LE FONTANELLE MANGIABAGAJ
Oggi vi voglio raccontare la storia di una fontana. Anzi di cinque fontane. Che però sono sempre la stessa. Insomma, una sorta di copia e incolla. Capisco che è tutto molto confuso e forse è meglio che vi racconti come sono capitata in questo guazzabuglio.
Sul finale di una visita al museo d’Arte Antica del Castello Sforzesco, m’è cascato l’occhio su un cortiletto sottostante dov’era collocata una bella fontanella sormontata da un biscione visconteo che divora un essere umano (il celeberrimo bissun mangiabagaj, cioè biscione mangiabambini che compare anche sullo stemma del Comune di Milano, dell’Inter, di Canale 5 e dell’Alfa Romeo). Qualche tempo dopo quella prima scoperta, nel corso di un’altra delle mia passeggiate, questa volta a Villa Mirabello nel quartiere della Maggiolina, mi sono ritrovata un’altra fontana esattamente uguale a quella del Castello. A quel punto mi son chiesta: ma quale sarà l’originale? Ho fatto qualche ricerca e la risposta è: nessuna delle due. E la storia è talmente complessa che credo valga la pena di cominciare dall’inizio.
Bisogna innanzi tutto sapere che, all’origine, la nostra fontana fu strettamente legata agli eventi della famiglia Trivulzio, d’antica nobiltà milanese. A fine Quattrocento Gian Giacomo Trivulzio, odiato da Ludovico il Moro, passa dalla parte dei francesi che lo insigniscono del grado di maresciallo e, dopo la conquista del Ducato, governatore di Milano e marchese di Vigevano. A Vigevano, nei magnifici giardini già ducali, si trovava una bella fontana di autore ignoto, ed era talmente bella che il Trivulzio ne ordinò il trasferimento nella sontuoso castello di famiglia a Roveredo, nel Cantone dei Grigioni in Svizzera, per rallegrarne con i suoi zampilli il parco. Ma col passare degli anni nella zona aleggia aria di libertà e i Trivulzio, sentendo odor di rivolta, trasportano buona parte dei loro beni (mobili, documenti e averi, fontanella compresa) a Bellinzona dove, forse per ingraziarsi il clero locale, la fontanella viene donata alla Collegiata, cioè alla parrocchia locale, che la incorpora con la funzione di acquasantiera. Ne abbiamo testimonianza dell’esistenza anche da parte di San Carlo Borromeo che, durante una visita pastorale nel dicembre del 1583 descrive nei suoi atti che il vaso dell’acqua benedetta “è di solida pietra, vasto e bello”. E il cosiddetto “vaso” ancora lì è.
A questo punto facciamo un salto di qualche secolo e torniamo a Milano dove, a fine Ottocento, l’architetto Luca Beltrami è impegnato nella sua opera più grandiosa: il restauro del Castello Sforzesco con la ricostruzione della Torre del Filarete. Ex allievo di Brera e del Politecnico, dopo un soggiorno d’apprendistato a Parigi, il Beltrami ridisegnò il volto di Milano: da Palazzo Marino alla Permanente, dalla Sinagoga Centrale al Corriere della Sera. Bene, un giorno d’estate del 1897, il Beltrami, uomo riservatissimo ed amante della montagna, si permise una pausa di rilassamento e partì per Interlaken per cimentarsi nella scalata di una vetta del grandioso massiccio dell’Oberland bernese ma fu costretto, per una coincidenza d’orario, ad una fermata a Bellinzona (a quel tempo le ferrovie svizzere non avevano ancora evidentemente sviluppato la loro fama di puntualità).
Fatto sta che il Beltrami, per far passare qualche ora, si recò nel centro storico della città e, visitando la Collegiata, l’occhio esperto dell’artista subito individuò la pila dell’acqua santa che si rivelò una fontana marmorea di squisita fattura quattrocentesca, sino ad allora non riconosciuta dagli abitanti della zona. Immediatamente ne ordinò un calco in gesso che si fece spedire a Milano e che servì da base per eseguire una serie di copie in marmo. Va detto che l’acquasantiera fornì solo la base delle future fontane, cioè la vasca ottagonale per la raccolta delle acque sgorganti dalle bocche di putti e mascheroni, che il Beltrami arricchì con una decorazione ripresa da una scala a chiocciola della Certosa di Pavia (altro suo famoso intervento) raffigurante uno scudo a tacca con il biscione visconteo. E proprio negli archivi del Castello, si può ammirare un interessantissimo documento originale dove, su una foto dell’acquasantiera, il Beltrami disegna a matita il “mangiabagaj” da aggiungere.
Realizzata la prima copia in marmo, la fontana – che evidentemente aveva soddisfatto l’autore – venne posizionata ad ornamento della Corte Ducale del Castello Sforzesco per poi essere spostata nel 1953 nell’interrato dov’è oggi. Ma il modello piacque così tanto al Beltrami che cominciò a disseminarne altre copie in giro per la Lombardia.
La seconda – e la più facile da visionare – sta nel giardino di Villa Mirabello nel quartiere della Maggiolina, già casa di delizie di Pigello Portinari (quello della cappella in Sant’Eustorgio), un altro dei ben riusciti restauri ottocenteschi del Beltrami. La terza copia finì invece a Seregno in piazza Martiri della Libertà, proprio in faccia al palazzo del Comune. Qui c’è un ulteriore falso perché, nel corso di una delle ristrutturazioni della piazza, il biscione si frantumò e solo nel 2009, seppur un po’ diverso dall’originale, venne reinstallato. La quarta ed ultima copia la potete infine trovare nella piazza del borgo di Grazzano Visconti, ricostruito da Alfredo Campanini, contemporaneo del Beltrami e probabilmente amico, avendo entrambi frequentato l’Accademia di Brera.
Ma perché questa fissazione del Beltrami per le fontane? In effetti la sua non era semplicemente una mania estetica, bensì la consapevolezza dell’importanza della distribuzione dell’acqua potabile nelle città. Forse non tutti sanno che all’interno di due dei torrioni circolari del Castello, quello a est e quello a sud, sono conservati due grandi serbatoi dell’acqua potabile, collocati tra il 1896 e il 1904, considerati importantissimi nell’ambito della rete idraulica milanese di inizio Novecento. Il motivo della loro costruzione va fatto risalire alle numerose epidemie scoppiate in quegli anni in tutt’Europa, oltre 600 più o meno gravi, di cui il 70% causate dall’inquinamento dell’acqua. Da qui il riuso dei torrioni del Castello come serbatoi in vista della decisione di dotare Milano di un acquedotto, richiesto a gran voce dall’opinione pubblica. Si valutarono in tal senso le falde acquifere nei dintorni del Parco Sempione che risultarono molto ricche e con acqua di ottima qualità e da qui partì la richiesta al Beltrami dell’incorporazione dei serbatoi nei torrioni dell’erigendo Castello.
E da lì partì molto probabilmente anche la rete delle oltre 500 vedovelle, le mitiche fontanelle milanesi che ancor oggi abbelliscono la città. Tant’è che la prima di queste fontanelle, cioè quella di Piazza della Scala, l’unica realizzata in ottone dorato e non in ghisa, fu progettato proprio dal Beltrami.
E anche qui – guarda caso – l’uscita dell’acqua sgorga dalla bocca di un drago, questa volta ispirata da uno dei doccioni del Duomo. Insomma: tutto torna!
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