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DUE MUSEI

Immagine del redattore: Wilma ViganòWilma Viganò

A Milano, bisogna riconoscerlo, i musei non mancano. E sono pure di ottima qualità. Dall’Ambrosiana a Brera, dalle Gallerie d’Italia al MUDEC, dal Museo del Novecento a quello del Castello, fino al Palazzo Reale all’Hangar Bicocca non ci si può proprio lamentare. Ma – personalmente – i grandi musei mi sfiniscono.

La lunga e lenta camminata stop and go, la folla flashtante (mi sono appena inventata questo neologismo per quelli che scattano col cellulare), la prenotazione on line, tanti, tantissimi, forse troppi capolavori tutti d’un botto… Beh insomma io spesso, potendo scegliere, naturalmente, prediligo mostre e musei più contenuti, più misurati. E oggi, in linea con questo mio pensiero, vado a proporvi due visite più selettive e mirate rispetto ai grandi musei di cui sopra, che comunque già senz’altro conoscerete. Due musei più “slow” direbbero quelli del marketing. Forse più a misura di milanese che di turista.

Statua Giulio Ricordi - Piazza della Scala - Milano  - Wilma Viganò

La prima tappa ci porta in piazza della Scala, sul lato sinistro del mitico teatro lirico che ci rappresenta in tutto il mondo. Tecnicamente siamo in largo Ghiringhelli e qui, a darci il benvenuto, troviamo un monumento “pertinente”, cioè la persona giusta nel posto giusto. Già perché a Milano non è che sia sempre così: infatti in piazza Leonardo da Vinci c’è l’ingegner Villoresi, in piazza Buonarroti c’è Giuseppe Verdi, Giuseppe Garibaldi non sta nel suo corso ma in piazza Cairoli… ma non divaghiamo. Di fronte alla nostra meta, cioè il Museo Teatrale alla Scala, troviamo, in questo caso correttamente collocata, la statua di Giulio Ricordi, massimo esponente della dinastia di editori musicali che hanno contribuito in maniera fondamentale all’affermazione del bel canto italiano nel mondo. Il piccolo ed elegante palazzetto che gli sta alle spalle è stato infatti la sede storica di Casa Ricordi che, da inizio Ottocento, ha contribuito all’affermazione internazionale di musicisti del calibro di Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, oltre che un’infinità di cantanti da Caruso in poi.

La statua, dove l’editore è ritratto seduto in una rappresentazione pare somigliantissimain benevola ascoltazione, mentre un leggero sorriso gli si disegna in volto”, risale al 1912 ma ci son voluti quasi cent’anni prima che arrivasse qui al termine di un inglorioso peregrinaggio per le varie sedi aziendali della Ricordi sparse per tutta la città.


Ma torniamo al nostro museo e varchiamo la soglia di questo gioiellino originariamente progettato dal Piermarini (lo stesso architetto incaricato della costruzione della Scala) per ospitare i membri della Nobile Associazione dei Palchettisti, ma da subito degenerato a sede di ricevimenti e balli di dubbia reputazione. E forse da lì è originata l’attuale interpretazione di “casino”, non solo intesa come piccola casa. Nel 1850 l’amministrazione del teatro decise di dare una ripulita all’ambiente e l’edificio, sgombrato dalle imbarazzanti frequentazioni, venne affittato ai Ricordi, che ne faranno la sede della propria Azienda sino al 1913, restituendogli fama di rispettabilità.

Nel frattempo l’idea di un museo dedicato al teatro veniva coltivata da un piccolo ma qualificato gruppo di appassionati milanesi, e l’occasione propizia per trasformare il sogno in realtà parve presentarsi nell’aprile del 1911 quando venne messa all’asta a Parigi la collezione privata di Jules Sambon, un antiquario napoletano di origine francese (in effetti faceva Giulio di nome), frequentatore assiduo della Scala, la cui collezione di reperti e testimonianze teatrali avrebbe potuto rappresentare il fulcro di partenza sul quale costruire il progetto.

A Milano si formò immediatamente un comitato d’emergenza per raccogliere la somma necessaria all’acquisto (700 mila lire di allora), comitato al quale aderirono Municipio, Governo e parecchi donatori privati. E si cominciò a trattare sul prezzo, ottenendo pure soddisfacenti risultati, finché ogni contatto venne sospeso dal Sambon stesso che dichiarò pubblicamente che “una persona che non posso nominare, ma potentissima” desiderava entrare in possesso della collezione ad ogni costo e, soprattutto, a qualsiasi prezzo.

Ovvio lo sgomento dei membri del comitato milanese che però non si diedero per vinti: fatte le dovute indagini, scoprirono che il misterioso personaggio era nientepopodimeno che il banchiere americano J. P. Morgan, uno degli uomini di più ricchi e potenti del mondo. Al che nuovi emissari partirono per Parigi e venne sollecitato persino l’intervento dell’ambasciatore italiano in Francia. Con ottimi risultati bisogna riconoscere: il magnate americano, con gesto cavalleresco, riconobbe la “pertinenza” del materiale alla creazione di un Museo Teatrale accanto alla Scala e si ritirò dalla contesa. Insomma, ancora una volta la cosa giusta al posto giusto.

