Oggi, invece di una passeggiata, vi propongo una chiacchierata su un tratto distintivo, ma abbastanza misconosciuto, di Milano: le crocette o colonne votive.
Per la maggior parte dei milanesi moderni “Crocetta” è semplicemente una fermata del metrò, linea gialla, dalle parti di Porta Romana. E forse anche i frequentatori di quella stazione non hanno mai alzato lo sguardo sulla colonna con statua, un po’ malconcia bisogna dire, che appare all’uscita della metropolitana e che si colloca all’incrocio tra Corso di Porta Vigentina, Corso di Porta Romana e via Lamarmora. Peccato, perché quella colonna è una delle poche rimaste a testimoniare una grande tradizione del passato legata alle pestilenze, e divenuta purtroppo di grande attualità. Vediamo dunque di ripercorrerne brevemente la storia.
Le prime crocette apparvero durante la pestilenza del 1372 quando Bernabò Visconti ne innalzò una decina attorno al Duomo. Erano semplici altarini, sormontati da una croce. Posizionate agli incroci delle strade (da cui la denominazione Crocetta), permettevano alla popolazione in quarantena di assistere alla Messa senza dover lasciare le proprie abitazioni. Già sentita questa cosa?
Il numero delle colonne barra altarini aumentò in maniera esponenziale in occasione della peste del 1576, quella che si diffuse anche a Milano per via dei pellegrini del Giubileo indetto quell’anno. San Carlo Borromeo ne ordinò 19 ed altre 39 furono volute dal suo successore Federico Borromeo. L’ordine di San Carlo così recitava: “Diede ordine che si piantassero in ciascun luogo, ove erano quelli Altari, et alte colonne di pietre vive; nella somità delle quali si ponesse una Croce grande, con un Christo inchiodato…. E per mantenervi vivo perpetuamente il culto Divino, istituì una Compagnia di persone pie, di quella vicinanza, a ciascuna Croce, con regole particolari, et ufficiali, alla forma dell'altre Compagnie”.
Fu così che si raggiunse un massimo di 59 croci e, più o meno, relative Compagnie, denominate appunto della Sante Croce. Pare però che gli adepti si litigassero aspramente tra loro, tanto che nel 1711 l’ arcivescovo Giuseppe Archinto, dopo aver ricordato che la croce di Cristo è una sola, dovette intervenire per definire i confini territoriali di ciascuna Compagnia.
Le colonne, oltre che ritrovo pubblico di preghiera all’aperto, erano anche croci stanziali, ovvero punti di stazione delle processioni della via Crucis per le vie di Milano. A conferma di questo utilizzo, esiste un documento, vergato dall’arcivescovo Federico Borromeo in persona, che detta le dettagliatissime istruzioni sul percorso della processione di manzoniana memoria che si svolse l’11 giugno 1630, festa di San Barnaba, e che condusse il corpo di San Carlo in giro per la città.
Anche lo stile delle crocette nel frattempo cambiava. Col passare degli anni agli altarini si preferì una colonna con la statua di un santo o vescovo della chiesa ambrosiana a cui chiedere una grazia, trasformandole così in vere e proprie colonne votive. Oppure, come quella di San Glicerio al Bottonuto, che si trova oggi tra via Senato e i Giardini Pubblici (prima era in via Larga), che in pratica è un semplice obelisco che poggia su 4 sfere.
Ma ad un certo punto sulle croci si abbatté la furia distruttiva prima dei francesi e poi degli austriaci. Vennero infatti considerate “arredo urbano di intralcio alla viabilità”, come affermato dal ministro plenipotenziario conte di Firmian che inviò a Vienna i disegni realizzati di notte dall’architetto Piermarini (quello della Scala e della villa Reale di Monza) per essere valutati. Nel 1784 l’imperatore Giuseppe II, ordinò la soppressione delle Confraternite, e un paio d’anni più tardi l’architetto Leopoldo Pollack elencò, per conto del Supremo Consiglio di Governo, 35 monumenti da eliminare (non solo colonne votive), dei quali 24 furono rasi a terra ed 11 conservati con modifiche. Il materiale ricavato dalle demolizioni fu venduto all’asta per 3814 lire.
Così finirono miseramente quasi tutte le crocette. Ne sono rimaste pochissime, variamente distribuite per il centro città. Innanzi tutto quella di San Calimero, che ha dato il nome a Largo Crocetta e alla fermata della metropolitana, piuttosto che quella di San Barnaba che poi divenne di San Carlo. Questa era originariamente collocata nella zona della Curia ducis, l’attuale piazza Cordusio, ma la famiglia Borromeo fu costretta in tutta fretta a trasportarla nella vicina piazza di famiglia, cioè piazzetta Borromeo, “entro dieci giorni per intralcio al traffico” dopo che la carrozza del governatore austriaco di Milano c’era andata a sbattere.
C’è poi la colonna del Verziere, travagliatissima, quella di largo Augusto. In pietra di Baveno, col Cristo redentore, fu progettata nel 1580 ma ci mise quasi un secolo ad arrivare alla fine perché le autorità civili litigavano con quelle religiose. Si giunse perfino a demolirne la prima metà e a gettare in carcere gli innocenti manovali. Rimessa in piedi nel 1611, precipitò due volte durante i lavori. Rimontata, servì come primo monumento alle Cinque Giornate, tant’è che i nomi dei caduti appaiono sulle tavole di bronzo che ne circondano la base. Oggi è smontata per l’ennesima volta per permettere i lavori della linea blu della metropolitana. La statura del Redentore venne realizzata su disegno di Francesco Maria Richini (quello del Duomo, Brera, la Ca’ Granda e tanti altri edifici milanesi).
E per finire ricordiamo la crocetta di San Lazzaro, in stile tardo barocco, eretta nel 1728 in piazza Vetra, per dare conforto agli eretici, streghe e criminali condannati al rogo o alla forca, situati proprio lì di fianco. Da notare che Lazzaro è un santo piuttosto anomalo: il suo nome risale al povero lebbroso Eleazaro citato soltanto nel Vangelo di Luca. Un personaggio immaginario dunque, che ha però dato corpo ad un santo molto venerato in epoche in cui la lebbra non conosceva cura e che, in questa statua, è stato addirittura rivestito di panni settecenteschi.
Ci sono altre crocette in giro per Milano, non molte devo dire, ma lascio a voi la scoperta.
Comments