Come anticipato qui, la proposta oggi è quella di continuare il nostro giro tra i luoghi dell’ebraismo a Milano.
Dopo la Sinagoga Centrale e i chiostri dell’Umanitaria, mi sembra assolutamente doveroso incamminarci lungo via Ferrante Aporti, sul lato destro della Stazione Centrale. Qui, proprio di fronte all’ex Palazzo della Posta, all’altezza di uno slargo recentemente dedicato ad Edmond J. Safra, un mecenate americano che ne ha finanziato l’allestimento, si accede ad uno dei luoghi più tristi, forti ed emozionanti di Milano: il Memoriale della Shoah. Memoriale che non poteva trovare un ambiente più impattante ed evocativo. Siamo infatti allo scalo-merci della Centrale, sottostante i binari ordinari, non visibile al normale traffico ferroviario e per tutti gli anni ’30 adibito al trasporto postale, com’è naturale dato il Palazzo che lo affianca.
Qui arrivava il famigerato binario 21 che dal 1943 al 1945 venne convertito in luogo di partenza per le deportazioni di ebrei e dissidenti diretti ai campi di concentramento e sterminio. Oggi, nel luogo stesso della “tragedia” (Shoah in ebraico), è sorto uno straordinario luogo della memoria per sanare una ferita e, come disse l’allora Presidente della Fondazione Ferruccio de Bortoli, “per riconciliare Milano con la propria grande tradizione civile e culturale”.
Subito all’ingresso ci si emoziona. In un ambiente scarno ed impattante, ripulito ma lasciato com’era, ci si scontra con il “Muro dell’Indifferenza”, la parola scelta da Liliana Segre per esprimere il motivo per il quale, a suo parere, la Shoah è stata possibile. La senatrice venne deportata con il padre Alberto proprio da questo luogo con destinazione Auschwitz. Solo Liliana sopravvisse. Liberata nel 1945, passarono anni prima che riuscisse a parlare della sua esperienza. Superato il Muro dell’Indifferenza si incontra l’Osservatorio, un’installazione concepita per proiettare i visitatori nella dimensione di smarrimento in cui si trovavano i deportati diretti verso “ignota destinazione”. In fondo ad un tunnel buio si proietta un filmato dell’Istituto Luce che mostra l’utilizzo “postale” dell’area, e come fu tecnicamente reso possibile il suo riutilizzo per le deportazioni.
Ma i brividi arrivano sulla successiva banchina delle rotaie dove sono posizionati alcuni vagoni merci originali sui quali venivano caricati a forza i prigionieri, fra urla, grida e latrati di cani. Su ciascun carro (sui quali si può entrare e la senzazione è pazzesca) venivano ammassate fra le 60 e 80 persone – donne, uomini, vecchi, bambini – che avrebbero viaggiato per giorni in condizioni disumane. Procedendo nella visita, si arriva quindi all’impressionante Muro dei Nomi che riporta i 774 nomi degli ebrei deportati il 6 dicembre 1943 e il 30 gennaio 1944 con destinazione Auschwitz-Birkenau. Di loro solo 27 sopravvissero e i loro nomi sono evidenziati in rosso. Altri 18 convogli vennero caricati in questo stesso luogo con prigionieri ebrei, politici e partigiani oppositori del regime.
La visita, sempre ottimamente guidata, prevede al termine una sosta evocativa nel Luogo di Riflessione: uno spazio conico dove, al buio con una sola luce centrale, è possibile sostare, confrontarsi, pensare e pregare. Prima dell’uscita ci si può liberamente soffermare in una serie di Stanze delle Testimonianze, dove si proiettano interviste videoregistrate ai sopravissuti. Sulla sinistra è visibile inoltre un grande Auditorium destinato a presentazioni e dibattiti di carattere storico, culturale e sociale, oltre che una grande biblioteca che proprio recentemente ha accolto tutti gli archivi del Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea finora custoditi nella storica sede di via Eupili.
A proposito di via Eupili, che è dalle parti del Sempione, se vi capita di passare davanti alle eleganti palazzine dei numeri civici 6 e 8, val la pena di ricordare che qui la comunità ebraica milanese fu costretta ad organizzare tutti i corsi di studio, dalle elementari all’università, per i ragazzi ebrei espulsi dalle scuole pubbliche nel 1938. Sede anche di un’importante sinagoga, le palazzine erano collegate tra loro da un piccolo sottopassaggio segreto da utilizzare come possibile via di fuga in situazioni di emergenza.
