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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

I luoghi dell'ebraismo - 3

Aggiornamento: 5 nov 2022

Nella passata stagione avevamo svolto una piccola serie “a tema” che ci ha portato a conoscere alcuni dei luoghi più rappresentativi dell’ebraismo a Milano: dalla Sinagoga Centrale all’Umanitaria, dal Memoriale della Shoah alle scuole di via Eupili, dal palazzo Erba Odescalchi al Giardino dei Giusti. Continuiamo ora il nostro percorso dalla scoperta - credo per molti - dei cimiteri ebraici di Milano che, essendo quelli cattolici terra consacrata, costituiscono una realtà a parte.


Le prime testimonianze della sepoltura di ebrei a Milano sono due lapidi funerarie sulla parete di destra dell’atrio esterno (sia chiaro “esterno”) della basilica di Sant’Ambrogio. Per secoli gli ebrei sono stati solo di passaggio a Milano (potevano soggiornare per fare affari ma non era concessa loro la residenza) per cui non era sorta la necessità di organizzare un cimitero vero e proprio. A un certo punto nel ‘400, al tempo di Gian Galeazzo Visconti, venne loro riservata un’area, rigorosamente fuori Porta Tenaglia dalle parti dell’attuale via Bramante, ma niente di che.

Con la riammissione dei primi nuclei ebraici in città, e saltiamo all’Ottocento, un terreno abbastanza vasto venne ufficialmente assegnato alle sepolture ebraiche nel grande complesso cimiteriale di Porta Magenta, meglio conosciuto dai milanesi come fopponino di Porta Vercellina o foppone (quando divenne sempre più grande) di san Giovannino alla Paglia. Siamo in quella che è oggi piazza Aquileia e va detto che l’assegnazione del terreno venne favorita da un paio di benemerite donazioni firmate prima Levi e poi Treves. Oggi di quel periodo resta ben poco: una lapide che rappresenta la planimetria dell’antico cimitero, compresa l’indicazione del campo ebraico, ed altre due che ricordano i principali eventi legati al sito, comprese le donazioni di cui sopra. Queste ultime sono finite sul muro della portineria del condominio di fianco alla “Cappellina dei Morti” (cristiani) che si affaccia su via San Michele del Carso, quella che recita “Ciò che sarete voi, noi siamo adesso, chi si scorda di noi, scorda se stesso”. Tanto per intenderci quella di cui abbiamo ampiamente parlato nel corso della puntata n. 65 dedicata a piazzale Aquileia.

Tutta l’area smise però di funzionare nel 1895 quando era ormai stato inaugurato il reparto israelitico all’interno del nuovo, elegantissimo, Cimitero Monumentale, quello che è oggi diventato la seconda attrazione turistica di Milano dopo il Duomo. Capolavoro del Maciachini, il nuovo grande cimitero venne molto appropriatamente inaugurato il 2 novembre 1866 alla presenza del primo Sindaco della Milano liberata, Antonio Beretta, e la nuova struttura già comprendeva un’intera sezione riservata agli ebrei, sul fondo alla destra del famedio. Oggi l’ala israelitica del Monumentale è una straordinaria testimonianza del contributo ebraico alla città, ma anche del significativo allontanamento, al tempo comprensibile, dall’ortodossia dei suoi membri più influenti che volevano adeguarsi alle tradizioni cattoliche e civili dell’epoca.