Ancor oggi un’atmosfera d’altri tempi ci avvolge immediatamente all’ingresso del museo: tappezzerie damascate, una sinuosa doppia scalinata baroccheggiante, omaggi alla danza, ritratti di protagonisti del mondo dell’opera, locandine e manifesti di spettacoli di ieri e di oggi si snodano lungo le quattordici sale della parte espositiva che presenta di tutto un po’: dal pianoforte di Franz Listz al busto di marmo di Arturo Toscanini a firma Adolfo Wildt, dalle bacchette dei direttori d’orchestra più famosi a bozzetti di scenografie, alternati ad abiti e gioielli di scena. Oggi il museo, arricchitosi ed ampliatosi negli anni grazie ad acquisizioni e donazioni, oltre all’area espositiva dispone di un immenso archivio aperto a tutti per consultazioni. Tra i tesori custoditi l’intera partitura musicale manoscritta della Messa di Requiem di Verdi, oltre a pagine sparse di schizzi di Mozart, Beethoven, Puccini, Donizetti, Bellini… Insomma, ci son proprio tutti. Un’ultima chicca.

A metà del percorso espositivo è permesso debordare nel teatro vero e proprio per affacciarsi da un palco sul tempio della lirica mondiale. Il che è sempre un’emozione.


Museo Risorgimento - Milano - Wilma Viganò

Concluso l’omaggio alla musica, ve ne consiglio un altro alla storia.

Usciti dall’ex Casino Ricordi avviamoci lungo via Manzoni fino alla fermata della metropolitana, svoltando poi a sinistra per via Borgonuovo dove, al civico numero 23, troveremo Palazzo Moriggia, sede del Museo del Risorgimento.

Il palazzo ha di per sé un pedigree di tutto rispetto. Poco appariscente come vuole lo stile milanese (il vicino di casa dopotutto è Giorgio Armani), venne progettato sempre dal Piermarini più o meno in contemporanea con la nostra precedente destinazione, cioè il Teatro alla Scala.

Siamo nella seconda metà del ‘700 e lo stile neoclassico reinterpreta in questo caso un antico complesso degli Umiliati, il discusso ordine monastico abolito da Carlo Borromeo dopo che “la mano di Dio” aveva fermato quella del mandante dei frati che lo volevano morto. Siamo nell’antica Contrada de’ Nobili, area scelta dalla ricca famiglia dei Moriggia, originaria del lago Maggiore, per costruirci la loro residenza milanese. I Moriggia però non lasciarono eredi, e dopo di loro si succedettero un turbinio di proprietari del Gotha milanese: dai conti Besozzi ai Trivulzio, dai Pallavicini fino ai De Marchi che, rimasti anche loro senza eredi, a metà del Novecento donarono il palazzo al Comune di Milano che lo destinò ad ospitare il Museo del Risorgimento. Costruito su tre piani, un solenne portale conduce ad un cortile interno porticato dove trovano posto una figura femminile in bronzo di Giuseppe Grandi (praticamente un “avanzo” del monumento di piazza 5 Giornate) e una statua in marmo ad omaggiare il donatore-filantropo del palazzo, cioè Marco De Marchi.

Il Museo del Risorgimento Nazionale, oggi allestito al pianterreno dell’edificio, ha una storia abbastanza tortuosa. La collezione era stata originariamente assemblata per “arredare” il padiglione milanese all’Esposizione Generale di Torino del 1883 e, una volta rientrata in città, fu collocata prima nel salone dei Giardini Pubblici di Porta Venezia, per poi essere spostata nelle sale della Rocchetta al Castello Sforzesco. Pesantemente bombardata durante la guerra, fu definitivamente trasferita negli anni ’50 a Palazzo Moriggia dove un recente restauro ne ha fatto un vero e proprio bijou.

Il ricchissimo e variegato percorso espositivo si articola in 14 sale (guarda caso lo stesso numero del precedente museo) che sono un fantastico “bigino” multimediale della partecipazione dei Milanesi all’Unità d’Italia. Sculture, stampe, dipinti e cimeli riescono a condensare ed esprimere, in maniera artistica e coinvolgente, anche e soprattutto per i ragazzi, il percorso Risorgimentale della città, con buona pace delle sterili e retoriche elencazioni di battaglie di tanta parte dei libri di storia. L’esposizione, che si snoda in ordine cronologico, inizia con uno dei primi tricolori italiani (quello della Legione Lombarda dei Cacciatori a Cavallo del 1796) per proseguire con il mantello e le insegne reali dell’incoronazione di Napoleone a Re d’Italia. I busti e i ritratti del principali protagonisti dell’epoca sono disseminati qua e là, mentre tra i tanti cimeli si possono ammirare la storica campana della torre di piazza dei Mercanti che si ruppe mentre suonava ininterrottamente per chiamare il popolo alla rivolta, la scrivania di Mazzini e una riproduzione del monumento di piazza 5 Giornate.

I dipinti raccontano le principali battaglie, oltre che scene di vita quotidiana di quei tempi travagliati ma esaltanti, mentre un’ampia sezione è ovviamente dedicata all’eroe dei Due Mondi. Ci sono le divise originali dei Mille, il poncho e la camicia rossa di Garibaldi, e soprattutto un album che sembra una raccolta di figurine ma che in realtà è una straordinaria documentazione storica con i volti di tutti i 1089 partecipanti alla spedizione. E’ il cosiddetto “Album dei Mille” che venne realizzato, su richiesta dello stesso Garibaldi, dal fotografo Alessandro Pavia. Il piano nobile del palazzo ospita invece l’archivio di tutti gli atti pubblici risorgimentali (manifesti, manoscritti, carteggi privati), oltre che quelli delle due guerre mondiali, e delle guerre d’Africa.

 
 
 

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