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  • Immagine del redattoreLaura Invernizzi

Avvocate - 2

Seconda parte della ricognizione sui legal drama che hanno per protagoniste delle donne.

Dopo aver parlato di produzioni inglesi, italiane e coreane, in questa puntata andremo ad elencare e ricordare le serie TV made in USA.


Partiamo dai dati:

Negli Stati Uniti, la percentuale di avvocate è lentamente aumentata negli ultimi anni, secondo l'ABA National Lawyer Population Survey. Nel 2010, meno di un terzo di tutti gli avvocati (31%) erano donne. Dodici anni dopo, nel 2022, il 38% di tutti gli avvocati sono donne.

Non è una percentuale alta, ma occorre analizzare la tendenza. La crescita maggiore è avvenuta negli anni '80 e '90. Dal 1950 al 1970, solo il 3% di tutti gli avvocati erano donne. La percentuale è salita all'8% nel 1980, al 20% nel 1991 e al 29% nel 2000.

E le cose probabilmente cambieranno ulteriormente alla luce dei dati scolastici. Il numero di studenti maschi è diminuito ogni anno negli ultimi 11 anni – da 78.516 nel 2010 a 52.058 nel 2021. Nel frattempo, il numero di studentesse di giurisprudenza è aumentato ogni anno negli ultimi cinque anni – da 55.766 nel 2016 a 64.861 nel 2021. Le donne ora superano significativamente gli uomini nelle scuole di legge statunitensi e il divario si sta allargando. Nel 2021 c'erano 12.800 studentesse in più rispetto agli studenti maschi.


Non mancano dagli anni 90 in poi produzioni americane che vedono la presenza di una o più donne negli studi legali, in tribunale o che hanno a che fare con la giurisprudenza.

Molte di queste serie sono datate e non disponibili – attualmente – nei cataloghi delle piattaforme fruibili in Italia, ma le inserisco comunque per dare un quadro il più completo possibile.


La prima che mi viene in mente e che seguivo a ridosso della cena quando abitavo ancora coi miei genitori è JAG – Avvocati in divisa, serie TV che vede protagonisti gli avvocati dell’Ufficio del Judge Advocate General del Dipartimento della Marina, quindi si occupano di casi penali sotto la giurisdizione del Codice Unico di Giustizia Militare.

Dieci stagioni, 227 episodi andati in onda tra il 1995 e il 2005 (in Italia tra il 1997 e il 2006 su Rai 2) che vedono dalla seconda stagione nel cast principale la tenente colonnello Sarah MacKenzie (Mac).

Il produttore voleva una figura dura e autoritaria e fisicamente simile ad un personaggio di cui era innamorato l’altro protagonista Harmon (Harm) Rab. In effetti il feeling tra i due ci accompagna per tutte le stagioni. Entrambi sono presenti in alcuni episodi di NCIS: Los Angeles (10 e 11 stagione).

Nel 2015, Jayne Reardon, direttrice esecutiva della Commissione per la professionalità della Corte Suprema dell'Illinois, ha valutato diversi avvocati di fantasia in programmi televisivi drammatici in base alla loro dimostrazione di etica professionale e quindi, per estensione, all'immagine della professione legale agli occhi del pubblico. Sarah MacKenzie di JAG ha ottenuto il massimo dei voti per "il rispetto per il sistema e tutto ciò che contiene, aderendo rigorosamente alle regole del tribunale militare" e che "ha dimostrato di essere un’avvocata civile e professionale con una forte etica del lavoro".

Proseguendo in ordine cronologico. Tra il 1997 e il 2002 ci ha tenuto compagnia per 5 stagioni Ally McBeal.

Successo clamoroso, sicuramente una serie TV sopra le righe e in qualche modo diversa dall’offerta dell’epoca, ma sicuramente poco legal e poco drama (anche se nella categoria ha vinto dei premi).

A parte qualche sketch e personaggio divertente che ricordo ancora, non l’ho mai apprezzata, la ricordo un po’ ripetitiva.

La stagione di debutto di Ally McBeal - ho letto su Rotten Tomatoes - ha il suo fascino, ma può rivelarsi fastidiosa a causa della sua rappresentazione stereotipata delle donne sul posto di lavoro.

È evidente che la lettura a ritroso non è sempre benevola, le dinamiche ma anche l’evoluzione e l’attenzione che si pone nel raccontare e descrivere le donne - in questo caso in ambito legale – non può essere in linea con quanto avvenuto in passato. E probabilmente la scelta all’epoca era di prediligere l’aspetto personale a quello professionale.

Segnalo il crossover di Ally Mcbeal con un’altra serie legal The Practice (8 stagioni dal 1997 al 2004) da cui poi venne creato lo spin off Boston Legal.


