Piazza dei mercanti
Forse ve ne sarete accorti, ma uno degli approcci preferiti delle mie passeggiate milanesi è il giro delle piazze.
L’agorà, inteso come centro non solo economico ma anche morale e sacro della città, è una splendida invenzione greca che abbiamo fortunatamente apprezzato ed importato, interpretandola e sublimandola (se possibile) all’ennesima potenza.
E noi di “A spasso con Wilma” abbiamo doverosamente visitato, nel corso di parecchie puntate, un buon numero di piazze milanesi: da piazza San Sepolcro a piazza Duomo, da piazzale Borromeo a piazzetta Greco… e tante altre. Dal centro alla periferia, andar per piazze, e non solo per chiese (la mia mania), è una continua scoperta.
Oggi come oggi, la piazza più importante di Milano è doverosamente considerata piazza del Duomo, ma così non era nel Medio Evo, quando il vero cuore della città pulsava in quella che è l’attuale piazza dei Mercanti, detta anche del Broletto Nuovo.
D’accordo, allora il Duomo ancora non esisteva; al suo posto c’era solo una piccola basilica paleocristiana dedicata a Santa Tecla, con accanto il Broletto Vecchio, più o meno collocabile nell’area dell’attuale Palazzo Reale. E per “broletto” si intende il palazzo del Comune perché il primo, quello appunto accanto a Santa Tecla, confinava con il “brolo”, cioè l’ortaglia della residenza dell’Arcivescovo.
Il Broletto Nuovo invece, quello storicamente più rilevante e che andiamo a visitare, sorse all’inizio del 1.200, nel periodo d’oro del libero Comune di Milano, quando il vecchio sistema dei poteri feudali e vescovili dovette cedere il passo al potere del popolo. Popolo forse non pienamente inteso in senso moderno, ma inteso come quello che oggi definiremmo il ceto medio, composto da commercianti, artigiani e trafficanti di vario genere, soprattutto di valute. La nuova sede del governo della città, cioè il Broletto Nuovo, venne inaugurata nel 1233 in un’area posizionata sulla sinistra dell’attuale via dei Mercanti per chi proviene oggi da piazza Duomo. Ed è tutt’attorno a questa piazza che possiamo ammirare i più antichi edifici civici (non religiosi una volta tanto) della città a cominciare dal più rappresentativo: il Palazzo della Ragione.
Era questa una definizione adottata in parecchie città italiane perché gli amministratori, nei palazzi comunali, si riunivano per “ragionare”, cioè per discutere dei problemi della città. Responsabile della sistemazione della nuova piazza e della costruzione del Palazzo della Ragione di Milano fu il podestà Oldrado da Trèsseno, di probabile origine pavese o lodigiana, ma in ogni caso esterna, in quanto i podestà, per possibile conflitto d’interessi, non potevano essere milanesi. Pare che Oldrado fosse tutto sommato un buon amministratore, anche se è passato alla storia per la sua amicizia con l’inquisitore Pietro da Verona e conseguente persecuzione degli eretici. Noi lo possiamo incontrare e conoscere ammirando il bassorilievo murato sul fronte interno del palazzo, in cima ad uno degli archi portanti, dove è pomposamente raffigurato a cavallo.
Il palazzo della Ragione, al tempo della costruzione situato al centro della piazza, è composto innanzi tutto da un vasto porticato terreno, aperto a tutti, che forniva riparo dalle intemperie a coloro che lo frequentavano professionalmente. Qui i notai stipulavano contratti e redigevano testamenti, i banchieri elargivano prestiti e i mercanti di ogni genere facevano affari. Allora Milano contava all’incirca 100.000 abitanti, 10.000 edifici e, tra parentesi, 10.000 religiosi, era cioè la città più popolosa dell’Europa cattolica. Capite quindi l’importanza dell’affermazione della funzione civica rispetto a quella religiosa. C’era quindi grande lavoro e fermento nella piazza del Broletto Nuovo, che nei giorni di festa ospitava anche banchetti e spettacoli di burattini. L’area era in origine tutta alberata (in omaggio alla sua origine di broletto o sterpaglia) ed era aperta a tutti, uomini e animali. A tutti gli animali tranne che a galline e porci (forse perché sporcavano molto), nemmeno ai porci privilegiatissimi del convento di Sant’Antonio Abate che erano autorizzati a circolare per tutta la città e persino all’interno della chiesa di Santa Tecla. (La loro affascinante storia la potete ritrovare al podcast n. 47 di A spasso con Wilma).
