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  • Immagine del redattoreLaura Invernizzi

Pop

Aggiornamento: 9 gen 2023

Un artista è uno che produce cose di cui la gente non ha alcun bisogno ma che lui – per qualche ragione – pensa sia una buona idea dargli.
Andy Warhol

Dopo la puntata fiume sui tatuaggi mi ero ripromessa di fare qualcosa di facile e breve…poi però le informazioni si sono accumulate, complice la serendipicità che contraddistingue questo podcast per cui io penso ad una cosa e sull’argomento saltano fuori news o semplicemente attinenze che mi fanno allargare lo sguardo (e che poi cerco di inserire il più possibile).

In questa puntata parliamo di arte, moda, pubblicità a New York e Milano a cavallo tra gli anni 70 e 80.

Metto le mani avanti, non parlo di serie TV in senso stretto, ma le proposte per stare seduti o sdraiati sul divano davanti al televisore ci sono…e pure qualche idea per sgranchirsi le gambe.


Parto dall’attualità; verrà battuta all’asta da Christie’s a New York domani - 17 novembre* - Sugar Ray Robinson del 1982 di Jean-Michel Basquiat.

Il 18 maggio sempre a NYC un altro suo dipinto Untitled (Devil) è stato venduto per 85 milioni di dollari.

Ma Basquiat è balzato agli onori della cronaca in questi mesi, anche per una brutta faccenda. Il 24 giugno scorso FBI ha fatto irruzione all’Orlando Museum of Art dove era allestita la mostra Heroes and Monsters con ben 25 quadri inediti, peccato fossero pure falsi!

Da qui appunto il sequestro, il sito del museo ha fatto sparire qualsiasi traccia della mostra e il direttore Aaron De Groft è stato sollevato dall’incarico. Non è la prima volta che accade purtroppo, probabilmente non sarà l’ultima. Ne ho parlato nella puntata 49 – Truffe e furti nell’arte.


Restando sul tema, il Mudec di Milano ospitò tra il 2016 e il 2017 una mostra coi lavori di Basquiat, per chi viaggi in questo periodo e ha voglia di vedere qualche sua opera - segnalo Basquiat: Of Symbols and Signs fino all’ 8 gennaio a Vienna, all'Albertina Museum (50 opere provenienti da collezioni pubbliche e private) mentre a NYC fino al 1° gennaio 2023 King Pleasure, la prima mostra organizzata dalla famiglia dell’artista. E già che siete lì potete recarvi al 57 Great Jones Street, tra Bowery e Lafayettes dove visse e lavorò Basquiat (era un edificio di Warhol) e ora è tornato sul mercato immobiliare.


Dovrebbe arrivare nel 2023 un nuovo film sull’artista dal titolo SAMO LIVES di Julius Onah promettente artista nigeriano come scrive Artribune.

Nell’attesa è possibile recuperare Basquiat, il film del 1996 di Julian Schnabel (si trova su You Tube...).

Ricordo di aver scoperto questo artista proprio nel periodo di uscita del film (con ogni probabilità leggendo qualche giornale perché internet era ancora agli albori), il primo su un pittore americano scritto da un pittore. Schnabel infatti pare avesse finanziato la sceneggiatura a terzi, ma non fosse soddisfatto di come le figure di Basquiat e Warhol emergessero, quindi decise di riscriverlo e dirigerlo personalmente. Alcune parti sono romanzate, non si tratta di un documentario. A Lenny Kravitz era stata offerta la parte di Basquiat, ma rifiutò (pentendosi anni dopo) e venne scelto Jeffrey Wright, mentre ad interpretare Andy Warhol c’era David Bowie (riuscì ad avere in prestito gli occhiali, la giacca e una parrucca originali dal museo di Pittsburgh dedicato all’artista).


E già che ci siamo se non sapete chi è Schnabel o magari volete approfondire, su Nexo+ (prova gratuita 30 gg se si accede da Prime Video, 7 giorni direttamente dal sito di Nexo) c’è L’arte viva di Julian Schnabel (A Private Portrait il titolo originale).


C’è un comune denominatore - forse avete già capito a chi mi riferisco - per tutti gli artisti che ho citato e citerò in questa puntata.

Una figura che non smette – a distanza di 35 anni dalla sua morte - di affascinare: Andy Warhol.

