CON OCCHI NUOVI NEI LUOGHI DI SEMPRE
A Milano ci sono tanti giardini pubblici, ma per i milanesi i “giardini pubblici” per eccellenza sono quelli di Porta Venezia o di via Palestro, o di Piazza Cavour, a seconda delle entrate. Dal 2002 sono stati ufficialmente intitolati a Indro Montanelli, che la mattina era solito sostare su una panchina dei giardini prima di recarsi alla sede del Giornale, che aveva fondato e che dirigeva dagli uffici di Piazza Cavour. E fu proprio lì, all’angolo tra la piazza e via Manin, che la mattina del 2 giugno 1977 venne gambizzato dalle Brigate Rosse. Oggi sul luogo gli è stata dedicata una grande statua dorata che lo raffigura nella sua posa classica, cioè mentre scrive con la Lettera 22 sulle ginocchia.
Per tornare ai giardini pubblici, ci siamo stati praticamente tutti e tutti abbiamo un ricordo personale: io ad esempio non ho mai dimenticato l’ebbrezza delle automobiline a pedali. Ma scommetto che pochi di voi ci sono andati in visita diciamo così “turistica”, ed è proprio in questa insolita veste che vi propongo la passeggiata odierna.
Occorre innanzi tutto sapere che quelli di Corso Venezia sono stati i primi giardini pubblici di Milano. Furono inaugurati nel 1784, voluti “per diletto dei milanesi” dell’archiduca Ferdinando d’Asburgo che ne aveva incaricato dello studio e realizzazione l’imperial regio architetto Giuseppe Piermarini (quello della Scala e della Villa Reale di Monza per intenderci) sollecitandolo ad ispirarsi ai grandi parchi di Vienna. Come era già successo secoli prima per il Duomo, i materiali necessari per l’esecuzione dei lavori furono esentati dal pagamento del dazio, e la manodopera per la loro movimentazione fu reperita tra i condannati all’ergastolo.
Originariamente l’area ospitava un monastero e una chiesa (quella scomparsa di San Dionigi) ed era di proprietà di proprietà della famiglia Dugnani. Gran parte del terreno, suddiviso in orti coltivati, in affitto, era però dedicato all’agricoltura ed era attraversato da una rete di corsi d’acqua tuttora visibili nei laghetti e canaletti del parco. Il progetto iniziale prevedeva giardini alla francese, con aiuole geometriche e ampie prospettive di viali alberati, ma già a metà ‘800, in occasione di un ampliamento, l’architetto Giuseppe Balzaretto risistemò il tutto seguendo la nuova moda del giardino paesaggistico all’inglese sbizzarrendosi con la creazione di stagni, cascatelle, alture e finte rocce in ceppo d’Adda sfruttando il dislivello dei bastioni per movimentare il parco.
Ma iniziamo il nostro percorso da piazza Cavour prestando particolare attenzione all’esauriente segnalazione: dai percorsi consigliati all’elenco e collocazione delle statue e dei punti di interesse. Tutto ben codificato su un’apposita app da scaricare sul cellulare. Dopo aver reso omaggio alla statua di Montanelli, proseguiamo sulla sinistra dove incrociamo quasi immediatamente un’elegante e vasta fontana circolare sul cui sfondo possiamo ammirare Palazzo Dugnani, abitazione degli ex proprietari del terreno. Il palazzo, affrescato dal Tiepolo, dopo essere stato un liceo linguistico femminile, il Manzoni, ospita oggi il Museo del Cinema.
La fontana è l’unico retaggio rimastoci della prima Esposizione Industriale Italiana inaugurata il 5 maggio 1881 alla presenza di re Umberto I e della regina Margherita e che fu forse la prima grande manifestazione organizzata ai giardini. Accanto alla fontana c’era un pittoresco e popolarissimo chiostro in legno, un’isba russa, che offriva un servizio di caffetteria e ristorazione, ma che venne malauguratamente distrutta da un incendio provocato dalle bombe del ’43. Per i visitatori erano previste un tempo “attrazioni” di vita animale, quali voliere e gabbie per cervi, scimmie e persino una giraffa, il che diede origine allo zoo di Milano, collocato proprio qui, nell’area lungo i Bastioni, e definitivamente chiuso nel 1992, per fortuna soprattutto degli animali ma anche delle narici dei passanti.
Passeggiando ammiriamo le infinite specie arboree del giardino, dai cedri del Libano a quelli dell’Himalaya, dalla metasequoia alla quercia rossa, tanto che è stato definito anche un percorso botanico con visite organizzate per le scuole. Il giardino e dintorni, come abbiamo visto, erano diventati sede ideale per le esposizioni e nel 1920 fu qui che si svolse la prima edizione della Fiera Campionaria che però, dopo soli tre anni, dovette essere spostarla in periferia per troppo successo. Sempre lungo la linea dei bastioni, sul cosiddetto Monte Merlo (una montagnetta in verità) era stato allestito un “padiglione del caffè”, in stile cosiddetto eclettico, che è ancor oggi in funzione però come scuola materna.