Deb, un’aspirante modella muore e non le viene offerta la possibilità di andare in Paradiso perché non ha fatto nessuna buona azione, ma nemmeno cattiva. All’insaputa dell’Angelo Guardiano preme un pulsante per tornare sulla terra… lo fa nei panni di Jane, avvocata taglia 50 anche lei morta da poco. Si ritrova quindi a dover gestire un nuovo corpo, un lavoro e a farlo per di più a stretto contatto con fidanzato senza poter raccontare la verità.

Questa è la trama di Drop Dead Diva, serie in sei stagioni trasmessa tra il 2009 e il 2014.

Tra i commenti sulla serie, molti sono rivolti all’ottima interpretazione di Brooke Elliott (ora la vediamo in Il colore delle Magnolie su Netflix) e per certi versi era stata salutata come una serie body positive, ma come scrisse Joanna Weiss sul Boston Globe questo show è pieno di messaggi contrastanti sui legami tra aspetto e autostima.


Brillante, spietata e manipolatrice. Così è descritta Patty Hewes che ha il volto di Glenn Close in Damages, serie TV andata in onda per 5 stagioni tra il 2007 e il 2012. I creatori della serie avevano immaginato come fulcro il rapporto tra mentore e protégée, con un enfasi sul "potere femminile" nel mondo moderno e dinamico di oggi. L'idea principale era creare una donna intimidatoria e in qualche modo pericolosa che detenesse il potere, con un’allieva giovane e inesperta Ellen Parsons sotto la sua ala protettrice. Pur non specificando l'ambientazione dello show – all’epoca della presentazione dello script a FX - il mondo legale sembrava adeguato, a causa dei "giochi di potere" tra le due protagoniste femminili.

Ogni stagione affronta un caso importante (ed alcuni minori), sono presenti diversi flashback e flashfoward e nel corso delle stagioni è il rapporto tra le due protagoniste ad essere al centro della trama.

Acclamata da pubblico e critica, ha avuto numerose nomination e diversi premi vinti (Glenn Close due Emmy e un Golden Globe per la questa interpretazione).


Tra il 2011 e il 2012 NBC e USA Network ci propongono due avvocate che cambiano vita.

In Harry’s Law troviamo infatti Harriet "Harry" Korn – interpretata dalla premio Oscar Kathy Bates – specializzata in brevetti che viene licenziata dal suo prestigioso studio. Decide quindi di aprirne uno per conto suo in un negozio di scarpe fatiscente a Cincinnati, affiancata da giovani avvocati e assistenti.

Per Rob Owen di Pittsburgh Post Gazette "Harry's Law offre argomenti legali più intriganti e dialoghi divertenti di quelli che molti spettacoli in prima serata hanno". Mentre per altri la serie non è all’altezza delle qualità recitative della Bates. Il producer e showrunner di Harry’s Law è David E. Kelley (che ha prodotto anche Ally McBeal, The Practice, Boston Legal, Goliath, The Lincoln Lawyer di cui ho parlato nella puntata 71 Ancora Connelly e Anatomia di uno Scandalo citata nella scorsa puntata).


In Fairly Legal, Kate Reed, avvocata nell’importante studio del padre, dopo la sua morte – avendo riscontrato un conflitto etico - decide di diventare Evaluative Mediator.

La mediazione valutativa – cito Wikipedia - si concentra sul fornire alle parti una valutazione del loro caso e indirizzarle verso la risoluzione. Il mediatore – su richiesta di entrambe le parti - può esprimere un'opinione su quale potrebbe essere una soluzione equa o ragionevole. Il mediatore valutativo ha in qualche modo un ruolo consultivo in quanto valuta i punti di forza e di debolezza dell'argomentazione di ciascuna parte e fa alcune previsioni su cosa accadrebbe se andassero in tribunale.

Anche qui ritroviamo un cliché già visto altrove: carriera brillante e vita privata meno lineare. Il personaggio è stato accolto positivamente dal pubblico.


Non c’è solo David E. Kelley ad esserci cimentato più volte (grazie anche al suo background da avvocato) nei legal drama, ma anche la prolifica Shonda Rhimes con ben 3 titoli, due dei quali rappresentano una svolta nel panorama televisivo.


Scandal, serie andata in onda tra il 2012 e il 2018, 7 stagioni, 124 episodi. Non un legal drama, ma più un political thriller ambientato a Washington DC, con protagonista Olivia Pope, avvocata ed ex direttrice della comunicazione della Casa Bianca che ha aperto una società di gestione delle crisi.