Sopra al porticato del Palazzo della Ragione, al primo piano, c’era un unico grande salone, con belle finestre a bifore e panche tutt’attorno, dove “ragionavano” gli amministratori. Da notare che il legno per panche, porte e finestre dell’edificio era fornito dal Comune di Varese per via di un misterioso tributo annuo imposto dai milanesi e rimasto in vigore per secoli. Questa sala, oltre che per ragionare e per le assemblee, era adibita all’esercizio della giustizia, regolarmente svolta dai due giudici, uno per le cause civili e l’altro per quelle penali, che decretavano le proprie sentenze all’insegna del cavallo (simbolo di velocità) e del gallo (simbolo di perspicacia).
E così si andò avanti per secoli finché Maria Teresa, a fine ‘700, non fece uno scempio dell’edificio destinando il palazzo a diventare mega Archivio Notarile. Murò le belle finestre e ci costruì sopra un altro immenso salone pieno di scaffalature. Dopo ulteriori decadimenti e dopo infiniti lavori di restauro, il Palazzo della Ragione è stato riaperto al pubblico nel 1991 per ospitare esposizioni temporanee di vario genere. La sala principale, ampia ben 950 metri quadrati è sovrastata da un soffitto in legno, mentre le pareti riportano frammenti degli antichi decori: fregi, stemmi e cartigli di nobili famiglie milanesi, un frammento di una Crocifissione del primo Quattrocento, alcune fittizie decorazioni cinquecentesche con paesaggi e fiori, e quel che resta di un misterioso graffito policromo con processione di guerrieri e laici.
Uscendo, prima di rivolgere ad altro la nostra attenzione, rendiamo omaggio al curioso bassorilievo posto in cima al pilastro della seconda campata del Palazzo lungo via dei Mercanti. Si favoleggia che il bassorilievo sia stato rinvenuto in loco dai costruttori medievali e che rappresenti la mitica scrofa semilanuta, detta “mediolanea” da cui – attraverso un giro complicatissimo di passaggi linguistici - potrebbe essere derivato il nome latino di Mediolanum. Insomma, il nostro santino civico. Altra curiosità del palazzo è l’effetto acustico usato dai mercati per parlare tra loro senza farsi sentire da altri. Può essere divertente andare alla ricerca di due colonne con un foro e disposte obliquamente: se parlerete vicino al foro verrete ascoltati in prossimità dell’altra colonna. Una sorta di telefono senza fili.
Accanto al Palazzo della Ragione e collegato al primo piano per accedere al Tribunale da un passerella tuttora esistente, troviamo Casa Panigarola, dal nome della famiglia proprietaria dello stabile. I Panigarola erano notai di origine gallaratese che qui avevano installato i propri uffici per la conservazione dei decreti dei principi, la registrazione dei testamenti e altre pratiche notarili. Insomma, un grande archivio al quale dev’essersi ispirata Maria Teresa. La facciata, rifatta una prima volta nel 1466, porta la prestigiosa firma di Giovanni Solari, allora direttore della Fabbrica del Duomo, e venne restaurata nel 1899 dall’altrettanto celeberrimo architetto Luca Beltrami, il ricostruttore del Castello Sforzesco, che apportò qualche intervento creativo di gusto cinquecentesco. Sotto il portico, di fianco alla scala d’accesso per i locali superiori, è rimasta una realistica lapide che ammonisce i contendenti, che si apprestano ad affrontare una causa, degli inconvenienti che ogni lite inevitabilmente comporta, anche se ritenuta giusta.
Sempre sotto il portico, era stata posta una pietra che forniva le unità di misura precise ed ufficiali del tempo: dallo staio per misurare il grano o altri cereali, al braccio, l’unità di lunghezza utilizzata prima dell’introduzione del sistema metrico decimale, e che corrispondeva a 1,82 metri, cioè la lunghezza dell’apertura ideale tra le due braccia ben distese di un uomo. Veniva inoltre indicata l’esatta volumetria dei mattoni da costruzione e delle tegole per la copertura dei tetti. Sempre sotto questo porticato è stata spostata un’altra, questa volta infame, pietra originariamente collocata al centro della piazza. Era questa la pietra dove venivano anche messi a sedere, con le braghe calate, i commercianti falliti per essere esposti al pubblico ludibrio, scherno e vergogna. La prassi era che dovevano battere il sedere “biotto” sulla pietra a simboleggiare la rinuncia a ogni possesso personale, prima di essere avviati e rinchiusi nella vicina prigione della Malastalla. Purtroppo uno spettacolo di grande attrattiva per il popolino.
E con questa edificante immagine del lato B dei commercianti falliti, propongo a tutti di andare a berci un caffè e di risentirci alla prossima puntata per continuare il giro della piazza.
Comments