Invece della solita passeggiata, vi invito ad andare al cinema.
Non per vedere chissà quale capolavoro, ma a tornare con la memoria ai “locali” dei cinema, cioè gli edifici veri e propri nei quali ci rifugiavamo a sognare di tanto in tanto per un paio d’ore.
Parlo al passato, quando ancora non esistevano le multisale, e al cinema si entrava anche fuori orario (quando capitava), senza posti assegnati e con la maschera che ci guidava con una torcia alla ricerca di una poltrona libera.
Nomi come Astra, Impero, Ducale, Donizetti, Cristallo, Arcobaleno, Manzoni hanno senz’altro fatto parte delle nostre vite nel secolo scorso.
Alcuni locali – pochissimi – esistono ancora nella loro funzione originaria.
Altri vivono nuove vite, trasformati in negozi, showrooms, luoghi di aggregazione varia.
Altri ancora sono scomparsi, sostituiti dall’urbanizzazione selvaggia di questi ultimi anni. Ma quasi tutti, e comunque i più importanti, sono riconducibili ad un personaggio straordinario, milanesissimo ma poco conosciuto, che vi propongo per questa carrellata di destinazioni che mi auguro alimenterà il vostro interesse e curiosità per luoghi poco conosciuti o che diamo per scontati.
Il personaggio di cui vi voglio raccontare la storia si chiamava Mario Cavallé, e credo che pochi di voi l’abbiano sentito nominare. Wikipedia lo definisce ufficialmente “ingegnere e architetto milanese (1895-1982), docente alla facoltà di ingegneria del Politecnico sino al 1965”. Già, ma come c’era arrivato al Politecnico? Di umilissime origini, a soli 14 anni era emigrato in Germania per sostenere la famiglia. Lì frequenterà una scuola tecnica e, chiamato alle armi dall’Italia durante la prima guerra mondiale, riuscì durante la leva a trasformare le nozioni di base acquisite in Germania in una licenza in ragioneria. Rientrato a Milano nel 1919, si iscrive ad ingegneria al Politecnico ma, studiando notte e giorno, frequenta anche le lezioni della facoltà di Architettura e dopo soli quattro anni, con una dispensa speciale da parte di una stupefatta Commissione dell’ateneo, si laurea contemporaneamente con entrambi i titoli: ingegnere e architetto. Inizia quindi ad insegnare al Politecnico (attività che manterrà tutta la vita), apre un suo studio e collabora con i maggiori urbanisti dell’epoca. Quello che interessa a Cavallé è l’aspetto tecnico e funzionale degli edifici, la loro struttura, l’efficienza e razionalità degli interni, e lascia di buon grado agli altri gli aspetti estetici e formali, soprattutto quelli delle facciate esterne.
Ma la scintilla che accende la sua creatività, scocca nel corso di un viaggio negli Stati Uniti. Erano quelli i tempi in cui si celebravano i fasti hollywoodiani e il nostro eroe ne fu affascinato. Non tanto dai film, ma dai luoghi del cinema dove si celebrava quel nuovo rito di felicità di massa. Si dedicò quindi allo studio delle tecniche costruttive di grandi sale cinematografiche (una specializzazione allora sconosciuta) e una volta rientrato a Milano la espresse come nessun altro seppe fare. Si rese conto che la qualità delle immagini su uno schermo piatto non è sufficiente, e che per apprezzarle al meglio occorre una visuale parabolica, e quindi una platea a pianta ellittica o curva. Luci, acustica, impianti di condizionamento, comodità delle poltroncine, servizi, bar… insomma tutto quello che può rendere più confortevole e allettante l’esperienza cinematografica, Cavallé lo immagina e lo realizza.

Uno dei suoi capolavori è il monumentale Astra di corso Vittorio Emanuele, costruito nel 1941 in piena guerra e utilizzato, all’occorrenza, anche come rifugio antiaereo. Oggi lo possiamo tutti visitare, 7 giorni su 7, semplicemente andando a comprare una maglietta da Zara, che occupa tutti gli spazi ormai da qualche anno. L’ingresso dello superstore infatti altro non è che l’atrio dell’ex cinema, con la doppia scalinata a ferro di cavallo per accedere al piano superiore, i vasti mosaici alle pareti e il pavimento originale in marmi Braccia Aurora e Rosso Verona. Il tutto sovrastato da un possente lampadario in vetro di Murano che viene raggiunto una volta l’anno, attraverso una scala condominiale, da un addetto alla pulitura. La sala del cinema ospitava 1100 posti a sedere (a proposito, vi ricordate che spesso al cinema si stava in piedi?) ed era l’unica della città, come già accennato, a disporre di sotterranei di protezione.
L’Astra fu inoltre il primo cinema italiano a istituire un sistema di prenotazione dei posti, con la cassa aperta fin dalle 10 del mattino e il primo ad impiegare ragazze come maschere per accompagnare gli spettatori alle poltrone, anche a sala vuota.