Girovagando tra scorci bucolici di ogni genere, ci imbatteremo in un gran numero di statue che rendono omaggio a personaggi che hanno reso grande Milano ed è forse l’occasione, Google alla mano, di conoscerli un po’ meglio. Lo sapevate ad esempio che il milanesissimo Ernesto Teodoro Moneta è stato l’unico italiano a ricevere nel 1907 il Premio Nobel per la Pace? Tra le cosiddette “installazioni” moderne val la pena di segnalare il Wellness Tree, il primo Outdoor Fitness System molto frequentato dai salutisti della zona. Pare che la sua forma organica sia ispirata ai diagrammi di Voronoi, cioè i modelli aritmetici presenti in natura. Bah!
Comunque nei giardini si trova di tutto: aree gioco per bambini con tanto di giostre e trenini, aree per lasciar correre i cani, bar all’aperto d’estate e piste di pattinaggio d’inverno, spettacoli di artisti di strada … Insomma, ce n’è per tutti.
Ma camminando camminando, siamo arrivati lungo il lato di corso Venezia dove sorgono i due edifici principali ospitati dai giardini: il Museo di Storia Naturale e il Planetario.
Il primo è stato costruito a fine Ottocento. E’ un palazzotto neogotico ispirato all’architetto Ceruti dal British Museum di Londra e dal Museo di Storia Naturale di Vienna appena costruiti. Bombardato nel ’43, l’edificio è stato completamente ricostruito nella versione originale. Sulla destra dell’ingresso svetta la statua dell’abate Antonio Stoppani (zio, per chi non lo sapesse, di Maria Montessori), considerato il fondatore della geologia e della paleontologia italiane.
Erano anni che non lo visitavo, e me lo ricordavo polveroso e un po’ noioso (confesso di non essere mai stata una grande amante delle scienze) ma mi sono ritrovata, come per incanto, in un grande parco dei divertimenti. D’accordo, una miniatura rispetto a quello di New York immortalato nei film, ma una miniatura molto interessante, movimentata e divertente, e capisci perché sia diventato la mèta preferita delle scolaresche milanesi. Al piano terra, oltre alle solite farfalle, pesci e insetti, tanti begli animaloni che sbucano da tutte le parti – anche dal soffitto – e che fanno la loro sporca figura. E poi al primo piano una serie infinita di ambientazioni naturalistiche di tutto il mondo: elefanti, cammelli, tartarughe, orsi, leoni … con ricostruzioni ad effetto e spiegazioni semplici, chiare e dirette, per la gioia e l’insegnamento ai bambini che vi frequentano anche seminari estivi.
L’ultima tappa della nostra passeggiata è riservata al palazzo accanto, al numero 57 di corso Venezia. Qui troviamo il Civico Planetario collocato in una specie di tempietto neoclassico intitolato a Ulrico Hoepli che ne fece dono alla città nel 1930. Con 375 posti a sedere è il più grande d’Italia, oltreché il più antico, e ospita più di 100.000 visitatori l’anno. Hoepli era immigrato dalla Svizzera a Milano, dove aveva fatto fortuna nel campo dell’editoria. Aveva la mania della scienza e affidò il progetto dell’edificio, unico nel suo genere, a Piero Portaluppi, ormai affermato architetto e urbanista (sue villa Mozart, villa Necchi Campiglio, la Casa degli Atellani e tante altre).
Inaugurato il 20 maggio 1930 alla presenza di Benito Mussolini, all’interno ogni decorazione è bandita fatta eccezione per due scritte che ancor oggi accolgono i visitatori: a destra quella di Leonardo “Non si volta chi a stelle è fisso” e a sinistra quella di sant’Agostino “Il cielo narra la gloria di Dio”. La grande cupola riproduce in ogni dettaglio il cielo sopra Milano, quello magico, luminosissimo e infinito che non possiamo più vedere perché “spento” dalle luci artificiali e dall’inquinamento atmosferico della città. Tutt’intorno, alla base, è riprodotta la silhouette della città come si presentava nel 1930. Non ci sono i grattacieli ma ci si orienta ugualmente.
Etimologicamente il planetario altro non è se non lo strumento, cioè un super proiettore Zeis opto-meccanico, che proietta e rappresenta l’immagine degli astri e i loro movimenti. E’ collocato al centro, mentre tutt’attorno alla cupola, di quasi 20 metri di diametro, si accomodano gli spettatori sulle sedie girevoli della Thonnet, ancora quelle originali, per ammirare “il cielo sopra Milano”. I racconti delle stelle e delle avventure dello spazio vengono recitati da astrofisici, quasi più attori che astronomi, secondo un nutrito calendario pomeridiano (più divulgativo) per ragazzi, e serale (più scientifico) per appassionati. Un’esperienza che raccomando.
All’uscita non dimentichiamo di rendere omaggio all’ennesima statua, quella del gesuita Ruggero Boscovich, astronomo, matematico, fisico, diplomatico e poeta settecentesco, nato a Ragusa in Croazia ma vissuto quasi sempre a Milano dove approfondì i suoi studi e dove è tuttora sepolto nella chiesa di Santa Maria Podone. La statua in bronzo dell’altezza di quasi tre metri è dono della comunità croata ed è la copia fedele del monumento originale che si trova a Zagabria.
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