Personaggio complesso, poliedrico, contraddittorio a cui dobbiamo molto e a cui attingiamo ancora a piene mani.

Ma cosa sappiamo di lui? Tutto e il suo contrario, ma ho trovato particolarmente interessante I diari di Andy Warhol, miniserie in 6 episodi uscita il 9 marzo di quest’anno su Netflix basata sull'omonimo libro del 1989 edito da Pat Hackett.


A partire dall'autunno del 1976, dal lunedì al venerdì, Warhol e Hackett – sua storica collaboratrice ed amica - parlavano al telefono ogni mattina intorno alle 9:00, lui le raccontava degli eventi del giorno precedente. La sessione del lunedì, che includeva quanto accaduto nel weekend era più lunga. Hackett trascriveva tutto su un blocco e successivamente batteva a macchina quanto riferito. Non è certa che Warhol avesse in mente qualcosa di più ampio quando iniziarono, ma il motivo più stringente era per fornire dati ai revisori dei conti che controllavano Warhol ogni anno.

Questi diari/ monologhi terminano il 17 febbraio 1987, cinque giorni prima della sua morte (avvenuta a seguito di un intervento chirurgico).

The Andy Warhol Diaries è stato pubblicato nel 1989 (807 pagine) senza un indice, mentre le edizioni più recenti contengono un indice non autorizzato. Il libro è disponibile anche in italiano.


Nella docuserie è stata utilizzata l’Intelligenza Artificiale per riprodurre la voce di Andy Warhol, ovviamente col consenso della Fondazione che porta il suo nome. In questo caso si trattava di frasi dette veramente da lui o quantomeno simili, quindi la questione etica poteva essere messa da parte. Cosa invece non avvenuta nel film Roadrunner sulla vita di Bourdain in cui è stata riprodotta la sua voce per frasi mai pronunciate. Vi lascio un articolo di Wired che ne parla in modo più dettagliato.


I diari di Andy Warhol ci forniscono uno spaccato intimo della vita dell’artista, dall’infanzia a Pittsburgh alle sue amicizie compreso il rapporto con Basquiat. È evidente che non potremmo mai conoscere in modo profondo l’animo di una persona e che tutto è filtrato già semplicemente per una questione di sintesi, ma l’ho trovato – come dicevo prima - molto interessante.


Avevo già avuto modo di scoprire un altro lato di Warhol poco conosciuto alla Scottish National Gallery of Modern Art a Edimburgo in cui sono esposti i primi lavori, ritratti fotografici, polaroid e poster ecc. Non è in centro, ma l’edificio e il parco meritano una visita, ma nel caso non possiamo andarci sul sito del museo si trova tutto.


Rimanendo in tema mostre, non posso non citare quella in corso a Milano alla Fabbrica del Vapore.

La pubblicità della Forma presenta - leggo al comunicato - una ventina di tele, una cinquantina di opere uniche come serigrafie su seta, cotone, carta, oltre a disegni, fotografie, dischi originali, T-shirt, il computer Commodore Amiga 2000 con le sue illustrazioni digitali, la BMW Art Car** dipinta da Wahrol, la ricostruzione fedele della prima Factory e una parte multimediale con proiezioni di film da vedere con gli occhialini tridimensionali.

Oltre trecento opere divise in sette aree tematiche e tredici sezioni - dagli inizi negli anni Cinquanta come illustratore commerciale sino all’ultimo decennio di attività negli anni Ottanta connotato dal rapporto con il sacro.

La mostra è aperta fino al 26 marzo 2023.

Al Centro Altinate di Padova c’è invece Andy Warhol. Icona Pop (visitabile fino al 29 gennaio). Più di 150 opere per indagare la sua poetica, soffermandosi sulla rappresentazione della società e della cultura americane.

Tornando sul divano segnalo Andy Warhol - Un ritratto, documentario del 1987 disponibile su Now/Sky, mentre su RARO Video (accessibile da Prime) si posso vedere - in esclusiva - i film girati o prodotti da lui grazie ad un accordo con la Andy Warhol Foundation-Europa.


Era il 1977 la prima volta che Andy Warhol entrò nel mio negozio di New York, l’unico che avesse anche una caffetteria, dove si organizzavano eventi culturali trasformandosi in un palcoscenico curioso coraggioso e ludico, e rimase talmente affascinato da decidere che quella era la location ideale per lanciare le copie della sua rivoluzionaria rivista Interview.