Nell’immediato dopoguerra Cavallé, oltre alla costruzione di sale cinematografiche in proprio, mise a disposizione la sua tecnica ingegneristica partecipando alla ricostruzione di tre famosi teatri-cinema: il Manzoni, il Dal Verme e il Puccini. Insomma un vero specialista dei luoghi dell’intrattenimento che però non disdegnò, guarda caso, di progettare anche una chiesa, che possiamo tranquillamente visitare. E’ intitolata ai Santi Silvestro e Martino e la si può facilmente raggiungere in viale Lazio 19 con la linea gialla del metrò, fermata Porta Romana. In effetti la costruzione della chiesa fu parecchio travagliata – ci vollero infatti 25 anni e quattro architetti – ma l’impronta di Cavallé, con i suoi prediletti volumi geometrici, il rigore della struttura e la pressoché assenza di decori è inconfondibile. L’esterno, nella migliore tradizione lombarda, è in mattoncini di cotto rossi intervallati da tre fasce orizzontali di intonaco bianco. Da notare, l’insolito posizionamento della statua del Sacro Cuore di Gesù sull’angolo del corpo di destra: un’inaspettata apparizione per colpire, ad un’altezza adeguata, l’attenzione dei passanti. L’interno è impattante: un’esaltazione del bianco assoluto del marmo di Lasa, uno dei più pregiati al mondo, proveniente dalle alture della val Venosta. Tre le navate, separate da due file di imponenti colonne lisce, quattro per fila, anche loro spoglie e prive di capitello. Il soffitto, anch’esso bianco a cassettoni, cadenza il disegno geometrico che scorre lungo la navata centrale e che conduce all’immacolato e semplicissimo altare che spicca su un fondale rosso. Niente fronzoli, niente decori, niente sovrastrutture. Tutto lineare, semplice ed essenziale.

Ma, inaspettatamente anche per lui immagino, la sempiterna fama popolare di Mario Cavallé resta collegata alle casette a fungo e a igloo di via Lepanto, nel distretto residenziale della Maggiolina, nella zona nord di Milano, che valgono ben una passeggiata. Cavallé le progettò e costruì nel 1946 con l’obbiettivo di ospitare, nel minor spazio e costo possibile, ma nel modo più efficiente, le famiglie rimaste senza casa per via della guerra. Erano dodici casette circolari in mezzo al verde della periferia, otto a forma di igloo (piano terra + interrato) e due a fungo (su due piani col tetto a pois). Sfortunatamente e sventatamente i due funghi sono stati demoliti negli anni ’60 e restano soltanto fotografie d’epoca. Le casette intendevano essere soluzioni abitative provvisorie e sperimentali ma, col passare degli anni, sono diventate una curiosa e divertente attrazione. Quasi un must da visitare se si passa da quelle parti soprattutto coi bambini, che immaginano di essere stati catapultati nel paese dei puffi!
Realizzate in cemento, riprendono ai minimi termini, alcune delle innovative soluzioni tecniche importate da Cavallé dagli Stati Uniti per la progettazione dei cinematografi. Costruite con un sistema a volta formato da mattoni forati disposti a losanghe convergenti, permettono la massima libertà nella disposizione degli spazi interni. Così ognuno si crea il proprio ambiente su misura, secondo i propri gusti e necessità. La superficie a pianta circolare è di circa 45 metri quadrati sviluppati su due livelli, con seminterrato accessibile solo dall’esterno o da una ristretta botola all’interno. Comprendono ingresso, bagno, due camere e cucina mentre tutt’attorno, una piccola area a giardino sopravvive nel mezzo dei palazzoni che le circondano dando l’illusione di una residenza di campagna. Dopo un periodo di decadenza, le casette a fungo sono tornate di moda e, di tanto in tanto, la messa in vendita di una delle sopravvissute viene annunciata persino a livello di cronaca cittadina.
Ma già che siete da quelle parti, il consiglio è quello di ammirare la residenza proprio accanto agli igloo. Si tratta di Villa Figini, la casa che Luigi Figini, uno dei più insigni rappresentati del razionalismo milanese, ideò e costruì per se stesso e la moglie negli anni ’30 del Novecento. Si tratta di una costruzione immersa nel verde che rispetta all’ennesima potenza i canoni razionalisti di Le Corbusier e che costituì, al tempo, un vero e proprio esperimento architettonico ed esistenziale. Figini voleva verificare in prima persona se le tecniche e i principi costruttivi dell’architettura moderna potevano garantire il benessere e l’abitabilità a misura d’uomo, oltreché l’innalzamento della qualità di vita promessa dal nuovo stile internazionale.
Praticamente, in grande, gli stessi principi che ispireranno gli esperimenti minimalisti di Cavallé e non è forse un caso che fu lo stesso vicino di casa Figini a salvare le case igloo che negli anni ’60 stavano per essere rase al suolo dal nipote del loro progettista. Un confronto interessantissimo quello tra villa Figini e Cavallè che val la pena di esplorare.
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