La tubercolosi si cura con gli antibiotici. Oggi lo sappiamo e li abbiamo, ma la streptomicina, cioè il primo antibiotico utile contro la tbc, è stato isolato solo nel 1943. Fino ad allora le ipotesi si sono sprecate e la fantasia umana ha prodotto i rimedi più disparati e, certe volte, anche assurdi.
Sappiamo, ad esempio, che nell’antico Egitto la tubercolosi viene curata con una mistura di acacia, piselli, frutta, sangue di animali e insetti, sale e miele. Più o meno negli stessi anni in India la scrofola, cioè la tubercolosi che colpisce i linfonodi, è trattata con latte materno, carne, alcool e riposo. Curiosamente la teoria del latte di donna è un rimedio che ha fatto capolino più volte anche in Europa. Da Galeno sappiamo che è stato utilizzato nei primi secoli della storia di Roma, ma verrà adottato perfino nella Francia rinascimentale quando si affermerà senza ombra di smentita che “le laict de femme sucé des mamelles est bon pour les phtisiques” e cioè “il latte di donna succhiato dal seno fa bene ai tisici”. Questa tecnica di cura dura fino al momento in cui Lazar Rivière (il medico di fiducia del re Luigi XIII) riferisce dello sventurato caso di tubercolosi mortale in una giovane donna ammalatasi mentre allattava un abate tisico.
Diego Rossi: "Nell’antica Roma sappiamo da Plinio (quindi nel primo secolo d.C.) che i medici suggeriscono il soggiorno in posti circondati da pinete per la tubercolosi polmonare e impacchi con farina e foglie di cipresso per la scrofola, ma anche i viaggi in mare sono giudicati un’ottima medicina. Circa 100 anni più tardi il mitico medico Galeno consiglia ai concittadini tisici di discendere il Tevere e navigare fino a Stabia (nel golfo di Pozzuoli), il cui clima è definito “salubris”, per la presenza contemporanea dell’aria di mare e dei vapori sulfurei del Vesuvio, ma Stabia è famosa anche per l’acqua e addirittura per il latte delle giovenche, usato come medicina per diverse malattie. Galeno, però, considera medicina ideale il latte di capra, magari arricchito con miele o sale, e i fumenti fatti con acqua, arsenico e pigne, oltre all’assunzione di oppio per dormire e calmare il dolore. Località alternative a Stabia sono Crotone e, più genericamente, Egitto e Libia."
La ricetta dei fumenti all’arsenico viene poi diffusa in tutto il mondo arabo grazie (o, forse, sarebbe meglio dire “per colpa”) di Avicenna che la tramanda nei secoli.
Tutte queste ricette sono ovviamente inutili per uccidere il bacillo di Koch, ma il culmine dell’immaginazione è raggiunto alcuni secoli più tardi quando, dal Medio Evo in poi, vengono utilizzati alcuni metodi di cura da lasciare letteralmente a bocca aperta.
La prima ricetta contro la tubercolosi si basa sull’idea che la malattia sia una punizione divina per colpe o peccati commessi dall’ammalato, e che la guarigione sia di conseguenza il perdono da parte di Dio. Non si tratta certamente di un’intuizione medievale, infatti da secoli i sacrifici agli dei erano offerti anche per riottenere la salute, ma attorno all’anno Mille in Francia viene stato fatto un passo avanti, e cioè: se il re detiene il potere per volere di Dio e Dio può guarire le malattie, allora il re può guarire le malattie. Va detto che i re Capetingi di Francia, per confermare il proprio diritto al trono, iniziano la tradizione di farsi ungere con l’olio santo che, in quanto benedetto, li fornisce di poteri speciali. Ed è così che nascono i cosiddetti “re taumaturghi”, e Roberto II il Pio inizia a curare e guarire i sudditi malati di scrofola (l’adenite tubercolare già citata in precedenza che viene perciò battezzata “male del re”: “mal du roi” in francese e “king’s evil” in inglese) con la sola imposizione delle mani. L’abilità, o capacità che dir si voglia, è poi ereditata da tutti i suoi discendenti fino a Carlo X (morto nel 1836).
Si tratta della pratica del “tocco reale” che, però, non rimane appannaggio dei soli re Capetingi. Roberto Cosciacorta, duca di Normandia, è infatti il bisnipote dal lato materno di Roberto II il Pio, ma è anche figlio di Guglielmo il Conquistatore, re d’Inghilterra. Se le colpe dei padri non ricadono sui figli, evidentemente le capacità dei figli vengono ereditate dai padri e dai loro successori sul trono di Londra. Ed allora anche i re inglesi iniziano a curare la scrofola grazie al loro tocco benedetto a partire da Enrico I (in carica dal 1106) fino ad Anna Stuart (morta nel 1714; quella del film “La favorita” del 2018 per cui Olivia Colman ha vinto l’Oscar per la migliore interpretazione femminile).
Alcune curiosità (come se già la pratica non sia sufficientemente bizzarra). Il demonologo francese Pierre de Lancre, che vive a cavallo di Cinque e Seicento, ipotizza che il potere taumaturgico non scompaia con la morte del re, e molti pellegrini francesi s’incamminano per la Catalogna dove è conservato il braccio di Luigi IX, proprio per toccarlo e venirne guariti.
Carlo I d’Inghilterra tocca 100 malati nel solo giorno del 27 dicembre 1633, mentre Carlo II raggiunge la considerevole cifra di oltre 92000 nel corso del suo regno.
