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Immagine del redattoreWilma Viganò

Dalle parti di via Senato - 1

Come forse avrete intuito, tendo a prediligere le destinazioni milanesi non scontate, quelle a cui siamo passati accanto centinaia di volte senza prenderci la briga di approfondirne la conoscenza.

Una conoscenza che però molto spesso potrebbe generare un’infinità di storie da raccontare… Bene, oggi cercherò di intrigarvi col racconto di quello che si può scoprire all’inizio della centralissima via Senato, poco prima di San Babila arrivando da Porta Venezia. E son storie che, vedrete, valgono ben una passeggiata di almeno due puntate.


La prima cosa da fare è soffermarci presso l’edificio storicamente più importante ed imponente della zona: il Palazzo del Senato, oggi Archivio di Stato, che per secoli è stato tutt’altro che luogo pubblico. Originariamente, come quasi tutto quanto nei dintorni, era un monastero che ospitava le Umiliate di Santa Maria di Vigevano in Porta Nuova, monastero che però venne raso al suolo a fine Cinquecento per erigervi al suo posto il Collegio Elvetico, un’istituzione voluta da San Carlo Borromeo e realizzata da suo cugino Federico, che gli era succeduto. Obbiettivo del Collegio era quello di formare un buon numero di integerrimi e severi chierici da inviare in Valtellina e nei Grigioni, “terre infette di eresia” per arginare il dilagare del Protestantesimo al di qua e al di là delle Alpi. Il progetto architettonico della sede collegiale fu anche lui “collegiale”, nel senso che ci lavorarono un pool di architetti vicini alla Curia coordinati da Fabio Mengone che ne definirono la struttura con due ampi cortili successivi e relativi portici a colonne sormontate da una loggia. Ovviamente c’era anche una chiesa (oggi trasformata in auditorium), con l’ovvia dedicazione di “San Carlo al Collegio Elvetico” e la cui facciata è ben visibile sulla sinistra dell’ingresso. Ma il Mongone non riuscì a portare a termine il suo lavoro in quanto morì nel 1629 vittima della peste manzoniana. A lui subentrò Francesco Maria Richini, capomastro del Duomo e autore, tra moltissimo altro, di Brera che, per risolvere una serie di problemi di allineamento col Naviglio che scorreva lì di fianco, si inventò per il Collegio l’attuale facciata a curva rientrante o di sghimbescio, che lo rende abbastanza unico nella linearità degli edifici milanesi.

Il Collegio educò generazioni di rigorosi ecclesiastici fino al 1786 quando entrarono in vigore le soppressioni di Francesco Giuseppe. Dopo di allora l’edificio passò attraverso una serie pressoché infinita di destinazioni: prima sede del Consiglio governativo per poi passare al Ministero della Guerra della Repubblica Italiana, e quindi diventare sede del Senato del Regno d’Italia ai tempi di Napoleone. Da cui il nome. Dopo la restaurazione divenne Comando Imperiale, poi Cancelleria ed infine Contabilità del governo austriaco. Raggiunta l’unità di Italia, si cominciò a pensare ad una destinazione cosiddetta “culturale” degli spazi per arrivare finalmente, nel 1886 a decretarne l’utilizzo esclusivo all’Archivio di Stato. Insomma, ce n’è voluto del tempo!

Oggi all’interno si possono percorrere lungo le antiche sale, su e giù, avanti e indietro, oltre 40 km lineari di scaffali che raccolgono, in ambienti ad aria rigorosamente condizionata, dodici secoli di documenti relativi alla vita lombarda, dal tardo Medioevo in poi. Ancor oggi, per dire, quando un notaio cessa l’attività deve consegnare le sue carte all’Archivio di Stato, che è consultabile gratuitamente dai cittadini in qualsiasi momento. E sono pure gentili. Mio figlio ci ha ritrovato tutti i documenti della carriera militare del nonno, che era un semplice soldato, non un generale.