Il personaggio - ispirato a Judy Smith che la Rhimes conobbe nel 2009 - fin dalla prime apparizioni, è stato considerato rivoluzionario.

Olivia Pope - che ha il volto di Kerry Washington – si smarca infatti dalle rappresentazioni delle donne di colore viste fino ad allora, anche perché è la protagonista di una serie drammatica in prima serata dal 1974 (da lì in poi è stato un crescendo come vedremo a breve) come scrisse Felicia Lee sul New York Times.

Bell’aspetto, accentuato dalla scelta dei costumi, istruita, leader indiscussa all’interno della sua società e non solo, perché abbiamo a che fare con un personaggio sfaccettato, non privo di contraddizioni. È stata eletta tra i personaggi immaginari più influenti del 2013.

In Italia tutte le stagioni sono disponibili su Disney +


A proposito di figure complesse, impossibile non citare Annalise Keating, protagonista di How to Get Away with Murder che è valso a Viola Davis nel 2015 l’Emmy Award come miglior attrice protagonista in un serie drammatica. Prima donna nera a vincere in questa categoria.

La serie - uscita nel 2014 e conclusasi nel 2020 - è composta da 6 stagioni, 90 episodi disponibili in Italia su Netflix (il titolo tradotto è Le regole del delitto perfetto).

Le prime immagini ci mostrano una festa universitaria e un piccolo gruppo di studenti che parla di omicidio…poi la scena torna indietro a tre mesi prima alla Middleton Law School di Philadelphia nel corso di Diritto Penale 1 con la professoressa Keating che mette subito in chiaro le regole del gioco: Come evitare una condanna di omicidio. Dice agli studenti che non insegnerà come i suoi colleghi le leggi, ma a mettere in pratica in aula ed inizia subito a metterli alla prova…di questi ne sceglierà alcuni che andranno a fare una stage con lei (è una stimata avvocata penalista). Il legal drama si fonde con il murder mystery con un continuo rimando tra passato e presente svelando quanto accaduto in quei tre mesi. Parlo della prima stagione ma è un espediente narrativo usato anche dopo.

Di successo, sicura di sé, desiderosa di insegnare, con una vita familiare appagante…ma le cose non stanno proprio così…e le questione diventa intricata in una spirale verso il basso che coinvolge anche gli studenti e i suoi collaboratori.


Giovani avvocati e avvocate alla prime armi anche per altra serie targata Shondaland, For the People, uscita nel 2018 e disponibile su TimVision. Non solo rivalità interna, ma anche per il fatto che i protagonisti si trovano tra due fazioni opposte, da una parte i pubblici ministeri della Corte Federale del Distretto Sud di New York e dall’altra i pubblici difensori. Non emerge una figura femminile più di altre, ma è sicuramente interessante notare le dinamiche.


Si è ritagliata nel tempo, tra drammi personali e societari, uno spazio ben definito – tanto da avere poi uno spin off che porta il suo nome - Jessica Pearson, socia titolare dello studio protagonista di Suits.

La serie probabilmente la conoscete tutti – si trova su Netflix - anche solo per sentito dire visto che lì recitava Megan Markle, attuale moglie di Henry Windsor.

Ho sempre considerato Jessica Pearson l’ago della bilancia nella serie, quella che con spirito pragmatico sistema le diatribe interne, copre i possibili scandali e se necessario li usa a suo favore. Una efficiente e autorevole capo di azienda, anche se qualche volta anche lei va in tribunale.

Con la sua dipartita in quel di Chicago per aprire un nuovo capitolo nella sua vita, i creatori della serie hanno lanciato successivamente uno spin-off – Pearson – andato in onda nel 2019 e cancellato dopo solo una stagione. Non ho notizia sulla sua messa in onda in Italia.


Avvocate, politica e Chicago sono i tre elementi presenti anche in The Good Wife.


Dopo lo scandalo che ha coinvolto il marito - Procuratore di Stato - Alicia Florrick che aveva rinunciato alla sua carriera di avvocata dopo il matrimonio e i figli, decide di tornare a lavorare.

Lo fa grazie ad un suo ex compagno di università con cui aveva avuto una relazione, Will Gardner. Il personaggio nel tempo evolve, dapprima insicura avvocata a professionista capace, ma non priva di scrupoli che cerca di bilanciare la vita privata e lavorativa smarcandosi dall’etichetta della “brava moglie di”.

Non è l’unico personaggio femminile che subisce un cambiamento, tra queste figura anche Diane Lockhart, socia di Gardner che successivamente lascia lo studio (la faccio breve, ma parliamo di 7 stagioni (disponibili su Paramonut + e Tim Vision)

La ritroveremo protagonista in The Good Fight, insieme ad altre avvocate a partire dalla sua “figlioccia” Maia Rindell e Lucca Quinn (che arriva anche lei dall’ultima stagione di The Good WIfe).

