Puntata “a tema” per raccontarvi piccole e grandi storie di alcune delle svettanti costruzioni che caratterizzano il paesaggio italiano: i campanili. I campanili di Milano naturalmente. Secondo la Treccani dicesi “campanile” la costruzione destinata a sostenere le campane delle chiese, costituita in genere da una torre (la torre campanaria appunto), ma talvolta anche da un muro traforato da archetti entro i quali sono installate le campane (i cosiddetti campanili a vela). Non che a Milano ci si possa fregiare di fantasie estreme tipo la Torre di Pisa o il campanile di Giotto di Firenze, ma insomma qualcosa c’è, e può essere intrigante scoprirne la storia.
E partirei dal campanile che non c’è. Il fatto è che il Duomo è senza campanile. Non che sia obbligatorio (anche San Pietro a Roma non ce l’ha), ma insomma… Va detto che ci hanno provato in parecchi a farlo. A partire dall’architetto di fiducia di san Carlo Borromeo, quel Pellegrino Pellegrini che, dopo aver firmato a metà ‘500 battistero, presbiterio, numerosi altari e cartoni per vetrate, si vide bellamente cassare a fine carriera il progetto per la facciata della cattedrale che prevedeva due campanili binati sulla facciata stessa.
Dopo di allora, nel mentre che si procedeva coi lavori (durati secoli come ben ci ricorda l’espressione “El finiss mai ‘me la Fabrica del Domm”) (Non finisce mai come la fabbrica del Duomo), ci si accontentò di una torretta campanaria provvisoria in muratura, costruita, sempre nel ‘500, sopra la navata centrale. Quando poi nel 1888 la Veneranda Fabbrica del Duomo indisse un concorso pubblico per chiudere la secolare questione della facciata della nostra “chiesa di rappresentanza”, come mi piace definirla, l’allora popolarissimo Luca Beltrami presentò un progetto che comprendeva una torre campanaria da erigersi sul fondo della manica lunga di Palazzo Reale, e che riprendeva gli elementi decorativi dei suoi più illustri predecessori, cioè il Pellegrini e il Richini. Ma anche colui che stava reinventando la torre del Filarete del Castello Sforzesco venne bellamente ignorato.
L’ultimo (o, meglio, il più recente visto come sono andate le cose in passato), ad averci provato fu nientepopodimeno che Benito Mussolini che, nel 1938, annunciò in pompa magna l’avvio dei lavori per la realizzazione di un progetto che l’artista Vico Viganò (di cui non credo essere parente) aveva già pronto da una decina d’anni. Il 20 ottobre il Corriere della Sera titolava infatti su tre colonne “Il Duomo avrà il campanile più alto del mondo. L’ordine del Duce: le campane a posto nel 1942”.
Il progetto era praticamente un inno al potere e comprendeva la loggia della Redenzione, la celletta della Campanella Vittoriosa, il tempietto della Gloria, la loggia belvedere, l’Altare della Patria e il Faro della Pace, il tutto distribuito lungo un’altezza di 160 metri, persino più in alto della Madonnina. Progetto criticatissimo e controverso, con la diatriba risolta dallo scoppio della seconda guerra mondiale.
A questo punto credo che tutti abbiano rinunciato a dotare il Duomo di campane, ma mai dire mai! Il fatto è che, proprio pochi metri accanto, lungo il fianco destro della cattedrale, svetta la bellissima torre campanaria di San Gottardo in Corte, la chiesetta bellamente incorporata all’inizio del ‘300 da Azzone Visconti quando decise di trasferire la sua corte al Broletto Vecchio, cioè l’attuale Palazzo Reale. Chiesetta (pre-esistente) e campanile furono affidati al tempo a Francesco Pecorari da Cremona (da cui la via omonima lì accanto) che così creò uno dei primi esempi di costruzione religiosa proposta dal potere pubblico. In perfetto stile gotico lombardo, il campanile era detto anche Torre delle Ore, perché ospitava uno dei più antichi orologi di Milano, il primo di cui si abbia notizia in Europa capace di battere tutte le ore del giorno e della notte. (Pensate che incubo!) Ed è da questa funzione che deriva anche il nome dell’intera contrada, detta appunto Contrada delle Ore. Sulla cima della torre si erge un San Michele Arcangelo portabandiera, oggi completamente ripristinato ma rimasto senza testa per un paio di secoli, dopo essere stato fatto decapitare con una freccia (si mormora) da un Signore di Milano sofferente d’insonnia per via dei fastidiosi cigolii.
