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Oggi do i numeri

Immagine del redattore: Wilma ViganòWilma Viganò

Oggi – e lo dichiaro subito – darò i numeri.

E non perché sia improvvisamente impazzita, ma perché, innanzi tutto, celebriamo la centesima puntata di “A spasso con Wilma”.

E per me non è poca cosa. Mai, quando ho iniziato cinque anni fa, mi sarei immaginata di arrivare a cento racconti ma, passo dopo passo, chiesa dopo palazzo, storia dopo storia, eccoci qua: cento passeggiate tonde tonde in giro per Milano. Che mi auguro vi abbiano almeno un poco incuriosito e magari stimolato alla riscoperta di quanto abbiamo sotto gli occhi e che diamo per scontato.

Ora la domanda è: come celebrare questo nostro anniversario? Dopotutto un centenario è pur sempre un centenario e, partendo dal fatto che di un numero trattasi, ho pensato di dare i numeri. Come sostengono i filosofi “Tutte le cose sono identificabili e descrivibili in maniera oggettiva, universale, valida per tutti in base a dati quantitativi, grazie cioè ai numeri. Il numero è pertanto l'archè di tutte le cose, il principio unificatore della realtà.”

Ciò premesso, io (non so se l’avete notato) non vi ho mai parlato del simbolo di Milano. Non vi ho mai raccontato il Duomo. Non vi ho mai accompagnato in visita alla rappresentazione universalmente riconosciuta della milanesità.

E non l’ho mai fatto perché la reputavo una mission impossible. Il Duomo di Milano è tanto, tantissimo, troppo per una puntata di una decina di minuti o poco più. Non ci ho nemmeno mai provato. Ma poi questa cosa dei numeri mi ha suggerito una chiave di lettura, di sintesi e di interpretazione che vi propongo. E che spero vi intrighi.

Come diceva Le Corbusier Il Duomo è magnifico all’esterno, imponente e commuovente all’interno, soprattutto è enorme.

Già, le dimensioni.

Per estensione il Duomo di Milano è la quarta chiesa del mondo cattolico, dopo la basilica di San Pietro a Roma, la sua copia in scala 1:1 costruita in Costa d’Avorio e la cattedrale di Siviglia.

È largo 93 metri e lungo 158. Sviluppa un volume di 440 mila metri cubi e pesa 325 mila tonnellate. Il peso soprattutto colpisce.

“Cattedrale” significa traduzione di un pensiero in pietra. La cattedrale è il cuore della città per la religione, l’arte, la civiltà. E quando a Milano il potere civico e quello religioso si sono uniti per esprimerne l’archetipo, non si sono accontentati delle pietre grigie o dell’arenaria argillosa delle cattedrali nordiche o francesi, ma hanno scelto un marmo speciale, bianco-rosato, cristallino, resistente, ma anche adatto ad una lavorazione scultorea e decorativa raffinata: il celeberrimo marmo dei monti di Candoglia, sul lago Maggiore, per il cui trasporto è stato inventato un intero sistema fluviale, quello dei Navigli, e al quale ancor oggi si attinge per qualsiasi rifacimento o manutenzione. Dopo 700 anni sempre dalla stessa cava.


Duomo vista dal museo del Novecento - Laura Invernizzi

Ma torniamo ai numeri. La facciata, dibattuta per secoli, è alta 56 metri e 50 centimetri, e solo l’imperioso ordine di Napoleone, che la voleva finita per la sua incoronazione, riuscì a porre termine ai lavori.

Lavori che nei secoli avevano decorato gli esterni di archi rampanti, pinnacoli funambolici, verticalismi, pizzi, ricami, ghirigori… insomma, di tutto e di più. Del resto l’ordine originale della committenza era stato chiaro. La cattedrale di Milano doveva essere in uno stile gotico travolgente: qualcosa di mai visto in Lombardia, ma soprattutto qualcosa destinata a resistere, crescere ed arricchirsi nel tempo. Al di sopra delle mode, ma in grado di assorbirle in un unicum straordinario. Ecco dunque le 3.600 statue, le 135 guglie, i 200 bassorilievi, i 150 doccioni e, lungo la cornice del basamento, i 746 peducci a forma di testine umane e animali. Come ebbe a scrivere Stendhal (che era innamorato di Milano): “Questa architettura brillante appartiene al gotico ma senza l’idea della morte; è letizia di un cuore malinconico; e poiché priva di ragione sembra costruita dal capriccio, essa è in accordo con le folli illusioni dell’amore”. Altro che gotico, questo è sentimentalismo puro!