Dopo essere stata travolta da una truffa finanziaria (lo schema Ponzi che sarà il tema della prossima puntata), Diane Lockhart lascia lo studio fondato da Alicia Florrick e va a lavorare in un prestigioso studio afroamericano.

La serie esplora ancora di più rispetto allo show originario temi politici (governo Trump) e sociali (allright), Movimento #metoo, molestie online e fake news. The Good Fight ha mantenuto nel corso delle 6 stagioni valutazioni sempre alte (la serie si è chiusa il 20 novembre 2022),

Tutti gli episodi si trovano su Tim Vision, mentre su Prime Video solo le prime 3 stagioni.


È notizia della scorsa settimana di un nuovo spin off di The Good Wife (per essere precisi CBS ha chiesto una puntata pilota) con protagonista un personaggio eccentrico, ma dalla mente brillante capace di trovare la via di uscita in situazioni intricate, l’avvocata Elsbeth Tascioni interpretata da Carrie Preston (per questo ruolo ha vinto nel 2013 Emmy Award for Outstanding Guest Actress in a Drama Series). Era tra i personaggi ricorrenti anche in The Good Fight.


Ho già avuto modo di parlare nella puntata 26 di quanto accaduto alla Pubblico Ministero Marcia Clark durante il processo a O.J. Simpson nel 1995 riportato nella serie diretta da Ryan Murphy. Il processo mediatico del secolo in cui – oltre a grossi errori da parte dell’accusa – ci furono continui attacchi a mezzo stampa per minare la credibilità di un’avvocata che fino ad allora non aveva perso un processo e che dopo quanto accaduto lasciò la professione, pur restando nell’ambito legale.

The People vs O.J. Simpon non si trova più su Netflix, così come gli altri capitoli che compongono l’antologia American Crime Story, ma su Disney+.

Marcia Clark è stata tra le autrici di una serie con protagonista una ex Pubblico Ministero che torna ad occuparsi di un omicidio. L’accusato è un ex giocatore che era stato assolto in un processo sempre di omicidio. La serie si intitola The Fix, ma attualmente non risulta nei cataloghi delle piattaforme streaming, è possibile però che venga trasmessa sui canali in chiaro come accaduto in passato.


A proposito di tribunali segnalo All Rise che segue le vicende di giudici, pubblici ministeri e avvocati. In particolare Lola Carmichael, da poco nominata Giudice della Corte Superiore della Contea di Los Angeles. Cinque autori hanno lasciato la serie a causa di divergenze con lo showrunner Greg Spottiswood per come venivano rappresentati la razza, in particolare le persone di colore e il genere. All Rise è stata chiusa dalla CBS dopo la seconda stagione, ma è stata poi “salvata” da Oprah Winfrey Network. Le prime due stagioni si trovano su Infinity+ (canale disponibile previo abbonamento anche su Prime).


Partner Track è forse l’ultima in ordine di tempo tra i legal drama. Protagonista Ingrid Yun, avvocata di origine coreane, esperta in fusioni ed acquisizioni a cui manca davvero poco per diventare partner del prestigioso studio newyorkese per cui lavora. Non manca ovviamente la competizione interna e la pressione dei genitori che hanno riposto in lei (da sempre studiosa e prima della classe) lo status che loro non hanno mai avuto da immigrati. Ovviamente non tutto fila liscio e il tema razziale entra nella narrazione. Alcuni elementi sono interessanti anche se poi si è scelta una via più facile, quella della vita amorosa della protagonista. La serie è stata cancellata dopo la prima stagione (si trova su Netflix), c’era margine per aggiustare il tiro…peccato.


Cosa dire dopo questa lunga ed articolata carrellata? Sicuramente rispetto al passato le donne sono molto più presenti nei legal drama, anche con ruoli centrali. Ci sono elementi comuni che tornano – conciliazione vita privata (a volte assente) e lavorativa, ma se guardiamo gli uomini non ne escono poi benissimo neppure loro – e altri che si sono affacciati nell’ultimo periodo che portano la narrazione su temi attuali e gli stessi protagonisti incarnano la complessità della vita quotidiana. Poi ci sono serie che riescono meglio a farlo, altre che cadono troppo facilmente nel cliché. Dipende spesso anche di chi si occupa della scrittura, tema decisamente complesso che ho accennato qua e là nel corso delle stagioni de Il divano chiama.

Voi cosa ne pensate? C’è una serie tra queste citate in cui avete notato un buon lavoro di rappresentazione di avvocate?

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