Passandogli accanto si può facilmente individuare una lapide antica con il biscione visconteo che ci tramanda la data della sua costruzione: cioè l’Anno Domini 1336. Il che ci rivela che qualche anno prima, cioè nel 1329, il Pecorari si era già esercitato in qualcosa di mooolto simile: cioè la celeberrima Ciribiciaccola dell’abbazia di Chiaravalle, realizzata in cotto e marmo di Candoglia (lo stesso del Duomo) in uno stile che non ha niente a che fare con l’austera architettura del convento voluto da San Bernardo. Ma tant’è: l’arte delle torri del Pecorari ebbe evidentemente il sopravvento sulla rigorosità monacale. E la campana della Ciribiciaccola, la mitica Bernarda, ha chiamato per secoli a raccolta i monaci per la liturgia, anche se i milanesi la ricordano soprattutto per un antico scioglilingua che non sto a cercare di ripetere perché altrimenti finiamo domani! E non sono nemmeno sicura di saperlo dire.
Ma parliamo ora dei campanili invisibili. Data l’urbanizzazione ormai secolare della città con conseguente affollamento degli edifici, la visuale prospettica dei campanili è andata in alcuni casi sparendo dal fronte delle chiese. Ne è un tipico esempio il campanile della chiesa di San Carlo, che pure risulta essere, con i suoi 84 metri di altezza, il più alto di Milano.
Se infatti osservate la facciata della chiesa da corso Vittorio Emanuele non si scorge alcun campanile. Eppure esiste, ma per vederlo dovete fare il giro dell’isolato. Che però vi posso evitare, svelandovi un piccolo segreto. Entrate in chiesa e dirigetevi verso la porticina sotto il pulpito, abitualmente aperta. Percorrete un breve corridoio ed uscite dalla porta successiva, facendo bene attenzione all’apposito marchingegno per non correre il rischio di restare chiusi dall’altra parte. Vi ritroverete in un piccolissimo cortile dal quale svetta l’imponente campanile misterioso. La torre tra l’altro è dotata di un celebre concerto di campane, molto apprezzato dal maestro Arturo Toscanini (che abitava lì vicino in via Durini) e che soleva recarsi fin sui bastioni di Porta Venezia per meglio ascoltare il suono delle campane di San Carlo.
Sempre in zona, potete avventurarvi alla ricerca di un altro campanile “scomparso”, quello della chiesa di San Francesco di Paola in via Manzoni, proprio di fronte ad Armani. Anche in questo caso, osservando la facciata della chiesa non si nota alcun campanile. Ma se entrate e vi avviate dal fronte destro della navata verso l’uscita alternativa di via Montenapoleone, vi troverete a percorrere un lungo corridoio punteggiato tra l’altro da opere d’arte d’ogni genere. Verso la fine, sporgendovi su un cortiletto condominiale interno, potrete scorgere il campanile; anche lui, come la chiesa, in perfetto stile barocchetto con tanto di orologio funzionante.
Se poi vi interessa ammirare il campanile del convento annesso alla chiesa dell’Incoronata in corso Garibaldi… basta andare al cinema! Dal quarto piano del Palazzo del Cinema dell’Anteo, vi godrete una vista a 360° sia del chiostro dell’antico convento che del campanile, con tanto di cuspide, della chiesa.
I campanili poi qualche volta cadono. Il tracollo storicamente più famoso è quello del campanile della chiesa di Santo Stefano Maggiore al Verziere che, originariamente, era collocato sul lato sinistro della chiesa, all’opposto di quello attuale. Ma la struttura medievale, nel 1642 cadde rovinosamente sulla vicina chiesa di San Bernardino alle Ossa che dovette essere ricostruita pressoché completamente dando probabilmente origine, con l’occasione, al fantasmagorico ossario che tutti conosciamo. E il campanile crollato venne spostato per sicurezza (non si sa mai!) sul lato opposto affidandone la ricostruzione a Gerolamo Quadrio, a quel tempo architetto-capo della Fabbrica del Duomo. Lavorava lì vicino… e quindi poteva occuparsi di entrambi i lavori.
Anche il campanile della chiesa di San Babila crollò nel 1575, ma probabilmente per mancanza di finanziamenti, venne ricostruito solo nell’800 approfittando dei materiali di recupero provenienti dalla demolizione della Porta Orientale. Si tratta quindi di un’opera pienamente sostenibile, in linea con le attuali norme di sviluppo del pianeta, e tra l’altro curiosamente noto in passato perché usava suonare le stesse note del Big Ben londinese.
Ma stiamo andando per le lunghe. E siccome ho ancora qualche storia divertente sui campanili di Milano da raccontarvi, vi do appuntamento alla prossima puntata di “A spasso con Wilma”.
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