Cimitero ebraico - Wilma Viganò

Per tradizione infatti le tombe ebraiche dovrebbero avere carattere di rigorosa semplicità, mentre al Monumentale le cappelle di famiglia, spesso nello stile Liberty del tempo, o gli ornati, ispirati dai simboli della tradizione ebraica come il candelabro a sette bracci, il nodo di Salomone e la stella di Davide, sono in ogni dove. Ed è affascinante scoprirle. Girando tra le tombe impariamo che, al posto dei fiori, la tradizione ebraica vuole che vengano deposte delle pietre, a ricordo delle origini di un popolo profondamente connesso con le zone aride del deserto, così come è consuetudine che non si appongano immagini del defunto. Da segnalare, tra le varie opere dei maggiori artisti del tempo, l’evocativo Monumento Finzi, con la rappresentazione della resurrezione della carne nella visione del profeta Ezechiele, e soprattutto, al centro, la Sala delle Cerimonie, progettata anch’essa dal Maciachini, le cui vetrate istoriate che ricordano Chagall hanno per tema le dodici tribù d’Israele i cui nomi appaiono in alto su ogni vetrata. All’interno del Tempio si può ammirare un altare dei primi del Novecento ed una poltrona cerimoniale in legno con rivestimenti in bronzo incisa con scritte in ebraico e fitti motivi decorativi provenienti dalla vicina edicola Pisa. Nel lasciare la zona facciamo tesoro della dedica in ebraico e in italiano incisa sui lati del Monumento ai Martiri Israeliti del Nazismo “Esempio del secolare martirio sofferto dal popolo d’Israele per la giustizia, la libertà e la fratellanza umana”.

Ma c’è stato subito un “ma” a questa apprezzabile sede cimiteriale. Per gli ebrei la sepoltura per inumazione è di durata perenne, e quindi dopo pochi anni dalla sua inaugurazione lo spazio non fu più sufficiente e, dal 1895, il Cimitero Monumentale accolse solo le sepolture di ebrei illustri, mentre gli altri vennero dirottati ad una vasta area esterna al nuovo Cimitero Maggiore, quello che noi tutti conosciamo come Musocco. Dove esiste, per vostra informazione, anche un campo degli Acattolici, speculare a quello israelitico, dove sono sepolti tutti coloro che abbracciano religioni diverse dal Cattolicesimo.


Detto ciò, direi di introdurre un argomento molto più leggero e gratificante della cultura ebraica: la cucina. Che a raccontarla tutta occorrerebbero una decina di puntate, ma vedrò di fare solo qualche accenno generale per poi darvi qualche dritta di dove assaporarla a Milano. E dico proprio “assaporare”, perché la cucina ebraica è squisita, assimila quel tanto che basta delle cucine locali (vedi ad esempio i carciofi alle giudea inventati Roma) per poi amalgamarle con trattamenti molto particolari e complessi che si rifanno ad antiche norme ed addirittura ad interpretazioni bibliche. Ma non è necessario comprendere tutte le implicazioni storico/culturali: basta poterla apprezzare e vi assicuro che è molto buona.

Qualche premessa e curiosità. Innanzi tutto il nome: in osservanza alle norme religiose, un alimento permesso ed autorizzato è detto “kashèr”, cioè idoneo. Ma non si tratta solo di alimenti ammessi o meno, ma anche del modo in cui sono preparati e il loro abbinamento. Tra i mammiferi, ad esempio, è permesso il consumo della carne di animali che, oltre ad avere lo zoccolo diviso in due, siano anche ruminanti (sono proibiti quindi il cammello e il maiale). Tra i pesci, sono permessi solo quelli che hanno pinne e squame (quindi niente crostacei). Tra i volatili solo alcune categorie come il pollo, il tacchino e l’oca (escludendo i notturni e i rapaci). La carne deve essere prima sottoposta alla macellazione rituale (che ha lo scopo di non far soffrire gli animali), immersa nell’acqua per mezz’ora, quindi messa sotto sale per un’ora e poi risciacquata. Assolutamente vietato mangiare nel corso dello stesso pasto, o a breve distanza di tempo, carne e latte, compresi i derivati come burro, panna e formaggi. E per evitare commistioni, una perfetta cucina kashèr dovrebbe prevedere almeno due serie distinte di posate, piatti e pentole conservate in luoghi diversi, lavate separatamente e contrassegnate in modo da non generare confusione. Per finire cito l’obbligo, in occasione della Pasqua ebraica, del pane azimo. E’ vietato infatti non solo consumare, ma anche possedere cibi lievitati. E a tal pro occorre che la casa venga pulita da cima a fondo, fino a rigirare le tasche degli abiti ed utilizzando una piuma per rimuovere eventuali briciole di pane lievitato. Probabilmente è da lì che deriva l’espressione e la pratica di “fare le pulizie di Pasqua”.

