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  • Immagine del redattoreWilma Viganò

Via San Barnaba - 2

Aggiornamento: 11 ott 2021

UN MILANESE ANOMALO E LA STORIA DELL’UMANITARIA


Riprendiamo oggi la passeggiata di via San Barnaba e, lasciata la travagliatissima chiesa di Santa Maria della Pace, entriamo nei chiostri del grande complesso monastico fondato nel Quattrocento dal monaco portoghese Amedeo de Silva e realizzato in maniera corale dalla famiglia di architetti più famosa dell’epoca: i Solari. Erano questi una dinastia di artisti, soprattutto architetti, di cui facevano parte Guiniforte, Pietro, Cristoforo e Andrea che erano intervenuti in tutte le maggiori opere milanesi del tempo, dal Duomo alla Ca’ Granda, dalle chiese di Santa Maria delle Grazie e dell’Incoronata, a quella di San Bernardino alle Monache. Insomma: garanzia di qualità.

La prima pietra dei lavori venne posta nel 1466 su un’area periferica donata al nuovo ordine degli Amadeiti da Francesco Sforza, unitamente a consistenti contributi finanziari per la costruzione. Ma, si sa, l’invidia è una brutta cosa, e un gruppo di francescani minori denunciò il fatto al governo della Serenissima e tanto brigarono che il Papa Paolo II ordinò la sospensione delle opere nel cantiere di Milano. Ma i frati milanesi e gli Sforza tennero duro e dopo una trentina d’anni i lavori poterono essere ultimati. A fine ‘500 il convento contava tre chiostri e 60 celle, ma già un secolo dopo si era ingrandito con 30 celle e un chiostro in più. E ancor oggi, i quattro chiostri, ribattezzati coi nomi gentili di Chiostro dei Pesci, dei Glicini, delle Memorie e dei Platani, riflettono perfettamente, in varie combinazioni, l’armonia dettata dalle proporzioni dell’architettura greca basata sull’idea del modulo, cioè un elemento unitario che crea la misura dell’insieme.

Umanitaria - Refettorio, affresco Crocefissione - Wilma Viganò

E il gioiello di questo insieme è il Refettorio, oggi perfettamente restaurato e ribattezzato Salone degli Affreschi, dove troneggia sul fronte una grandiosa Crocefissione datata 1520 e attribuita a Bernardino Ferrari. Soggetto e stile ricordano molto da vicino quella dipinta qualche tempo prima da Donato Montorfano nel Cenacolo di Santa Maria delle Grazie. Sì, proprio quella che tutti si dimenticano di ammirare perché presi dall’opera di Leonardo. In effetti i temi per un Refettorio sono un po’ sempre gli stessi, tant’è che sulla parete opposta alla Crocefissione dei chiostri (oggi vuota) risulta facesse bella mostra di sé un’Ultima Cena del Lomazzo identica a quella di Leonardo. Staccata all’inizio del ‘900 per problemi d’umidità, andò persa durante i bombardamenti dell’ultima guerra.

Ma tornando alla storia, il complesso conventuale nel 1805 venne requisito dal solito Napoleone e trasformato prima in scuderia, poi magazzino, ospedale e infine riformatorio. A cavallo tra ‘800 e ‘900 le sorti della chiesa e del convento presero strade diverse. Come abbiamo visto la chiesa divenne sala concerti prima di essere riconsacrata, mentre i chiostri restarono ancora per qualche anno al Riformatorio Marchiondi, una pubblica istituzione dedicata all’educazione dei ragazzi difficili. E tra i suoi allievi dell’epoca ricordiamo Giovanni Segantini. Accanto ai chiostri si era nel frattempo sviluppata un’ampia area industriale, denominata Tecnomasio Italiana Brown Boveri, un’azienda del settore meccanico specializzata nella progettazione e costruzione di treni e tram. (Inciso: e con ciò ho finalmente capito cosa significa la fermata TIBB della linea 3 del metrò. Termine dell’inciso.)

Umanitaria - chiostro

Nel 1907 infine tutta l’area dei chiostri, del refettorio e dei terreni adiacenti (compresi quelli della TIBB) venne acquisita dalla Società Umanitaria, un’istituzione sorta grazie al lascito testamentario del mecenate Prospero Moisè Loria.

Ma chi era Prospero Moisè Loria? La sua vita è un vero romanzo e val la pena di raccontarla. Quarto di sei figli di un commerciante ebreo, nacque nel 1814 nel ghetto di Mantova. Per fortuna Napoleone aveva da poco promulgato la libertà di culto (di questo bisogna dargli atto) ed abrogato quindi il divieto agli ebrei di risiedere a Milano, dalla quale erano stati cacciati dagli spagnoli nel lontano 1597. Ed è proprio di quegli anni l’arrivo a Milano di un altro mantovano, Salomone Pavia, considerato il capostipite della comunità israelita milanese. Nel frattempo il nostro eroe Prospero Moisè passa la giovinezza a Mantova, privilegiando gli affari agli studi e scalpitando per ottenere con qualche anticipo la sua quota dell’eredità paterna per mettersi in proprio. Ci riesce, non senza qualche difficoltà, e con un gruzzoletto di 11.000 lire austriache "in valuta d'oro e d'argento al corso" parte alla volta di Trieste.