Parte così l’articolo che ho trovato su wemagazine a firma di Elio Fiorucci.

Chi è nato prima degli anni 90 sicuramente si ricorda di lui, degli angioletti sulle magliette e del suo negozio in San Babila a Milano.

Ma ci sono molti aspetti che non si conoscono di questa figura importante per la moda e la creatività in senso più ampio. Ad esempio che Fiorucci sponsorizzò l’inaugurazione del mitico Studio 54 o che si inventò le infradito coi fiori nel negozio di scarpe dei genitori.


Ma si può rimediare…anzi vi invito a farlo con tre titoli:


Caro Elio. Un viaggio fantastico nel mondo di Fiorucci a cura di Franco Marabelli (architetto che firmò il negozio di New York e che lavorò con lui per 12 anni). È il racconto di una impresa creativa che ha coinvolto e riunito persone di diversa estrazione, principianti assoluti e professionisti, che grazie a Elio si incontrano, trovandosi a fare parte di un progetto dalle mille sfaccettature. Un corposo lavoro di ricerca contenuto in 400 pagine con 600 immagini e 100 testimonianze. Qui l'intervista a Marabelli.


Su Rai Play all’interno del programma Italiani di Paolo Mieli, c’è Elio Fiorucci: Stato libero prodotto nel 2017 (due anni dopo la sua scomparsa) con spezzoni d’epoca, interviste e ricordi di quanti hanno lavorato con lui, della figlia e della sorella.


Ed ha uno stile analogo, Elio Fiorucci: Free Spirit che si trova su Netflix.

Uno spaccato di quanto vissuto in quegli anni così creativi e sfaccettati anche grazie all’intraprendenza di Elio Fiorucci….citato pure nei diari di Warhol.

21 dicembre 1983 “Andato da Fiorucci, è proprio un luogo divertente. È tutto ciò che ho sempre voluto, tutta plastica. E quando esauriscono qualche articolo non credo lo ripetano. Che ragazzini deliziosi.”

Nello store di Milano arrivò invece Keith Haring.


Nel 1984 abbiamo spogliato il nostro negozio, che misurava 1.500 metri quadrati, e abbiamo chiesto a Keith Haring di trattarlo come uno spazio tutto suo, in cui avrebbe potuto creare una grande opera d'arte. Dopo averne parlato con Andy Warhol, Keith aveva accettato l'iniziativa, anche perché Andy gli aveva detto che aveva una grande simpatia e stima per Elio Fiorucci e per tutto ciò che aveva fatto e pensato. Haring decise che sarebbe stato molto interessante intraprendere questa collaborazione, poiché anche lui si sentiva sulla stessa lunghezza d'onda spirituale.

Questo è un estratto del testo che si trova sul sito di The Keith Haring Foundation a firma sempre di Elio Fiorucci.

Purtroppo a fine anni 90 (cioè quando ho iniziato a frequentare il negozio) non c’era più traccia di questa performance, restano le foto e alcuni pannelli che sono stati recuperati. Uno di questi dallo stesso Fiorucci è stato esposto a NYC lo scorso anno e ora ha fatto – credo – ritorno al MACo – Museum of Antique and Contemporary Arts di Chiang Mai, in Tailandia.


Però a Monza fino al 29 gennaio - presso l’Orangerie della Reggia Reale - c’è Keith Haring. Radiant Vision. Oltre 100 opere provenienti da una collezione privata, tra litografie, serigrafie, disegni su carta e manifesti.


Piccola nota che fa ulteriormente comprendere l’eredità e l’influenza che la Pop Art esercita ancora oggi: il marchio giapponese Uniqlo all’interno delle sue collezioni UT (T-Shirt e felpe) propone ciclicamente riproduzioni di lavori di Warhol, Basquiat e Haring.


*l'opera è stata venduta all'asta per 28,2 milioni di dollari (32,6 milioni con tasse).


**l'auto è stata oggetto di un attacco da parte di un gruppo di attivisti in data 18 novembre 2022, dettagli nell'articolo di Artribune.


Aggiornamento mostre:

Gallarate - MA*GA dal 22 gennaio al 18 giugno 2023, Andy Warhol. Serial Identity

Bologna - Palazzo Belloni dall'11 marzo 2023, Warhol Haring Basquiat – Music to my eyes


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