Potete quindi perdervi tra la cronaca dell’assassinio di Galeazzo Sforza, così come raccontato in una lettera del segretario ducale ad un amico poche ore dopo “l’orribile caso” del 26 dicembre 1476, oppure scorrere la comunicazione dell’aprile 1493 destinata a Ludovico il Moro in cui si parla per la prima volta a Milano delle “isole”, sì proprio le isole, appena scoperte da Cristoforo Colombo. Ma potrete trovare anche l’unica firma regolare, e non al contrario, di Leonardo da Vinci sul contratto per la committenza della Vergine delle Rocce, oppure una missiva di Giuseppe Verdi che ringrazia il re per essere stato nominato Grande Uffiziale dell’Ordine della Corona d’Italia, ma che modestamente si chiede anche come potrebbe essere d’aiuto non essendo “atto – come dice lui – che a scarabocchiare, bene o male, qualche opera di teatro”. Salendo gli imponenti scaloni si può godere di una splendida vista dell’insieme dell’ex Collegio passeggiando lungo il Corridoio delle Acque, così soprannominato perché nei locali adiacenti sono conservati tutti i documenti relativi alla complessa ed antichissima rete idrica milanese, che ha dovuto ovviare nei secoli, con l’ingegno, alla mancanza di un importante fiume naturale.

Via Senato - cortile Archivio di Stato - Wilma Viganò

E quando riuscirete a staccarvi da questa infinita caccia al tesoro, uscendo non dimenticate di ammirare la rizzada dei due grandi cortili, forse l’area milanese più vasta della città con questa particolare pavimentazione, diffusa fin dai tempi dei Visconti, e che deve essere rigorosamente eseguita a mano da selciatori specializzati, purtroppo in via d’estinzione. Ed è stato calcolato che, se ad occhio e croce occorrono 500 ciottoli per metro quadrato, nel 1979 quando sono stati rifatti entrambi i cortili, saranno stati necessari qualcosa come 600.000 sassi. Tutti doverosamente impiantati a mano e ad arte.


Curiosità finale: sulla facciata esterna, sulla sinistra del portone d’accesso, potrete scattarvi un selfie accanto alla prima buca delle lettere di Milano, installata ai tempi di Napoleone. Considerato che sono in via d’estinzione, val forse la pena di immortalarla.


Dopodiché non sia mai detto che, per ogni passeggiata, non vi solleciti alla scoperta di una chiesa misconosciuta! Quella che vi propongo oggi è la chiesa di San Pietro Celestino che avrete da sempre senz’altro notato sulla destra del Palazzo del Senato. Ma ci siete mai entrati?

In effetti è un luogo di culto molto antico, eretto dai Valdesi nel 1173 su un prato assegnato loro dal Comune che poi venne trasferito all’ordine dei cosiddetti Poveri Lombardi separatisi dai confratelli francesi. Nel 1274, in occasione del passaggio in città di un eremita piuttosto noto, tale Pietro del Morrone, gli venne aggiunto un famoso ospizio gestito dai Serviti, e il fatto che Pietro del Morrone venisse subito dopo eletto al soglio pontificio come Celestino V, la dice lunga sulla dedicazione della chiesa. (Per la cronaca, può essere interessante ricordare che Celestino fu il primo dei tre Papi a rinunciare al trono di Pietro, secoli prima di Benedetto XVI. Fine dell’inciso).

La nostra chiesa, come tutti gli edifici secolari, è stata nel tempo ampliata ed arricchita, anche con opere dei Procaccini e dei Fiammenghini, per essere poi completamente riformata nel ‘700 dall’architetto romano Marco Bianchi che prese a modello la facciata in barocchetto fiorito di San Francesco di Paola, la chiesa di via Manzoni proprio di fronte ad Armani. Se le osservate bene si tratta quasi di un copia e incolla. La cosa curiosa è che l’intera facciata, originariamente in pietra arenaria gravemente deterioratasi per gli agenti atmosferici, venne completamente rifatta all’inizio del ‘900 nientemeno che in cemento armato, ma seguendo rigorosamente il modello originale, tanto da meritarsi dall’architetto Mezzanotte la definizione di “porcellana del settecento tradotta in pietra”.

L’interno della chiesa è a pianta rettangolare, con una sola navata e delle belle volte a botte. Imponenti le colonne corinzie fra cui si aprono ben 10 cappelle laterali. Il tutto un po’ malconcio ma originale. Oggi l’edificio è consacrato al culto dei copti egiziani che, secondo le abitudini delle chiese orientali, hanno purtroppo quasi completamente oscurato l’antico altare e il coro retrostante.


Nella prossima passeggiata andremo alla scoperta di un’altra misconosciuta risorsa della zona: il museo a cielo aperto che gravita attorno al Palazzo del Senato

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