Duomo - interno colonne - Alberto Pandiani

All’interno il primo impatto è dato dalle colonne: 52 colossi alti 24 metri, con un diametro di 3 metri e 40 centimetri, e relativi capitelli di 6 metri, retaggio della più pura tradizione classica. E poi le celeberrime vetrate: 164 finestroni coloratissimi, realizzati tra la fine del Trecento e gli anni ottanta del Novecento, che narrano le storie bibliche, le vite dei santi, dei beati, ma anche eventi recenti come il Concilio Vaticano II. Senza dimenticare che alla loro fabbricazione si deve la benefica invenzione collaterale del risotto giallo alla milanese (e, se ne avete voglia, potete risentirne la storia nella puntata n. 84, dedicata alla cucina milanese). Potrei poi continuare con i 58 quadroni con episodi della vita di San Carlo Borromeo che ogni anno compaiono, solitamente nel giorno dell’Epifania, tra una campata e l’altra, ma non finiremmo più.


Non ci si può però esimere dal citare i numeri della Madonnina. Tuta dora e piscinina, la Madonnina è alta “sette braccia milanesi”, cioè 4 metri e 16,5 centimetri. Pesa quasi un quintale, precisamente 984 chilogrammi, ed è ricoperta da 6.750 foglie d’oro zecchino. Venne issata sulla guglia più alta del Duomo nel 1774 e, da allora, domina la città da un’altezza di 108 metri e 50 centimetri. Per rispetto, avrebbe dovuto restare il punto più alto della città, ma nella seconda metà del Novecento è stata superata da alcune delle nuove torri che disegnano lo skyline di Milano. Torri che però si sono tutte impegnate ad ospitarne una copia in cima alle rispettive sedi.

A questo proposito va ricordato il fatto che il Duomo, e quindi anche la Madonnina, non è proprietà della Chiesa o del Comune, ma appartiene ai milanesi, come volle quel “matto lucido” di Gian Galeazzo Visconti. E come tale partecipa alla vita civile, oltreché religiosa, della città. La si vede infatti ogni anno sventolare il tricolore a celebrazione della resa degli austriaci dopo le Cinque Giornate di Milano, e anche il sindaco Sala ha recentemente confessato di averle chiesto aiuto e coraggio al tempo del Covid: Un giorno, particolarmente buio e incerto, sentii il bisogno di rivolgermi alla Madonnina. E così salimmo, fino all’ultimo punto possibile. Di lì, a pochi metri da lei, fui avvolto dal tragico silenzio della città ammalata. Fu un momento forte, tragico ed emozionante. Ma ridiscendemmo per strada più forti e più consapevoli della responsabilità di rappresentare le volontà e i dolori in un momento così difficile”.

E infine c’è il “sistema Duomo”, ovvero la Veneranda Fabbrica, l’istituzione laica che, dall’ottocentesco palazzo sul retro della cattedrale, dal 16 ottobre 1387 veglia sulla vita, sulla manutenzione e sulla gestione della casa dei milanesi.


Guglie Duomo - laura Invernizzi

Il Duomo accoglie oltre 3 milioni di turisti all’anno, oltre ai fedeli, e il “brand Duomo” oggi vale 82 miliardi di euro, come certificato da un’agenzia di comunicazione. Il budget di spesa della Veneranda Fabbrica si aggira attorno ai 30 milioni l’anno che devono essere in qualche modo reperiti sul mercato. Oltre alla mitica “panca”, status symbol dei sciuri milanesi del passato assieme al palco alla Scala e la tomba al Monumentale, oggi si può adottare una guglia con 150 mila euro. Tra gli introiti minori, a cui i visitatori più o meno partecipano, ci sono le “offerte libere” per le candele votive. Ogni giorno si consumano sei-sette scatole da 500 candele irlandesi della pregiata marca St. Killians. Nel bilancio generale dell’impresa Duomo, tra i crediti da riscuotere spicca il debito lasciato in sospeso da Napoleone per la conclusione affrettata della facciata. Aveva promesso che il costo dei lavori sarebbero stati sostenuti dalla Francia ma i soldi non sono mai arrivati.

Ovviamente le storie, gli aneddoti, le curiosità e, di conseguenza, i numeri del Duomo potrebbero continuare all’infinito, ma quelli che vi ho raccontato mi sembrano sufficienti per celebrare il nostro centesimo incontro nel nome forse della più ovvia ma anche della più sentita milanesità.

 
 
 

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