Un’altra residenza che ha svolto un ruolo importante nelle vicende ebraiche milanesi, e non solo, è Palazzo Erba Odescalchi di via dell’Unione, la traversa di via Torino che porta in piazza Missori. Era questo un antico palazzo nobiliare, probabilmente appartenuto a Barnabò Visconti e ricostruito nel ‘500 da Pellegrino Tibaldi quando venne in possesso della famiglia Cusani. La facciata cinquecentesca porta ancora nei timpani dei finestroni 12 busti di imperatori romani, mentre nel cortile interno lo stesso motivo è ripetuto con figure femminili. Oggi il Palazzo è sede di una circoscrizione di Polizia e di un museo anticrimine, ma al termine della seconda guerra mondiale offrì riparo ed accoglienza ai sopravvissuti ai campi di sterminio provenienti dall’Europa settentrionale al tempo in cui Milano era diventato il più importante centro di smistamento per chi voleva raggiungere Israele o l’America. Un vero e proprio rifugio, con sinagoga, ospedale, mensa e dormitorio. Come ricorda Primo Levi “C’erano uomini, donne e bambini accampati nei corridoi, famiglie che si erano costruite ripari con fogli di compensato o coperte appese. Su e giù per i corridoi si affaccendavano donne di tutte le età, trafelate, sudate, infaticabili”. Fino a tutto il 1952 furono oltre 30 mila gli ebrei cui fu dato asilo nel cinquecentesco palazzo considerato dalla comunità ebraica internazionale un vero e proprio luogo di salvezza. E’ poco conosciuto il fatto che da qui, grazie all’esperienza dell’ingegnere navale Gualtiero Morpurgo, furono organizzate le 33 imbarcazioni che salparono dai porti italiani alla volta della Palestina con a bordo più di 20 mila ebrei.
Un altro incredibile monumento diffuso a ricordo della tragedia della Shoah, sono le pietre d’inciampo, che possiamo trovare disseminate un po’ per tutta Milano. L’iniziativa è di un artista tedesco, Gunter Demnig, che ha avuto l’idea di creare dei cubetti di porfido, ricoperti da piastre in ottone incise singolarmente nel suo laboratorio in Germania ed inviate per l’installazione alle città europee che aderiscono al progetto. Ogni pietra intende ricordare, con l’incisione del nome, data di nascita e arresto, oltre che luogo di deportazione e data della morte, ogni essere umano vittima della Shoah e lo ricorda sulla soglia dell’ultima casa dove ha vissuto in libertà. Ad esempio la pietra d’inciampo che ricorda il padre di Liliana Segre la si può incontrare davanti al portone di corso Magenta 55, dove la Senatrice a vita visse la sua fanciullezza. A Milano sono state posate ad oggi 131 pietre d’inciampo. Un invito, mentre camminiamo per la città e le incrociamo, a rivolgere un pensiero agli orrori del passato per immaginare un futuro più giusto.
E la parola “giusto” ci conduce verso l’ultimo luogo di questa passeggiata: il Giardino dei Giusti. Il Giardino è sul Monte Stella, altrimenti conosciuto dai milanesi come “la montagnetta di San Siro”, e lo si può raggiungere sia da nord da via Cimabue, che da sud da piazza Santa Maria Nascente (dove ci si arriva con la linea 1 rossa della metropolitana, fermata QT8). Il monte Stella è una collinetta artificiale nata dall’accumulo delle macerie dei bombardamenti della seconda guerra mondiale e il nome lo si deve all’architetto Piero Bottoni, progettista e costruttore del quartiere, che lo dedidò alla moglie Stella. Alta 45 metri, la collinetta è oggi coperta da una superficie boschiva di 370 mila metri quadrati e la vetta è comodamente raggiungibile percorrendo un’ampia strada panoramica. Nelle belle giornate dall’alto si può ammirare tutto l’arco alpino, mentre la veduta notturna è stata celebrata in maniera impareggiabile da Roberto Vecchioni con il suo capolavoro “Luci a San Siro”.
Bene, dal 2003 la Montagnetta di San Siro ospita il primo giardino italiano dei Giusti di tutto il mondo dove vengono piantati alberi in nome di quelle persone, non solo ebrei, che si sono opposte ai genocidi e crimini contro l’umanità. Il termine “Giusto” è tratto da un passo del Talmud che afferma “chi salva una vita salva il mondo intero” ed è stato applicato per la prima volta a coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa.
Ogni anno il 6 marzo, Giornata Mondiale dei Giusti, l’associazione fondata dal Comune di Milano, dall'Unione delle Comunità Ebraiche Italiane e da Gariwo (il Comitato per la Foresta dei Giusti), assegna nuove targhe a ricordo di persone dalle storie incredibili. Da un paio d’anni il Giardino è stato completamente rinnovato e accompagna i visitatori lungo un articolato percorso che, con l’aiuto di un’audio-guida, ci racconta le storie delle figure esemplari onorate con un albero e un cippo. Un percorso che ci conduce dal Viale del Bene fino all’Albero della Memoria per poi raggiungere lo Spazio del Dialogo, una piccola raduna dove sedersi a riflettere, leggere o conversare. Da lì si arriva all’Anfiteatro e poi all’Albero della Virtù, che reca incisi i valori che hanno ispirato i Giusti, cioè solidarietà, diritti umani, coraggio civile, memoria e verità. Potete pensare ad una passeggiata più giusta e coinvolgente?
Direi che è pressoché impossibile!
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