Il record francese spetta probabilmente a Luigi XIV, il Re Sole, che nel giorno di Pasqua del 1680 tocca ben 1600 persone. Il suo successore, Luigi XV, è invece piuttosto scettico sulla bontà del rituale, e modifica la formula “Il re ti tocca, Dio ti guarisce” in “Il re ti tocca, Dio ti guarisca”: in altre parole dice: “Io faccio la mia parte, ma se non guarisci, io non ho colpe”.
Da ultimo, l’acqua. Dopo aver toccato tante croste disgustose, i re francesi si lavano le mani. Ebbene, per un certo periodo c’è l’usanza di dare da bere quest’acqua ai malati per nove giorni consecutivi, a digiuno e con devozione. Fortunatamente questa tradizione dura poco.
Torniamo adesso nel Medioevo perché è in questo periodo che nasce anche la teoria secondo cui la tubercolosi è di origine infernale. Il malato è in realtà posseduto da un demone con sembianze di cane, e i colpi di tosse non sono altro che i latrati di questa creatura immonda. Più la malattia progredisce, più il malato tossisce e più il demone abbaia e festeggia perché sta per uccidere la sua vittima.
Ma la teoria più affascinante sull’origine della tubercolosi è un’altra e compare nel Settecento.
“Dal diario di Jonathan Harker. (…) La bocca, per quanto abbia potuto vedere sotto i folti baffi, mi è parsa inespressiva ma crudele, con denti bianchi e particolarmente acuminati che sporgono sopra le labbra, il cui colore rosso rubino denota una sorprendente vitalità in un uomo della sua età. (…) L’effetto complessivo è di un pallore stupefacente.”
Questa è la descrizione del Principe Vlad III di Valacchia, membro dell’Ordine del Drago, che Bram Stoker ci dà nel suo romanzo "Dracula" perché sì, tubercolosi e vampirismo coincidono. Fateci caso: a parte l’aspetto fisico (cioè corpo emaciato e viso pallido con labbra rosse), quando un membro della famiglia muore di tubercolosi, spesso anche gli altri si ammalano e, prima o poi, fanno la stessa fine. Questo succede perché il morto, anzi, il non-morto di notte torna dalla tomba e un po’ per volta risucchia la vita dal corpo dei familiari, fino a portare a compimento la sua diabolica missione di trasformare anch’essi in vampiri.
Da tutto ciò la conseguenza è che l’unico modo di fermare un’epidemia di tubercolosi è di liberare il non-morto dalla maledizione, trafiggendo il suo cuore con un paletto appuntito di legno (preferibilmente frassino, quercia o biancospino) o, in alternativa, tagliandogli la testa e riempiendogli la bocca d’aglio.
Tutte queste tecniche di terapia della tubercolosi scompaiono con la scoperta del bacillo da parte di Koch, ma ce n’è una che ha resistito per qualche tempo, andando contro le scoperte del medico prussiano.
Nel 1886 un certo dottor Page pubblica a New York il libro “La cura naturale di tubercolosi, costipazione, malattia di Bright, nevralgia, reumatismi, raffreddori, ecc.” in cui accusa la comunità scientifica di cecità perché tutte le malattie (quindi quelle citate nel titolo dell’opera ma anche le altre) derivano esclusivamente dalle errate abitudini alimentari della popolazione del XIX secolo. La maggiore scelta e quantità di cibo a disposizione ha avuto come effetto la tendenza all’obesità e tutti i mali di cui vengono ingiustamente incolpati i microbi sono in effetti solo la conseguenza di continue e ripetute indigestioni. Riassumendo brevemente, se si mangia troppa carne, viene la gotta; se troppo zucchero, il diabete. In entrambi i casi si possono vedere dei cristalli che si sono formati negli organi dei malati, proprio come si vedono dei cristalli nei polmoni di chi muore di tubercolosi che, di conseguenza, è chiaramente causata da ripetute indigestioni soprattutto di zuccheri. Ah, il dottor Page non mette in dubbio che Koch abbia trovato dei bacilli nei polmoni dei tisici: i batteri ci sono perché Koch è stato così maldestro da metterceli lui stesso!
L’aspetto curioso di questa teoria, secondo la quale siano i bagordi culinari a provocare la tisi, è che negli ultimi anni è nata l’ipotesi che definirei “non assecondata dal mondo scientifico”, secondo cui ci si ammali di tbc per aver gozzovigliato nel corso delle vite passate.
Un ultima nota. Nel 1921 a Chicago viene pubblicato il secondo volume di “Nostrums and Quackery”, traducibile con “Toccasana e ciarlataneria”, in cui si analizzano in laboratorio i vari rimedi contro la tubercolosi acquistabili per posta negli Stati Uniti e si indaga se sia vero oppure no che i vari clienti citati negli annunci pubblicitari sono davvero “guariti e soddisfatti dell’acquisto”. Le analisi di laboratorio hanno rinvenuto nella maggior parte delle soluzioni alcol e/o glicerina, in un caso cherosene e trementina, a volte morfina o codeina, un pizzico di arsenico o di stricnina, alcune sostanze innocue (poche però…) e alcune gocce di oli essenziali. Per quanto riguarda i vari clienti, questi sono tutti passati dalla formula “soddisfatti o rimborsati” a “malati e trapassati”.
Per fortuna poi sono arrivati gli antibiotici, ma di questi parleremo un’altra volta.
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