ebreo mantovano arricchitosi in Africa e a Trieste ma che scelse Milano come città d’elezione. Loria si trasferì a Milano nel 1868 costruendosi un palazzetto al numero 9 dell’attuale via Manzoni (c’è una targa) e qui cominciò a lavorare al grande disegno della sua vita: quello di costituire un’organizzazione, la Società Umanitaria appunto, concepita per “mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da sé medesimi, procurando loro appoggio, lavoro e istruzione”. Insomma, niente elemosine spicciole, ma educazione allo studio e lavoro qualificato.

E per saperne di più sulla vita di questo straordinario personaggio vi rimando, per chi ne avesse voglia, alla puntata n. 38 di “A spasso con Wilma”.

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