Trieste era una città di frontiera, cosmopolita e progressista, che da anni aveva proclamato l'uguaglianza civile e religiosa per tutti i cittadini. In questo ambiente proiettato verso il mondo ed il futuro, Prospero sceglie di lavorare nel commercio del legname. Viene raggiunto da due fratelli e, con autentica intuizione imprenditoriale, punta gli obbiettivi commerciali dell’Azienda sull’Egitto e sulla vigorosa politica di ammodernamento avviata da Mehemet Alì Pascià, capostipite della famiglia che governerà il Paese per oltre un secolo. In Egitto si costruivano ferrovie, si progettava il canale di Suez, si erigevano nuovi palazzi. Gli affari però, almeno all’inizio, vanno seguiti da vicino e fu così che Prospero lascia i fratelli a Trieste e s’imbarca per Alessandria d’Egitto.

Qui riesce non si sa come ad intortarsi il viceré Mehmet Ali fino a diventarne il più fidato consigliere, oltreché il fornitore esclusivo del legname per i palazzi, ma soprattutto per le traversine delle ferrovie egiziane. Bisogna sapere che le nuove tratte ferroviarie egiziane, combinate a brevi trasporti via mare, abbattevano di ben 90 giorni i classici percorsi inglesi esclusivamente via mare della Londra-Bombay. Pensate quindi il successo! Naturalmente Prospero accumula un’immensa fortuna che, si mormora, sia stata un po’ offuscata da episodi di tratta degli schiavi.

Ma dopo qualche anno il nostro eroe torna a Trieste, liquida la società coi fratelli, e si dedica a speculazioni immobiliari e fondiarie, arricchendosi, se possibile, ancor di più. Ma è proprio in questo periodo che nasce e si concretizza la sua anima filantropica con il finanziamento di una Pia Fondazione Loira che incoraggia gli israeliti alla carriera marinaresca. Ma Trieste è troppo limitata per i suoi orizzonti e nel 1868 decide di tornare in Italia e sceglie Milano. Qui si costruisce un palazzetto al numero 9 dell’attuale via Manzoni (c’è una targa), entra nella Massoneria e comincia a lavorare al suo grande disegno: quello di costituire una Società Umanitaria concepita per, virgolette, “mettere i diseredati, senza distinzione, in condizione di rilevarsi da sé medesimi, procurando loro appoggio, lavoro e istruzione”.

Insomma, niente elemosine spicciole ma educazione allo studio e lavoro qualificato. Il progetto viene sviluppato in collaborazione con Osvaldo Gnocchi Viani, futuro fondatore della Camera del Lavoro, ma - in prima battuta - viene rifiutato dal Comune di Milano, nonostante fosse accompagnato da 100 mila lire per permetterne la realizzazione. Persino Filippo Turati stronca violentemente l’idea giudicandola velleitaria, salvo doversi ricredere dopo qualche anno.

Sì, perché il Loira l’avrà vinta lui e in un modo che appare quasi una beffa. Quando infatti morì, cosa che avvenne il 28 ottobre 1892, si scopre che, inaspettatamente, l’unico erede di tutti i suoi beni è il Comune di Milano, MA con un’unica clausola vincolante: i 13 milioni di lire in oro – cioè la metà del bilancio comunale di allora e confrontabili a 31 milioni di euro di oggi – potranno essere ritirati a patto che la Società Umanitaria venga costituita come ente morale così come lui l’aveva immaginata. Inutile dire che il Comune questa volta non poté tirarsi indietro e, sotto la guida di Augusto Osimo, economista ebreo e socialista, il nuovo Ente si struttura identificando i cinque principali settori d’intervento: Lavoro, Edilizia Popolare, Emigrazione, Istruzione e Educazione degli Adulti. Nascono così l’ufficio collocamento e la Casa del Lavoro per i disoccupati, il primo quartiere popolare di via Solari, l’assistenza degli emigrati dal sud d’Italia, le scuole-laboratorio, maschili e femminili, d’arte applicata all’industria, la scuola del libro, di elettrotecnica e di sartoria, le biblioteche popolari, il Teatro del Popolo e l’Università Popolare. E il tutto, a partire dal 1907, trova posto nella nuova sede acquisita dei chiostri dell’Umanitaria (e della adiacente area industriale) che, da luogo di preghiera, si trasforma in una straordinaria fucina di riscatto. Si acquistano macchinari, si creano laboratori, officine e scuole e, negli anni, arrivano a collaborare i più grandi nomi della creatività e professionalità milanesi.

Durante la guerra i chiostri furono pesantemente bombardati ma sono poi stati accuratamente ricostruiti con autofinanziamenti. Dal 1981 il governo di tutti i corsi professionali, compresi edifici, macchinari e attrezzature è passato alla Regione Lombardia.

Ma il fascino degli antichi tempi resta e val la pena di aggirarsi tra arcate e porticati per ricordarne l’incredibile passato ed ammirarne le testimonianze.

Ma attenzione: quasi tutte le opere d’arte che vedete disseminate qua e là - compreso l’elegantissimo levriero del chiostro dei pesci - non sono opera di insigni artisti del classicismo rinascimentale, bensì pregevoli compiti in classe degli allievi delle scuole d’arte che ancora frequentano quegli ambienti! Proprio come avrebbe voluto Prospero Moisè Loria.

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