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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

CAMPARI. RED PASSION

Gli slogan pubblicitari (non tutti s’intende, quei pochi che passano alla storia) sono in grado di comunicare al massimo, con il minimo di parole, lo spirito di un marchio, di un prodotto e di un’azienda. E nel caso della passeggiata di oggi, anche di una famiglia. Lo slogan a cui mi riferisco è il celeberrimo “Campari. Red passion”, tre magiche parole che riassumono la genialità e l’ardore di un progetto imprenditoriale che andremo a conoscere in tre luoghi simbolo della milanesità.


La partenza della nostra passeggiata è pressoché scontata. Siamo al Camparino di piazza Duomo, il bar proprio all’inizio della Galleria Vittorio Emanuele che - forse non lo sapete - si è aggiudicato l’anno scorso il 27° posto nella classifica mondiale più ambita di sempre, la World’s 50 Best Bars, cioè i migliori 50 bar di tutto il mondo.

Il Camparino fu inventato nel 1915 da Davide Campari, entrato tra l’altro nella storia di Milano per essere stato il primo cittadino venuto alla luce in Galleria. Era in Galleria infatti che abitava la sua famiglia, ed era in Galleria che il padre Gaspare, di origine novarese, aveva aperto il Caffè Campari, proprio all’angolo di fronte al Camparino, per far conoscere ai milanesi un misterioso elisir detto “Bitter all’uso d’Hollanda”, di un bel rosso squillante, a base di erbe, piante e frutti che viene servito allungato con selz. Da notare che la ricetta del Campari è tuttora invariata e assolutamente segreta. Conosciamo la ricetta della Coca Cola, ma non quella del Campari.

Già imprenditore il padre dunque, ma Davide lo surclassa. Ereditata l’Azienda dai genitori, installa al Camparino un sistema assolutamente innovativo che garantiva un flusso continuo di acqua gassata direttamente dalle cantine offrendo così ai suoi clienti un Campari e soda sempre perfetto e refrigerato. E l’ambiente non era da meno: in perfetto stile Liberty, gli arredi erano stati curati dal celebre ebanista Eugenio Quarti, dal mastro ferraio più famoso di Milano Alessandro Mazzucotelli e dal pittore Angelo D’Andrea. E il Camparino divenne ben presto un’istituzione. Qui si incontravano gli intellettuali del tempo per discutere di politica e di cultura, da Arrigo Boito a Tommaso Marinetti, e fu così che l’aperitivo si trasformò in rito. Un rito che per Milano, dalla “Milano da bere” agli apericena di oggi, è diventato un tratto assolutamente distintivo.

Ma Davide Campari è un imprenditore visionario, e non si accontenta del successo milanese. Immagina per il suo bitter un grande futuro e decide di investire nella classica “fabbrichètta” a Sesto San Giovanni, la seconda meta della nostra passeggiata che raggiungiamo comodamente con la M1 rossa del metrò per visitare quello che io considero il più bel museo d’impresa di Milano. Qui ci appare un’immensa ed impeccabile struttura avveniristica creata da Mario Botta che racchiude al centro la vecchia fabbrica e che racconta all’interno, con installazioni interattive e multimediali, la storia dell’azienda e soprattutto l’identità del suo inconfondibile marchio.


Ma perché Sesto San Giovanni? Semplicemente perché Davide Campari, contrariamente ad altri imprenditori del tempo, non guardava a Roma, l’Italia non gli bastava. Già nel 1919 puntava all’Europa. E da Sesto San Giovanni passava la ferrovia che portava alla nuova Galleria del Sempione, così come da Sesto passava la tranvia Milano-Monza che gli permetteva di attingere alla mano d’opera di un’area molto vasta, oltreché al suo trasporto sul luogo di lavoro. Quando si dice avere una visione!

E che visione!

Perché Davide Campari, oltreché a produrre e a distribuire, pensava a vendere. Pensava ai suoi vecchi clienti del Camparino, per i quali era sì importante l’aperitivo, ma anche la bellezza del luogo dove lo si consumava, la sua confezione… Nacque così il marchio Campari, uno dei primi brand di alto livello in Italia e nel mondo. Tutti i più grandi artisti e grafici pubblicitari dagli anni Trenta in poi, Hohenstein, Dudovich, Depero, Cappiello… contribuiscono con le loro opere a delineare l’identità e l’evoluzione del marchio Campari, a partire dal rosso fuoco del primo elisir per arrivare al mitico slogan internazionale “Campari. Red passion”.