Ma fermiamoci qui perché nelle regole onestamente ci si perde, e vediamo dove trovare a Milano cibo Kashèr. Di ristoranti, in pratica, io ne ho trovati soltanto due: Denzel di via Washington 9 e Ba’ghetto in via Sardegna 45. Il primo offre un mix di cucina americana (con tanto di hamburger e Kentucky Fried Chicken) e medio-orientale, con un ottimo pane e squisite patatine calde, mentre il secondo offre senz’altro un’esperienza culinaria più vasta e completa. Entrambi in ogni caso seguono rigorosamente le procedure kashèr. Se invece volete fare la spesa, per la carne potete rivolgervi a Mister Meat di via Montecuccoli, oppure a Eretz in via Soderini 27, mentre accanto - da Tuv Taam (che significa Buon Gusto) - si può trovare il pane/tavola calda*. E se poi volete esagerare e lanciarvi addirittura nella cottura, il consiglio è quello di consultare il libro “Ricette e precetti” di Miriam Camerini, la spumeggiante regista, attrice e cantante, oltreché prima rabbina ortodossa italiana e… milanese.

Ma attenzione: tutto ciò (mangiare, far la spesa o quant’altro) non può avvenire dal tramonto del venerdì a quello del sabato di ogni settimana. In quelle 24 ore si celebra infatti lo Shabbat, una pratica che ricorda, elevato all’ennesima potenza, una sintesi della nostra domenica abbinata al venerdì di magro. Le 24 ore iniziano il venerdì sera quando appaiono tre stelle nel cielo, 24 ore che vengono dedicate alla preghiera, ma non sono da intendersi come riposo, bensì come “cessazione” di una serie di attività. E questo perché, come riportato nel libro della Genesi, Dio non ha riposato (come Onnipotente non ne ha bisogno) ma ha smesso di lavorare. Non è quindi propriamente corretta l’espressione corrente “riposo sabbatico”, ma tant’è. Ed incredibilmente dettagliata è l’elencazione dei lavori proibiti nel corso delle 24 ore: sono 39 e comprendono cose come arare e seminare, di antica memoria, ma anche cuocere, tingere e tessere, dividere due fili, scuoiare e macellare, salare la carne, scrivere e disegnare, accendere e spegnere il fuoco e trasportare qualsiasi cosa al di fuori della propria abitazione. Si può uscire ma non è permesso usare l’ascensore per via che occorre premere un bottone. Insomma, immobilità pressoché completa da dedicare alla preghiera e ai rapporti umani. Va da sé che queste sono le regole dell’ortodossia, ma è interessante conoscerle per cercare di penetrare una cultura dalla quale anche noi deriviamo.

Se ho stuzzicato la vostra curiosità e volete saperne di più, il luogo in cui vi consiglio di concludere quest’itinerario milanese è la libreria Claudiana, al numero 12 di via Francesco Sforza, di fianco alla chiesa Valdese. In aggiunta alle abituali novità editoriali molto ben selezionate, questa libreria, aperta nel 1968, si caratterizza per la sua specializzazione in cultura religiosa con un approccio rigorosamente non confessionale, ma plurale, laico e interculturale. Il personale è giovane, disponibile e molto gentile e qui sotto potete trovare una serie di suggerimenti su alcune pubblicazioni sulla cultura ebraica di tipo prettamente divulgativo.


Scialom Bahbout, Ebraismo. La storia, i profeti, la cultura (Giunti Editore, 2019)

Daniele Garrone (a cura di), Ebraismo. Guida per non ebrei (Claudiana, 2019)

Paul Petzel, Norbert Reck, Gianluca Montaldi (a cura di), Ebraismo dalla A alla Z. Parole chiave per rimuovere errori e luoghi comuni (EDB, 2018)

Pierre Savy (a cura di), Storia mondiale degli ebrei (Laterza, 2021)

Charles Szlakmann, L'ebraismo per principianti (Giuntina, 1987)

Miriam Camerini, Ricette e precetti (Giuntina, 2019)


*correzioni e altro indirizzi suggerito da Miriam Camerini:

Kosher King (di Deutsch Mordechai), Via Marcora 1


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