E la storia di questa straordinaria avventura si snoda oggi lungo l’affascinante e coinvolgente percorso di visita al museo di Sesto San Giovanni. Un’immersione totale per conoscere 150 anni di arte e design nel segno dell’aperitivo italiano più famoso al mondo. E le storie si susseguono. Come quella del bitter, il primo aperitivo monodose al mondo che, essendo sigillato per ogni singola consumazione, garantiva la qualità del prodotto troppo frequentemente annacquato da baristi poco rispettosi della ricetta originale. Il bitter tra l’altro reso inconfondibile dalla bottiglietta a forma di bicchiere rovesciato, inventata per l’occasione da Fortunato Depero e oggi divenuta un tratto inconfondibile del Made in Italy in 190 Paesi al mondo. E avevate mai pensato che le goccioline a rilievo sul vetro irregolare del bitter sono state pensate e volute per stimolare una reazione delle papille gustative e far venire sete?

C’è poi l’aneddoto di quando il proibizionismo americano fu aggirato stampando sulle etichette la dicitura “Ad uso medicinale”, piuttosto che la simbolica unione Milano-Sesto celebrata su idea di Bruno Munari il 4 novembre 1964 quando per l’inaugurazione della prima linea della Metropolitana Milanese tutti gli spazi pubblicitari vennero acquistati dalla Campari. E poi Fellini, che gira per Campari il suo primo spot pubblicitario, e su su fino a Sorrentino. Insomma una cura del marchio che per l’Azienda diventa quasi un’ossessione. Un’ossessione tutta da vedere e da assaporare al seguito di preparatissime guide.

Oggi la fabbrica è stata spostata a Novi Ligure e l’Azienda ha continuato ad espandersi sino a divenire il 6° produttore di alcolici al mondo. Possiede 54 marchi (tra i quali Cinzano, Cynar, Averna… ma anche Grand Marnier, Glen Grant e tanti altri, di ogni nazionalità) e procede al ritmo di almeno una acquisizione l’anno. Una storia di successo all’insegna del bello che tutti sono invitati a percorrere gratuitamente con una semplice prenotazione on line all’indirizzo galleria@campari.com oppure www.campari.com.

Ma la storia della Campari non è solo di questa terra. Si proietta addirittura nell’aldilà. E noi ci adeguiamo. Riprendiamo la metropolitana e scendiamo alla fermata Monumentale della linea 5, alla scoperta dell’edicola della famiglia Campari, che è considerato il monumento funebre più rappresentativo di quell’incredibile Museo a cielo aperto che è il Cimitero Monumentale di Milano. Ed è proprio qui, lungo il viale che si snoda sulla sinistra dell’ingresso principale, che troviamo la poderosa opera in bronzo dello sculture Giannino Castiglioni che altro non è che una reinterpretazione tridimensionale in bronzo dell’Ultima Cena di Leonardo. Qui, su un grandioso masso porfirico, si ergono le figure di Cristo e dei dodici apostoli in misura addirittura più grande rispetto a quelle umane. La posizione degli apostoli attorno al tavolo rettangolare riprende la suddivisione in gruppi di tre come scandita da Leonardo, con Giuda raffigurato assieme agli altri. E il Cristo, ritto al centro, è perfettamente inquadrato dalle arcate policrome del porticato retrostante: una quinta perfetta che esalta le figure e che sembra far parte del monumento stesso, ma che è invece una genialata del Castiglioni che ha posizionato l’edicola in modo da sfruttare appieno la struttura perimetrale del cimitero disegnata dal Maciachini.

Ma terminiamo con un’altra divertente curiosità. Il calice sul tavolo di fronte al Cristo è di grandezza sproporzionata rispetto al resto, probabilmente ad enfatizzare l’attività industriale della famiglia, tant’è che i milanesi, con la loro solita irriverente ironia, hanno soprannominato l’opera, anziché l’ultima cena, “L’ultimo aperitivo”.

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